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Giuseppe Antonio Borgese, un antifascista in America

Attraverso il carteggio inedito con Giorgio La Piana (1932–1925)

by Mirko Menna (Author)
©2015 Monographs VIII, 394 Pages

Summary

Le vicende storiche dalla dittatura di Mussolini fino allo scoppio e termine della II Guerra Mondiale con i primi anni della ricostruzione postbellica fanno da macrosfondo al rapporto d'amicizia epistolare tra due intellettuali italiani emigrati negli Stati Uniti, Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952) e Giorgio La Piana (1878-1971).
Due siciliani in terra americana: da una parte il celebre autore di Rubé (1921), primo allievo di Croce, strenuo oppositore del fascismo; dall’altra un prete modernista, docente di storia della Chiesa ad Harvard, che si prodiga per integrare Borgese nel sistema americano.
In un ampio arco temporale (1932–1952) si racconta l’esilio americano di Borgese, il suo interesse per la situazione politica italiana ed europea, per le vicende culturali e le sorti degli intellettuali contrari al regime.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Titolo
  • Copyright
  • Sull’autore
  • Sul libro
  • Questa edizione in formato eBook può essere citata
  • Indice
  • 1. Borgese nella «terra quasi di nessuno»
  • 2. Dalla Sicilia alla lontana Americax
  • 3. Carteggio Borgese – Giorgio La Piana (1932–1952)
  • 3.1. 1931–1935: “Se non credete in quello che vi voglion far giurare, non dovete giurare”
  • 3.2. La Sicilia in America. Giorgio La Piana (1878–1971)
  • 3.3. Borgese – Croce
  • 3.4. Lettere comparate: Borgese lettore, critico e scrittore
  • 3.5. Lettere a Mussolini
  • 3.6. L’America e l’Università: Borgese American citizen
  • 4. Nota d’archivio e di trascrizione
  • 4.1. Indice numerato delle lettere
  • 5. Carteggio Borgese – La Piana (1932–1952)
  • 6. Bibliografia
  • 6.1. Opere di Giuseppe Antonio Borgese
  • 6.2. Opere di Giorgio La Piana
  • 6.3. Opere su La Piana
  • 6.4. Bibliografia di riferimento
  • Appendice fotografica
  • Indice dei nomi
  • Volumi pubblicati nella collana

← vii | 1 → 1. Borgese nella «terra quasi di nessuno»

Il Fascismo proibisce ancora la ristampa dei miei libri in Italia. Chi sa per quanto tempo il Fascismo controllerà le pubblicazioni in Italia? I miei libri lentamente si stanno sgualcendo e vanno scomparendo, mentre nessuna edizione viene fuori. Fra trent’anni o più i miei libri saranno totalmente irreperibili e io sarò sconosciuto.

(G. A. Borgese)1

Che Borgese sia diventato un caso tutto italiano consegnato alla storia della cultura come un «fatto enigmatico» di apoteosi ed eclissi2, tale da meritare un risarcimento culturale, va riaffermato con forza, senza giustizialismi partigiani, né ricostruzioni romanticamente condotte. E a pieno diritto si va rivendicando da tempo per lo scrittore siciliano un posto di assoluto rilievo nella letteratura e nella storia italiana.

Ripercorrere la vicenda biografica e storico-intellettuale di Giuseppe Antonio Borgese (1882–1952) prevede quindi tappe obbligate a scandire il lavoro di ogni studioso che si accosti all’opera del critico, romanziere, novelliere, poeta, professore universitario, giornalista e saggista politico, che tra Italia e Stati Uniti, condusse la sua esistenza nel periodo più denso di sconvolgimenti mondiali del Novecento.

Dopo il «colpevole silenzio» – come lo chiamava Sciascia – durato fino alla fine degli anni ’70, rotto da qualche illuminato studio e dal convegno del 1980–82 di Catania – Ragusa – Caltanisetta a cura di Paolo Mario Sipala e quello di Palermo – Polizzi Generosa del 1983, il paziente lavoro di riedizione e promozione proposto dalla Fondazione “G. A. Borgese”, dall’Università di Firenze e da altri giovani studiosi ← 1 | 2 → negli ultimi anni ha riproposto all’attenzione l’opera e il nome di Borgese con ciò che comporta in termini di pubblicazioni; è parte di quel risarcimento a cui proviamo ad aggiungere un contributo riguardante un capitolo particolare della vita di Borgese, quello americano, definito ‘eclettico’ e che, a tutt’oggi, resta ancora da conoscere.

Esiste, infatti accanto al critico che coniò la celebre definizione di «poeti crepuscolari», all’autore di Rubè, al seguace di D’Annunzio e al discepolo di Benedetto Croce, anche il Borgese, eclettico, il giornalista militante, il Borgese degli anni trenta e quaranta, quello che potremmo definire il «Borgese americano», il comparatista ante litteram che seppe navigare nel mare di molte letterature, l’autore che fu in grado di rendere il proprio esilio volontario una palingenesi esistenziale e insieme intellettuale3.

Le ragioni di questa dimenticanza vanno ricercate senz’altro nel giudizio globale che accompagnava Borgese al momento di lasciare l’Italia nel luglio del 1931, se lo consideriamo nella lista dei 17 professori che su 1250 decisero di abbandonare la cattedra universitaria per opposizione al regime fascista di Benito Mussolini.

Processi sommari, facili condanne, abbandoni repentini, tradimenti nascosti di fascisti ex-fascisti ed antifascisti, resero la questione spinosa e Borgese un personaggio scomodo, ingombrante; giudizio legato – secondo alcuni – anche all’ uomo e al carattere borioso, antipatico e invidioso4: la ← 2 | 3 → mancata riedizione programmata dell’ opera omnia5 dello scrittore tradussero il tutto in un caso da archiviare.

Contro questi giudizi si battè in prima linea Leonardo Sciascia, più volte mostrandosi indignato di fronte a questa grave lacuna lasciata dal mondo della cultura già da A ciascuno il suo (1966), conducendo poi il più famoso ritratto dello scrittore da giovane nel 1985, e arrivando a parlarne, fino all’ultimo, un mese prima di morire, con Benedetta Craveri per “Le Monde” il 6 ottobre del 1989.

Di tutte le considerazioni che Sciascia espresse ne valga una, tratta dalla Nota a Le belle, la raccolta di racconti di Borgese per Sellerio del 1983:

Il silenzio su Borgese, insomma, è calato dopo: nel trionfante antifascismo che dal fascismo, dall’eterno fascismo italiano, sembrò ricevere certe consegne. Perché bisogna dire che se i fascisti volgarmente lo odiavano […] molti, che fascisti non erano più o meno sottilmente lo detestavano…

Lo detestava «La Ronda», anche se forse non tutti i «rondisti». E si può anche mettere in conto del fascismo, di un modo di essere fascisti. Ma lo detestava («forte disapprovazione») anche Croce. Tilgher diciamo che non lo amava. E Gramsci ne ← 3 | 4 → parlava (ne parlava nei Quaderni) con una sufficienza addirittura derisoria. E dall’Italia antifascista e repubblicana tutto ciò che non era crociano stava per diventare gramsciano, grazie anche al congruo apporto delle conversioni dal gentilianesimo (e qui è da dire che Gentile, che non aveva nessuna ragione di amarlo, e anzi le aveva tutte per non amarlo, non pesò per nulla nella persecuzione fascista verso Borgese). Il silenzio, dunque. E Borgese resta in quella terra quasi di nessuno. […]

Borgese ebbe, davvero in questo senso, “tutto”: tanti altri scrittori lo invidiarono, qualche altro intrigo fu ordito a suo danno, qualche potente lo disprezzò al punto da volerlo perdonare. Ma soprattutto ebbe quella che, secondo Voltaire, è la sventura maggiore: che molti imbecilli lo giudicarono e forse ancora, senza conoscerlo, continuano a giudicarlo.

Se Sciascia sentì dunque come un impegno civile l’atto di riabilitare la memoria del suo conterraneo, Piovene, come allievo di Borgese, nella Milano degli anni ’30 si assunse la responsabilità morale dell’allievo diretto e del debito d’affetto verso il suo maestro:

Perché si parla così poco di un uomo di tanto talento, che ebbe tanto rilievo? Si direbbe che un vento ingiusto l’abbia soffiato via dalla nostra letteratura. Le ragioni sono diverse e per andarne in chiaro ci vorrebbe una analisi non affrettata. Era partito in guerra contro frammentisti, calligrafi, rondisti, autori di prose d’arte, insomma contro tutto il formalismo politicamente neutrale che andò allora di moda. Le reazioni furono aspre, portando a eccedere anche lui, cioè a condannare alla rinfusa il cattivo e il buono come ugualmente ostili alla sua persona. […] V’era in lui una ambizione che tendeva al frenetico, ma aperta, candida, palese; proprio il genere di ambizione che invita la gente a ferire con gusto, con sadismo, perché può farlo facilmente mantenendo la propria vittima in uno stato d’ansia e di sofferenza perpetua. La politica poi ebbe una parte decisiva. I fascisti lo odiavano, i letterati neutri, ma accomodanti col fascismo si sentivano urtati da una intransigenza che stimavano boria; gli antifascisti, spiace dirlo, godevano quasi tutti dell’ostilità fascista per dargli addosso a cuor leggero in campo letterario. […] La lunga assenza dalla patria non gli giovò, e non era di quelli capaci di presentare il conto. La sua fu la vita di un passionale contro cacciatori freddi6.

Il destino di Borgese di restare sospeso nel limbo annebbiato degli abbandonati è impresso nelle parole dello scrittore di Racalmuto ← 4 | 5 → riproponendo l’angoscia del fuoriuscito durante l’esilio americano, nelle lunghe giornate di solitudine trascorse a Northampton come a Cambridge (Massachussets), a Chicago come a New York, e di cui il carteggio con La Piana dà un punto di vista privilegiato dei suoi momenti cruciali.

Lo spettro di diventare un figlio della terra di nessuno, rifiutato dalla madrepatria, sfiorò non poche volte l’anima dello scrittore che provò in ogni modo a difendere lo spazio vitale, di affetti e di lavoro, faticosamente ricostruito oltreoceano, coltivando la speranza, a volte remota, solo accarezzata, altre volte più vicina e concreta, di un possibile ritorno in Italia.

Ma l’America seppe accogliere Borgese come una seconda patria, dispensando al suo figlio adottivo consigli e suggerimenti per sopravvivere alla nostalgia e ai fastidi della quotidianeità, prima della cittadinanza e dell’ufficiale accoglienza che la nuova Atlantide seppe offrirgli, insieme al salvifico aiuto che la comunità italiana e italoamericana gli diede, già dallo sbarco dalla nave Vulcania, quando arrivò a New York, in quel 15 luglio del 1931.

1Da una conversazione avuta nel 1935 con Robert J. Clements, Preside della Facoltà di Letterature comparate di New York University, in S. D’Alberti, Giuseppe Antonio Borgese, Palermo, Flaccovivo, 1971, p. 13 e in Lettere a Giovanni Papini e Clotilde Marghieri, a c. di M. Rosaria Olivieri, Napoli, Ed. scientifiche italiane, 1988, p. 69.

2M. Onofri, Il caso Borgese in La nuova critica letteraria dell’Italia contemporanea, a c. di A. Colasanti, Rimini, Guaraldi, 1996, pp. 48–66.

3S. Bertolotti, La rosa dell’esilio- Giuseppe Antonio Borgese dal mito europeo all’utopia americana (1931–1949), Trento, Fondazione Museo Storico del Trentino, 2013, p. 12.

4Salvemini lo descriveva così a Rosselli: «Borgese – generoso, buono, intelligente a bizzeffe, ma vanitoso in maniera infantile – mi afflisse ieri sera, dolendosi con tutti gli esuli perché, negli anni che lui era in Italia, lo credettero passato al fascismo, mentre lui lottò disperatamente per non fare mai nessuna concessione positiva» da Fra le righe. Carteggio fra Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini, a c. di Elisa Signori, Milano, Franco Angeli, 2009, p. 223. Riccardo Bacchelli addirittura lo apostrofò come «paladino del malcostume e […]di quella ultima tralignazione del romanzo sociale, sperimentale, commovente, moralista, magari a rovescio, che è sempre stato fuori dell’arte». Antonio Baldini ne tratteggiava i difetti a Emilio Cecchi nel maggio 1912: “Borgese m’ha detto che di quella minestra Vico – Croce tu gli hai scritto favorevolissimamente. Chi l’ha detta la bugia?…Ma convengo anch’io che a Borg. sul muso, d’una sua cosa, non si può parlare che favorevoliss.[imamente] – anch’ io ho dovuto fare l’entusiasta: una volta che mi lasciai sfuggire che le sue lezioni universitarie fatte come lui le riescono agli ascoltatori pressochè inutili assistei alle smorfie più dolorose che su volto di Cristo abbia reso un pittore sacro” in A. Baldini – E. Cecchi, Carteggio (1911–1959) a c. di M. C. Angelini e M. Bruscia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, p. 10 e p. 165.

Missiroli a Prezzolini in una lettera del 17 marzo 1947: «Quanto mi dici di Borgese non stupisce: ha un carattere veramente difficile, e adopro un eufemismo!» (in Mario Missiroli – Giuseppe Prezzolini, Carteggio: 1906–1974, a c. di A. Botti, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1992, p. 285). E l’amico Marino Moretti, a cui era stato chiesto un ritratto di Borgese per la “Nuova Antologia”, così rispose: «Perché Borgese è difficile da ritrarre, e per quanto il ricordo di lui, mi sia caro, io, a differenza dell’intellettualissimo Giulio [Caprin], mi sento sempre più lontano da lui… I miei ritratti son quelli di Panzini, della Deledda, di De Pisis, magari Mondadori, ma Borg. uomo!» in Antonio Baldini – Marino Moretti, Carteggio (1916–1962), a c. di E. Colombo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997 p. XXXVI s.

5G. P. Giudicetti, La narrativa di Giuseppe Antonio Borgese – Una risposta alla crisi letteraria e di valori del primo 900, Firenze, Franco Cesati, 2005, p. 14.

6G. Piovene, Saggio introduttivo a F. Mezzetti, Borgese e il fascismo, Palermo, Sellerio, 1978 p. 11 s. ← 5 | 6 →

Details

Pages
VIII, 394
Year
2015
ISBN (ePUB)
9783035194326
ISBN (PDF)
9783035202960
ISBN (MOBI)
9783035194319
ISBN (Softcover)
9783034316149
DOI
10.3726/978-3-0352-0296-0
Language
Italian
Publication date
2014 (December)
Keywords
Epistolario Antifascismo Intellettualita italiana Esilio americano
Published
Bern, Berlin, Bruxelles, Frankfurt am Main, New York, Oxford, Wien, 2015. 394 p.

Biographical notes

Mirko Menna (Author)

Mirko Menna è assegnista di ricerca presso l’Università G. D’Annunzio di Chieti e si occupa di Letteratura Italiana tra Otto e Novecento. Ha curato i carteggi dannunziani D’Annunzio-Tenneroni e D’Annunzio–Bruers (2007 e 2011) e pubblicato uno studio sulla nascita del mito D’Annunzio attraverso le biografie (Vite Vissute di Gabriele D’Annunzio, 2009).

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