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Italiano e Dintorni

La realtà linguistica italiana: approfondimenti di didattica, variazione e traduzione

by Giovanni Caprara (Volume editor) Giorgia Marangón (Volume editor)
©2017 Edited Collection VIII, 588 Pages

Summary

Il volume riunisce trentatré contributi di carattere multidisciplinare e offre ai lettori una visione complessiva e attuale della realtà composita della lingua italiana e delle sue traduzioni. Le prime pagine sono firmate dal professor Gaetano Berruto, dell'Università di Torino e dalla professoressa Elena Pistolesi, dell'Università di Modena e Reggio Emilia. Seguono lavori suddivisi in quattro blocchi tematici: variazione linguistica, didattica della lingua italiana, linguistica contrastiva e traduzione da e verso l’italiano. In questo modo gli autori intendono proporre una nuova prospettiva sull’italianistica che troppo spesso si concentra soltanto sullo studio della letteratura.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Titolo
  • Copyright
  • Sull’autore
  • Sul libro
  • Questa edizione in formato eBook può essere citata
  • Contenuto
  • Prefazione
  • Nota dei curatori
  • Conferenze
  • Dinamiche nell’architettura delle varietà dell’italiano nel ventunesimo secolo (Gaetano Berruto)
  • Scrivere e parlare in Italiano. Un percorso didattico tra sociolinguistica e storia della lingua (Elena Pistolesi)
  • Variazione linguistica e didattica dell’italiano
  • L’importanza della dimensione diafasica nella didattica di italiano LS per ispanofoni: il caso delle perifrasi andare + gerundio e venire + gerundio (Maria Vittoria Ambrosini)
  • La variazione linguistica nell’aula di Italiano LS: la lingua di Cetto La Qualunque (Viviana Rosaria Ciquemani)
  • L’insegnamento della variazione sociolinguistica nei manuali di insegnamento dell’italiano per stranieri (Linda Garosi)
  • Falsi amici tra semantica e variazione linguistica. Spunti per una riflessione contrastiva sul lessico nell’aula d’italiano L2 (Gabriella Gavagnin)
  • Il parlato del libro di testo di italiano per stranieri: tre esempi (Paolo Gimmelli)
  • La fraseologia nei manuali di italiano come lingua straniera: analisi di materiali didattici (Rosario Lisciandro)
  • Insegnare la variazione linguistica: il caso delle frasi relative non-standard. Appunti per un’applicazione didattica (Paolino Nappi)
  • Sull’accordo di integrazione tra lo straniero e lo Stato: regole e scelte di percorsi linguistici e culturali (Anna Nencioni)
  • Traduzione
  • Recursos estilísticos en el Orlando enamorado traducido por F. Garrido de Villena (1555) (Helena Aguilà Ruzola)
  • La traduzione del personaggio letterario: tra simbolo e superstizione (Alessandro Ghignoli)
  • La traducción del humor en Morte accidentale di un anarchico de Dario Fo (Ana Lara Almarza)
  • Tradurre Enrique Vila-Matas: intertestualità, esplorazione di nuovi generi e di altre espressioni artistiche (Elena Liverani)
  • Alfredo Giannini y su traducción de la Estrella de Sevilla de 1924 (Alicia M. López Márquez)
  • El reto de traducir el lenguaje taurino del español al italiano (Carmen Mata Pastor)
  • Acerca de algunas traducciones españolas de Le avventure di Pinocchio (Fernando Molina Castillo)
  • Referentes culturales y humor en un cómic de Paco Roca (Rosa María Rodríguez Abella)
  • La traduzione di testi di teatro di narrazione: Luis García Araus traduttore di Ascanio Celestini (Marina Sanfilippo)
  • Diorama de la poesía de Antonio Carvajal y una traducción al italiano (Monica Savoca)
  • „Straduzioni“ e plurilinguismo. intorno alla traduzione delle opere di Laura Pariani (Leonarda Trapassi)
  • Didattica
  • Il clitico Ne tra didattica e traduzione (Alessandra Agati)
  • Il trattamento dei verbi sintagmatici nelle classi di italiano L2. Una proposta metodologica (Andrea Artusi)
  • El estudio de los verbos sintagmáticos ayer y hoy (Cesáreo Calvo Rigual / Manuel Carrera Díaz)
  • L’oralità in IL/S: Progetto Teletándem e Corinéi (Stefania Chiapello / Carmen González-Royo / G. Angela Mura / Alberto Regagliolo)
  • La visualizzazione guidata come strumento didattico nella classe d’italiano LS/L2 (Federica Simone)
  • Linguistica contrastiva dell’italiano
  • La variazione intra- e interlinguistica dell’idioletto di Laura Pariani nelle traduzioni in spagnolo di Quando Dio ballava il tango e Dio non ama i bambini (Sonia Bailini)
  • El gerundio y el participio presente en italiano y en español: el gerundio epigráfico y las huellas del participio presente (Isabel Benjumea Martín)
  • Fenómenos de variación en la lengua literaria: Antonio Manzini (Giovanni Caprara)
  • Mafalda habla en italiano: elementos para una comparación (Giorgia Marangon)
  • Los ‘italianos’ de Arrigo Boito. Reflexión sobre el posicionamiento lingüístico de Arrigo Boito en torno a la questione della lingua risorgimentale (Melina Márquez)
  • Dalla teoria alla pratica: I Dialoghi e esercizi spagnuoli-italiani, di Blanc Saint-Hilaire (1843) (Paolo Silvestri)
  • “Colapisci”, versioni a confronto della leggenda siciliana (Michela Spagnolo)
  • Volumi pubblicati nella collana

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Prefazione

Il libro che avete tra le mani è uno dei primi frutti di un progetto maturato a lungo nel tempo, concretizzatosi nella nascita dell’Associazione Spagnola di Lingua Italiana e Traduzione (ASELIT) e nella celebrazione del suo primo convegno internazionale presso l’Università di Malaga. Numerosi colleghi spagnoli delle aree di Filologia Italiana e di Traduzione, che non si ritenevano rappresentati dall’unica associazione di italianisti esistente fino a quel momento, speravano fiduciosi nella fondazione di un’associazione caratterizzata da nuove idee e nuovi modi di agire, che consentisse loro di portare avanti iniziative accademiche di alto livello e di diventare diretti interlocutori con le autorità spagnole (nazionali e regionali) e italiane insediate in Spagna (Ambasciata e Istituti Italiani di Cultura). Tale iniziativa, da tempo nell’aria, divenne un progetto solido nel luglio 2015, quando un gruppo di docenti universitari si riunirono a Valenza e istituirono legalmente la nuova associazione, convocando inoltre il suo primo convegno internazionale biennale, che si sarebbe tenuto a Malaga nell’ottobre 2016. Il successo dell’iniziativa ci fu palese quando nel giro di pochi mesi quasi una cinquantina di persone diventarono membri dell’Associazione.

Come detto prima, abbiamo voluto singolarizzarci concentrando la nostra azione su due campi che finora non avevano ricevuto l’attenzione che meritavano (limitandosi, come accade nell’italianismo di quasi tutto il mondo, allo studio della letteratura italiana): la linguistica e la traduzione. In questo modo intendiamo raccogliere intorno a noi la presenza di colleghi delle università spagnole delle aree di Filologia Italiana e anche di Traduzione (appartenenti alle numerose Facoltà di Traduzione createsi negli ultimi decenni in Spagna, nelle quali l’italiano ha un ruolo modesto, ma non trascurabile), senza però dimenticarci di molti altri colleghi dei livelli scolastici inferiori (specie dei numerosissimi professori delle Escuelas Oficiales de Idiomas — insegnanti della stragrande maggioranza di coloro che oggi in Spagna studiano l’italiano —, dei licei e delle scuole).

Il nostro primo convegno internazionale è stato intitolato “Variazione linguistica e didattica dell’italiano”. Abbiamo scelto volutamente un titolo alquanto generico nel quale molti dei nostri soci e altri studiosi si potessero sentire a proprio agio. Al contempo abbiamo ritenuto opportuno che il termine ‘didattica’ fosse presente sin dall’inizio, a sottolineare la nostra volontà di tener conto dell’insegnamento pratico dello studio dell’italiano. In un’epoca in cui l’inglese imperversa come lingua ormai universale (fatto certamente indiscusso), l’insegnamento di altre lingue nel contesto europeo, e nello specifico in quello spagnolo, dovrebbe infatti ← 1 | 2 → essere un valore da salvaguardare all’insegna del tanto sbandierato multilinguismo, attuato purtroppo molto di rado dalle nostre autorità. La nostra associazione intende rivendicare la necessità di studiare almeno una seconda lingua diversa dall’inglese, che si tratti dell’italiano o di qualsiasi altra lingua. L’italiano appartiene senza ombra di dubbio a una delle culture più ricche al mondo, e pertanto non può mancare nelle principali università, licei e scuole, non solo della Spagna ma anche del resto d’Europa. Purtroppo la situazione è lungi dall’essere rosea, per cui dovremo continuare a batterci finché non occuperà il posto che per tanti motivi — non ultimo la crescente domanda da parte degli studenti — gli spetta.

Questo volume ospita una trentina di contributi che hanno a che vedere con la variazione dell’italiano e la didattica della lingua, sebbene il ventaglio degli argomenti sia molto più ricco, come si potrà osservare scorrendo l’indice del volume. Due di essi corrispondono alle conferenze di Gaetano Berruto ed Elena Pistolesi i cui interventi hanno eccelsamente inaugurato e concluso il nostro convegno malaghegno. Nei nostri prossimi appuntamenti biennali desideriamo continuare a proporre temi monografici, lasciando però la porta aperta alla presentazione di contributi incentrati sulle nostre tre colonne portanti: la linguistica (contrastiva con lo spagnolo e altre lingue), la traduzione e la didattica.

Non posso concludere questa breve prefazione senza rendere un meritato e sincero omaggio al Prof. Manuel Carrera Díaz, uno dei promotori di questo progetto, da lui voluto e auspicato da molto tempo. Il Prof. Carrera fu anche tra i fondatori della prima associazione di italianisti spagnoli nei lontani anni ’80 del secolo scorso e ne organizzò il primo convegno a Siviglia nel 1982. Tutti noi abbiamo un debito perenne con le sue grammatiche e con le altre sue numerose pubblicazioni.

Vorrei ringraziare infine gli organizzatori del nostro incontro a Malaga e in modo particolare i curatori di questo volume, Giovanni Caprara e Giorgia Marangon. A tutti loro va la più sincera gratitudine dei membri dell’Associazione.

Cesáreo Calvo Rigual
Presidente dell’ ASELIT

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Nota dei curatori

Il volume Italiano e Dintorni. La realtà linguistica italiana: approfondimenti di didattica, variazione e traduzione riunisce trentatré contributi di carattere multidisciplinare, frutto della riflessione intorno a questioni linguistiche e traduttive. In modo particolare, per quanto riguarda la struttura della presente monografia, abbiamo creduto opportuno seguire le linee guida proposte dalla ASELIT rispettando il tema monografico “Variazione linguistica e didattica dell’italiano” e le tre sezioni che rimarranno fisse nel corso dei prossimi incontri: Didattica dell’italiano, Linguistica contrastiva e Traduzione da e verso l’italiano.

La miscellanea si apre con i contributi del professor Gaetano Berruto, dell’Università di Torino e della professoressa Elena Pistolesi, dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Seguono, nelle sezioni corrispondenti, i lavori dei ricercatori di diverse Università che, riuniti nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Malaga hanno inaugurato il primo incontro internazionale dell’Associazione Spagnola di Lingua e Traduzione (ASELIT), avvenuto il 26 e 27 ottobre 2016.

Questo primo volume, pubblicato dalla prestigiosa casa editrice Peter Lang, offre ai lettori una visione complessiva, multidisciplinare e attuale della realtà composita della lingua italiana e della traduzione. Come curatori di questo volume, vogliamo ringraziare tutti i partecipanti, conferenzieri e assistenti, gli organizzatori del Convegno, l’ASELIT e i soci, l’Università di Malaga che ha ospitato l’evento e in particolare al Vicerrectorado de Investigación y Trasferencia, e tutti coloro che, con il proprio contributo, hanno reso possibile la pubblicazione di questo volume. Non possiamo non estendere i nostri più sinceri ringraziamenti anche al presidente della ASELIT, professor Cesáreo Calvo Rigual dell’Università di Valenza, e al vicepresidente professor Manuel Carrera Díaz dell’Università di Siviglia, per il generoso e continuato contributo offerto all’italianistica in ambito nazionale e internazionale.

Giovanni Caprara
Giorgia Marangon ← 3 | 4 →

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Conferenze

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Gaetano Berruto

Università di Torino

Dinamiche nell’architettura delle varietà dell’italiano nel ventunesimo secolo

1. Per trattare il tema che affronto qui è opportuno prendere le mosse – e mi scuso in anticipo se così facendo mi troverò più volte a fare ineleganti autoriferimenti – dalla riflessione generale sull’architettura sociolinguistica delle lingue come si è sviluppata nell’ultimo trentennio. Per architettura di una lingua si intende, nel presente contesto sociolinguistico, una nozione non di linguistica interna, relativa alla forma e alle configurazioni grammaticali della lingua, ai tipi di costrutti che essa contiene e alla struttura complessiva che questi conferiscono al sistema, ma di linguistica esterna, relativa all’articolazione di una lingua in varietà e ai rapporti che fra queste varietà intercorrono. In quanto tale, la nozione di architettura ha acquisito piena cittadinanza nella linguistica della variazione grazie all’opera di Eugenio Coseriu. In Coseriu, il concetto nasce a proposito del sapere linguistico (sprachliches Wissen) del singolo individuo, ed è definito nei seguenti termini: “Die Architektur als die äußere Struktur betrifft die Zusammensetzung des sprachlichen Wissens aus verschiedenen Sprachsystemen, z. B. aus verschiedenen Mundarten, aus verschiedenen Sprachniveaus und stets aus verschiedenen Sprachstilen” (Coseriu, 2007: 263). Qui l’architettura rappresenta la composizione nel sapere linguistico individuale di diversi ‘sistemi’ linguistici: diversi dialetti (varietà geografiche), diversi livelli di lingua (varietà a base sociale), diversi stili linguistici (varietà situazionali o stilistiche); la nozione viene poi subito estesa alla lingua nel suo complesso: “Für die historische Sprache im ganzen stellt sich die Frage nach der äußeren Struktur oder der “Architektur”. Wir haben hier nach den Formen der Varietät in den verschiedenen Dimensionen des Diatopischen, Diastratischen und Diaphasischen zu fragen, d.h. der Mundarten, Sprachniveaus und Sprachstile” (Coseriu, 2007: 265). Per una ‘lingua storica’ la questione dell’architettura implica dunque che si prendano in considerazione le manifestazioni della varietà nelle dimensioni della diatopia, diastratia e diafasia (dialetti, livelli di lingua e stili linguistici).

Partendo da tale prospettiva coseriana, e sviluppandola, possiamo rappresentare come nel grafico della figura 1 un possibile schema dell’articolazione in varietà di una lingua. Gli assi rappresentano le tre fondamentali dimensioni di variazione, diatopia, diastratia e diafasia. L’asse diatopico, orizzontale, è lineare e non orientato ← 7 | 8 → né polarizzato (le diverse varietà che vi si collocano non si dispongono lungo un ordine alto/basso). Gli assi diastratico e diafasico sono invece orientati e polarizzati. Si tratta nell’insieme di un continuum multidimensionale con addensamenti, dove non vi è un confine netto e categorico fra le diverse varietà, ma una varietà è appunto un addensamento di tratti nel continuum, una zona del continuum in cui si infittiscono determinati tratti sociolinguisticamente marcati o certi tratti mostrano una particolare frequenza di occorrenza nell’uso.

Figura 1: Architettura di una lingua come continuum multidimensionale (Berruto, 2010: 237).

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Su una base di questo genere proposi nel 1987 uno schema dell’architettura dell’italiano contemporaneo che ha poi conosciuto ampia diffusione, diventando – anche contro le mie intenzioni, che erano semplicemente di indicare un esempio di possibile rappresentazione grafica dello spazio di varietà della lingua italiana nella sua articolazione generale… – uno schema di riferimento in molti lavori di linguistica italiana in prospettiva sociolinguistica. Anche se ripeto cose note, esaminiamo comunque lo schema della figura 2 nelle sue linee principali. ← 8 | 9 →

Figura 2: Architettura dell’italiano contemporaneo (Berruto, 2012: 24).

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I tre assi rappresentano tre dimensioni della variazione, diastratia, diafasia e diamesia. La dimensione diatopica non è rappresentata, non perché sia assente, ma al contrario perché nella situazione italiana è sempre presente, sullo sfondo. Gli assi della diastratia e della diafasia sono orientati e polarizzati, vanno da un estremo o polo alto a un estremo o polo basso, mentre l’asse della diamesia è orientato e non polarizzato, nel senso che esistono sì un estremo ‘parlato parlato’ e un estremo ‘scritto scritto’, ma gli estremi non corrispondono a un polo alto e uno basso, e la collocazione di un item o di un testo tipicamente parlato o tipicamente scritto come alto o basso dipende dalla dimensione diafasica nella correlazione che questa sempre ha con la diamesia.

Nello spazio definito da questi assi sono indicate, a titolo puramente esemplificativo, nove varietà di riferimento. Cinque varietà per l’asse diafasico: sul primo versante in cui è opportuno distinguere le varietà diafasiche, quello dei registri (per lo più, ‘stili contestuali’, nella terminologia internazionale), l’italiano formale aulico al polo alto e l’italiano informale trascurato al polo basso; sul secondo versante, quello dei sottocodici o linguaggi settoriali, l’italiano tecnico-scientifico al polo alto e l’italiano gergale al polo basso; con l’italiano burocratico a cavallo fra registri e sottocodici verso il polo alto). Una varietà per l’asse diastratico, l’italiano popolare (regionale), verso il polo basso; e una varietà per l’asse diamesico, l’italiano parlato colloquiale (marcato peraltro anche in diafasia, nel quadrante basso di questa).

Il centro dell’architettura è naturalmente occupato dall’italiano standard. La zona dell’italiano standard già trent’anni fa mi pareva da suddividere in due settori, l’italiano standard letterario e quello che nell’occasione chiamai ‘italiano neo-standard’1. Con tale suddivisione intendevo dar conto di una serie di fenomeni che si stavano manifestando già allora come tendenze molto evidenti. Va anche notato che l’italiano standard letterario non è collocato in corrispondenza dell’esatto centro geometrico dell’architettura, ma risulta spostato verso il polo alto sia dell’asse diafasico che di quello diastratico, essendo la buona lingua della norma scolastica, per le ben note vicende della storia culturale italiana nei secoli, piuttosto tendente al colto, all’aulicità e alla ricercatezza formale, e quindi non del tutto neutra in termini diafasici e diastratici.

Con italiano neo-standard intendevo all’incirca quello che Francesco Sabatini qualche anno prima (1985) aveva chiamato “italiano dell’uso medio”, vale a dire una varietà, parlata e scritta dai parlanti colti e non (più) sanzionata negativamente, ← 10 | 11 → che conteneva in più punti scelte diverse rispetto a quelle del classico italiano standard della corretta norma scolastica: per es., lui, lei e loro come pronomi soggetto di terza persona; l’impiego di frasi segmentate e topicalizzate, come frasi scisse o frasi con dislocazione a sinistra; la distinzione fra avere, verbo ausiliare, e averci verbo pronominale pieno (ho mangiato vs. ci ho fame), eccetera.

Un carattere comune di tali tratti era che per lo più non consistevano in effettive vere innovazioni, forme e strutture prima assenti in italiano, bensì nella promozione sociale, per così dire, a forme e strutture normali di alternative già ben presenti nella gamma di variazione della lingua italiana, nella sua porzione sub-standard, diatopicamente (regionalmente) marcati e/o diastraticamente o diafasicamente bassi. Il neo-standard non si configura quindi come una varietà di lingua nuova e diversa nei suoi lineamenti strutturali, bensì come una versione moderna e, diciamo così, de-aristocratizzata dell’italiano standard, con un’accresciuta presenza di tratti provenienti dai quadranti bassi dell’architettura dell’italiano. La tendenza generale è cioè la promozione verso l’alto di elementi sociolinguisticamente bassi (ciò che da molti è stato chiamato “sdoganamento”, con un termine metaforico introdotto da Sobrero, 2003).

In una recentissima e illuminante considerazione complessiva del neo-standard italiano, Auer (2017: 371) osserva che “the linguistic features found in the neo-standard can be linked to one or more of the following four of its characteristics: orality, informality, subjectivity/personalization and modernity”. I quattro attributi colgono perfettamente la direzione complessiva verso cui risulta muoversi l’italiano standard. Un commento particolare richiede però qui la nozione di ‘modernità’. Il concetto di modernità è certo molto attraente (e non per nulla mi è venuto spontaneo di scrivere, poche righe sopra, e prima che avessi modo di leggere il saggio di Auer, “una versione moderna” dell’italiano standard), ma non è così semplice da rendere operativo in termini linguistici. Che cosa vuol dire che una varietà di lingua è moderna? Mentre gli altri tre caratteri delineati da Auer, oralità, informalità e soggettività/personalizzazione, hanno una controparte fenomenologica empirica in tratti della struttura linguistica identificabili, ‘modernità’ pare situarsi su un altro piano: non può infatti riferirsi ad altro che all’essere le risorse che una varietà linguistica mette a disposizione del parlante (più) adeguate e rispondenti ai bisogni comunicativi ed espressivi richiesti dalle società e culture moderne. Ovviamente, l’ampio accoglimento degli anglismi di ogni genere non è che una componente, forse la più vistosa e certamente la più appariscente per i parlanti comuni, di questa modernità.

2. Il quadro globale delle dinamiche in atto nell’italiano di questo primo scorcio del ventunesimo secolo è da un lato quello di un consolidamento e un’ulteriore ← 11 | 12 → avanzata del processo avviatosi nell’ultimo ventennio del secolo scorso con l’accettazione nella norma di uso socialmente condivisa, e quindi nello standard in uso, di forme e tratti sub-standard, presenti per lo più nel parlato informale e che ora emergono anche nello scritto di parlanti colti. A questo si aggiunge nel nuovo secolo l’ingresso nella norma usuale di elementi non-standard, super-standard (o sovrastandard, suprastandard, come sono stati recentemente anche chiamati: Cerruti, 2017: 61–62), soprattutto lessicali, veicolati dal mondo della comunicazione, del giornalismo e della tecnologia.

Si tratta di un insieme di fenomeni che ho ritenuto di poter raccogliere sotto la categoria di ‘ristandardizzazione dell’italiano’2. Tale ristandardizzazione, con un orientamento verso il parlato, ha la sua origine nell’interazione di alcuni importanti fenomeni verificatisi a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Il progressivo abbandono del dialetto, per ragioni sociologiche facilmente intuibili, e il passaggio presso molte fasce di parlanti dal dialetto all’italiano come lingua anche della conversazione quotidiana3 ha fatto sì che da un lato si siano formate nuove generazioni di parlanti veramente nativi di italiano, aventi come lingua di input nella socializzazione primaria una forma di italiano regionale e non più un dialetto, e dall’altro che l’italiano, lingua tendenzialmente piuttosto aulica e di impiego per lo più scritto, si sia per così dire dovuto adattare a tutta la gamma di impieghi tipici del parlato. Il tutto, concomitante con una via via accresciuta pervasività dei mass media, con le loro esigenze di immediatezza e spettacolarizzazione veicolata anche attraverso la lingua. Verso la fine del secolo, a queste dinamiche si è aggiunta la veloce diffusione di domini d’impiego totalmente nuovi della lingua, quelli tipicamente connessi prima alla comunicazione mediata dal computer, da una tastiera, e poi alla comunicazione multimediale, che hanno portato all’emergere rilevante di nuove varietà di lingua, connesse con le novità e i mutamenti socio-culturali e tecnologici tipici del passaggio tra il secondo e il terzo millennio, con il diffondersi della new economy, della globalizzazione e del mondo digitale.

Da alcuni autori, quella che io ho definito come ristandardizzazione è stata piuttosto intesa come ‘destandardizzazione’: la cosa merita di essere almeno brevemente discussa. Mi permetto qui una lunga autocitazione (da Berruto, 2017: 34): ← 12 | 13 →

According to Auer/Spiekermann (2011, 164–5), “standardness” of a language variety can mean at least three different things: a. to be a common language, valid across a whole territory in which also other non-standard varieties are spoken; b. to be taught in school and used for writing and in formal public domains, having (therefore) official prestige; c. to be codified. Destandardisation would correspondingly mean that: a. there are regions within the territory roofed by a standard in which other competing standard varieties have established themselves; or b. the standard variety loses official prestige; or c. the standard variety reduces its degree of codification and increases in variability, accepting regional and former sub-standard features as norm-conforming.

Se ciò che sta succedendo all’italiano potrebbe essere definito come destandardizzazione nel terzo dei sensi che questo termine può avere secondo Auer e Spiekermann, e cioè la riduzione del grado di codificazione con aumento della variabilità, conseguenza dell’accettazione come conformi alla norma di tratti regionali e un tempo sub-standard, che ora coesistono nella porzione standard dell’architettura assieme ai ‘vecchi’ tratti, non c’ è tuttavia dubbio che non corrisponda agli altri due sensi del termine.

Corrisponde invece pienamente al concetto di ristandardizzazione utilizzato dal compianto Peter Koch (2014) proprio per le dinamiche recenti dell’italiano. Koch concepisce infatti l’attuale ristandardizzazione dell’italiano in termini di distanza (Distanz) vs. immediatezza, prossimità (Nähe): il ‘nuovo’ standard è il risultato di un adattamento del ‘vecchio’ standard, tradizionalmente più orientato verso le tipiche varietà scritte della ‘distanza’, alle varietà parlate dell’immediatezza, comportando un’ampia accettazione di tratti propri del parlato tipico.

Tale ristandardizzazione corrisponde dunque bene anche al processo che Mattheier (1997) ha definito ‘demotizzazione’ (Demotisierung, demotisation), vale a dire ‘popolarizzazione, democratizzazione’ dello standard: un processo in cui l’ideologia dello standard in quanto tale rimane intatta, mentre cambia la valutazione di modi di parlare (Coupland/Kristiansen, 2011: 28). Lo standard cessa «to be influenced by the written standard language. On the contrary, […] the written language began to be influenced by the spoken language» (Auer/Spiekermann, 2011: 162).

3. Ma torniamo all’architettura dell’italiano d’oggi. A cavallo del passaggio di secolo si sono infittiti fenomeni e tendenze che inducono a una rivisitazione del nostro schema. Nel primo decennio del ventunesimo secolo è infatti apparso evidente come si siano delineate e ampiamente diffuse negli usi nuove varietà che, senza sconvolgere l’architettura sociolinguistica generale della lingua, vanno ad occupare determinati spazi dello schema provocandone una parziale ristrutturazione. Tali novità si riferiscono fondamentalmente alla dimensione diafasica e a quella diamesica con questa sempre correlata. Vi è infatti stata un’evidente ← 13 | 14 → moltiplicazione di impieghi differenti sui sottoassi dei sottocodici e dei registri, vale a dire le diverse ‘tastiere’ che ci consentono di adeguare la lingua al contesto e alla situazione o che da questa sono condizionate, con la proliferazione di varietà, o forse sarebbe meglio dire ‘gamme di usi’, alcune presumibilmente effimere e transeunti, che coinvolgono diversi aspetti della variazione diafasica.

Nella riedizione 2012 del mio Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo ho cercato di catturare tale stato di cose, con una rivisitazione parziale dello schema del 1987, come nella figura 3.

Figura 3: Nuove varietà sulla dimensione diafasica-diamesica (Berruto, 2012: 191)

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Prendendo la parte dello schema in cui nella direzione orizzontale da sinistra a destra è in gioco l’asse diamesico, dallo ‘scritto scritto’ al ‘parlato parlato’, e nella direzione obliqua da sinistra in alto a destra in basso è in gioco la variazione diafasica, dal massimamente formale e sorvegliato al massimamente informale e spontaneo (versante dei registri) e dal tecnico al comune (versante dei sottocodici), ho quindi aggiunto quattro altre varietà, due verso il polo alto della diafasia, molto influenzato dallo scritto, e sul versante dei sottocodici, che ho chiamato ‘italiano manageriale’ e ‘italiano dell’informatica’; e due verso il polo basso, molto influenzato dal parlato, una sul versante dei registri, ‘italiano dei nuovi media’, e l’altra sul versante dei sottocodici, ‘italiano giovanile’.

Con ‘italiano manageriale’ intendo una sorta di sottocodice largamente usato nel mondo delle imprese e delle amministrazioni, caratterizzato da lessico tecnologizzante volto al marketing (e quindi zeppo di anglismi). Ecco un esempio testuale: ← 14 | 15 →

(1) Ipotesi di gestione in outsourcing CSI. […] Adottando l’ipotesi minima, per i PdL relativi a tutto il patrimonio, la spesa annua sarebbe sostanzialmente uguale, comprensiva dei costi di gestione e gli overheads. […] Il raffronto in un arco quadriennale, realistico per un considerevole recupero del patrimonio pregresso e di una turnover dei PdL, il confronto è di 1 miliardo rispetto ai 3 miliardi per una soluzione PC Windows. […].

Si trovano qui in poche righe tutti gli ingredienti di quanto intendo con italiano manageriale. Abbiamo un concentrato di tecnicismi in inglese (outsourcing, turnover, ormai acclimatato, e, invece molto ‘duro’ anche come tecnicismo, overheads, “spese generali”; e si noti anche l’uso aggettivale di Windows, che da nome di marca sta progressivamente diventando nome comune) e di sigle (CSI “Centro Servizi Informatici”, PdL “posti di lavoro”, PC ovviamente personal computer). Dal punto di vista sintattico, va notata la collocazione aggettivale prenominale in considerevole recupero, mentre nel contesto dovrebbe essere piuttosto recupero considerevole, con la posizione postnominale normale per l’aggettivo in funzione restrittiva e non puramente appositiva. Vi è un anacoluto con cambiamento di pianificazione: il presumibile soggetto iniziale del secondo capoverso, il raffronto, viene lasciato in sospeso (la cosa sarà certo favorita dall’essere questo un costituente particolarmente ‘pesante’, con un intricato grappolo di modificatori incassati e coordinati che seguono la testa nominale) e ripreso dal sinonimo il confronto; mentre il sintagma gli overheads è privo della reggenza preposizionale che esigerebbe nel contesto. Si noti anche l’accordo contraddittorio dell’articolo con i due anglismi integrali overheads e turnover: nel primo caso, la scelta di gli presuppone un trattamento come maschile(-neutro) non marcato del nome, su modello inglese (mentre il corrispondente italiano, spese, vorrebbe il femminile; così, anche una eventuale mediazione di head “testa”); nel secondo caso, invece, la scelta di una è esemplata sul corrispondente italiano più immediatamente disponibile, sostituzione.

L’uso di questo genere di lingua fortemente anglicizzata (chiamata a volte nella pubblicistica relativa itangliano, e anche anglo-italiano) si è diffuso in molti ambienti che abbiano a che fare con questioni di gestione aziendale e amministrativa, per es. anche, ohimè, nella burocrazia universitaria (da cui è stato prodotto il testo del frammento, che risale già a una quindicina di anni fa); e si accompagna a un compiacimento tecnologizzante (usare turnover, invece che sostituzioni o rimpiazzi o ricambi o avvicendamenti, risulta certamente più prestigioso, e forse è ritenuto più efficiente, grazie alla connotazione di tecnicità e modernità che conferisce l’inglese).

La presenza di marcati tecnicismi inglesi può diventare ancora più forte nell’ambiente economico-finanziario, come vediamo dall’esempio (2), che traggo da Antonelli (2011: 49), dove su nove unità lessicali piene ben cinque sono in ← 15 | 16 → inglese, delle quali quattro poi appartengono alla lingua speciale dell’economia e finanza, potendosi il solo rating considerare ormai di uso colto comune.

(2) Cai Chevreaux ha migliorato il rating da outperform a underperform alzando il target price a 19 euro (Il Sole-24 ore).

Con ‘italiano dell’informatica’ intendo un linguaggio settoriale che è una sorta di sottoprodotto della lingua speciale dell’informatica, quella utilizzata dagli addetti ai lavori, da cui ricava numeroso lessico utilizzato da tutti gli utenti del web. Il lessico di origine informatica e relativo a Internet è oggi pervasivo: prestiti integrali o adattati dall’inglese come (e)-mail, chat(tare), cliccare, zippare, formattare, taggare, postare, home page, server, web, password, hacker, link, blog, login, avatar, browser, username (anche usonimo), e risemantizzazioni come chiocciola (@), postare, scaricare, navigare, sono ampiamente acclimatati anche nella comune conversazione quotidiana.

Con ‘italiano dei nuovi media’ intendo invece l’insieme di molteplici usi propri della scrittura elettronica dei nuovi mezzi di elaborazione dell’informazione e di trasmissione della comunicazione, che comprendono la lingua della posta elettronica, delle chat, dei blog, dei forum, dei newsgroup, dei social network e più in generale della comunicazione via Internet, e la lingua degli sms via telefono cellulare e smart-phone.

Riporto qui qualche esempio cursorio, per forza eterogeneo. Anzitutto, due sms:

(3) MINKIA! MA QUANTO SEI PG PER STA COSA? PORTATI DA STUDIARE ;) CIAO CIBE

(4) 6uscito? io vado a dormire x’ sveglia alle 7.45.

In due righe possiamo notare tratti tipici altamente diffusi e pervasivi, a cavallo del secolo, in questo genere testuale: un disfemismo espressivo, spesso usato anche come semplice segnale di apertura, minkia (scritto con la lettera k); forti semplificazioni ed economie dal punto di vista grafico, con acronimi e abbreviazioni come pg (che sta per preso giallo, “preso male”, vale a dire “infastidito, seccato, a disagio”), cibe (che sta per ci becchiamo “ci vediamo”, saluto di congedo, da beccarsi “incontrarsi, trovarsi”), e grafie simboliche, stenografiche e logografiche (6 per sei, voce verbale; x’ per per[ché]). Alcuni di questi caratteri appaiono tuttavia oggi, come giustamente sottolinea Antonelli (2016: 199–236), nettamente in regresso, date soprattutto le innovazioni tecnologiche, che pongono molto minori restrizioni allo spazio disponibile e aumentano considerevolmente la multimedialità dei messaggi. Inutile aggiungere che le varietà si accavallano, e questi esempi ci portano anche nel territorio del linguaggio giovanile, un’altra gamma di usi molto rilevante negli ultimi decenni, su cui diremo qualcosa fra poco. ← 16 | 17 →

Gli esempi seguenti vorrebbero esemplificare qualcuna delle multiformi manifestazioni della lingua nel web:

(5) Renzo, li mortacci tua, puoi mandare in attachment il tuo cazzo di file sul cyberspazio a questo indirizzo di posta elettronica?

(6) (a) Mi scuso inoltre per la mia assenza dal ng: sono praticamente un lurkatore a causa del poco tempo a mia disposizione
(b) A proposito: fa uno strano effetto sentirsi dare del lei in un NG: fa molto newbie… per convenzione, vige il “tu” telematico
(c) Affittato DVD con molti dubbi. Il film invece si rivela avvincente e credibile. L’edizione italiana del DVD, al contrario, è una merda. E’ possibile vedere il film in versione originale solo con i sottotitoli in italiano.

Abbiamo anzitutto una e-mail confidenziale, (5), con tanto di imprecazioni (li mortacci tua), anglismi (attachment, cyberspazio), e l’impiego del termine disfemistico cazzo con valore di epiteto espressivo (il termine, con diversi valori ormai lontani dal suo originario significato di “membro virile”, è molto presente nell’italiano parlato informale). I tre branetti in (6) sono tratti da forum e newsgroup: segnalo qui solo qualche elemento lessicale nuovo e tipico del genere, come lurkatore (ingl. lurker: “persona che frequenta osservando dalle quinte una comunità virtuale, senza inviare propri messaggi”) in (6a), e newbie (“neofita, nuovo dell’ambiente”, da ingl. new beginner) in (6b). In (6c) spicca il notevole salto di registro dovuto all’immissione di un marcato disfemismo espressivo scatologico nel contesto di una recensione filmica in rete per il resto in italiano medio standard.

Negli esempi seguenti,

(7) PURE DA RENZI, GRILLO SI FA PRENDERE PER IL CULO! – “DOVEVANO CAMBIARE IL PAESE, DISCUTONO DI SCONTRINI E DIARIE. MA PRENDETE QUEI SOLDI E GOVERNATE!”. I grillini, destinati «a spaccarsi» nelle previsioni del sindaco di Firenze – critiche anche al Pd: “Bersani non ha fatto campagna elettorale, è stato un grave errore consentire il recupero di Berlusconi – Bersani ha imitato Crozza che imitava Bersani… (da un blog, 20.05.13)

(8) Questo video è un fake, ci sono delle fotografie scattate da terra che indicano che sia il motore di destra ad avere problemi e non quello di sinistra (come appare in questo video) (commento ‘postato’ sull’edizione on-line di la Repubblica” 25.05.13),

in (7) troviamo il linguaggio tipico dei blog, una sorta di scritto ‘gridato’ spesso contraddistinto da un riferimento diretto al mondo televisivo e ai politici, e qui anche marcato da un greve disfemismo; mentre in (8), un commento ‘postato’ sull’edizione on-line di “La Repubblica”, sarebbero da notare, oltre all’anglismo fake ormai molto diffuso nel linguaggio giornalistico e della rete, fatti di deissi metatestuale che qui non abbiamo tempo di commentare e analizzare. Merita invece ← 17 | 18 → osservare a questo punto che presso la gamma di usi che stiamo esemplificando si verifica volentieri uno scatenamento delle ‘brutte parole’: tre su sei dei brevi testi esemplificativi di diverso genere che ho proposto (fra 5 e 8) contengono disfemia.

Infine, va messo nello schema dell’architettura della lingua italiana d’oggi l’italiano giovanile. Il linguaggio giovanile (e la lingua dei giovani) costituiscono un settore di usi della lingua che ha guadagnato nel decorso ventennio molta visibilità. Le due designazioni, a volte se non spesso usate intercambiabilmente, dovrebbero essere differenziate: mi pare ragionevole che con ‘lingua dei giovani’ vada intesa una varietà di lingua usata da parlanti di una determinata classe d’età o classe generazionale, una varietà quindi fondamentalmente diastratica; e con ‘linguaggio giovanile’ un uso della lingua lessicalmente marcato usato in determinate occasioni dalle fasce giovanili, una varietà quindi diafasica, che può comparire anche presso non giovani.

Con ‘italiano giovanile’ intendo comunque nel mio schema quella varietà usata dai giovani in sfere esperienziali tipiche della loro fascia generazionale e caratterizzata da un lessico marcatamente peculiare. Propongo una lista esemplificativa alla rinfusa (a parte l’ordine alfabetico) di tipici giovanilismi di varia trafila di formazione (spesso metaforica o metonimica), e anche di distribuzione geografica parzialmente diversa: ameba “pigro, molle”, arterio “genitore”, beccarsi, cubo “ragazza piccola di statura e grassa”, dare buca “non presentarsi a un appuntamento”, flashato “stravolto (specie per assunzione di droga)”, gaggio “stupido, sprovveduto”, loffio “brutto, di cattiva qualità”, manico “fidanzato”, manzo “tranquillo”, osram “chi si abbronza con la lampada” (dal marchionimo OSRAM, una nota marca di lampadine), pacco “imbroglio”, scazzo “litigio, situazione fastidiosa”, scialarsi “divertirsi, spassarsela”, sclero e sclerare “essere fuori di testa, impazzire”, sgamare “adocchiare di nascosto, cogliere sul fatto”, slumare “guardare”, tonno “persona tonta” (cfr. per una sintesi Cortelazzo, 2010). Alcuni di questi saranno già presumibilmente obsoleti: gran parte del lessico giovanile va infatti considerato effimero e transeunte: la stessa natura di questa varietà di lingua comporta un veloce e continuo ricambio lessicale.

Fra i meccanismi operanti nella formazione di neologismi giovanili vanno segnalati: l’apporto di forestierismi veri o inventati (parents, arrapescion, trombador); accorciamenti e abbreviazioni: raga, simpa, prof (o sore) “professore”, chisse “chi se ne frega”; moduli di suffissazione caratteristici, per es. in -oso (balloso/palloso, cessoso, comodoso, granoso, puffoso, sballoso, slurposo, stiloso; anche -uso, di impronta meridionale ma diffuso anche al Nord) e in -aro (di impronta romana: bombolaro, caccaro, fughinaro, palestraro, punkettaro, skattinaro. Un modulo di prefissazione molto produttivo, assieme ad altri, è quello che utilizza il prefissoide, ← 18 | 19 → o semiparola, mega: megagalattico, megalibidine, megasballoso, megaspinellata. Un certo numero di giovanilismi è anche entrato nell’italiano colloquiale comune con finalità espressive: per esempio, bestiale, fico (figo), ganzo, mitico, sniffare, stangare “bocciare (a scuola)”, eccetera.

Details

Pages
VIII, 588
Year
2017
ISBN (PDF)
9783631731222
ISBN (ePUB)
9783631731239
ISBN (MOBI)
9783631731246
ISBN (Hardcover)
9783631731215
DOI
10.3726/b11600
Language
Italian
Publication date
2017 (September)
Keywords
Variazione linguistica Traduzione Didattica Linguistica contrastiva Analisi filologica Italiano/spagnolo
Published
Frankfurt am Main, Bern, Bruxelles, New York, Oxford, Warszawa, Wien, 2017. VIII, 588 p., 42 ill. b/n, 50 tab. b/n

Biographical notes

Giovanni Caprara (Volume editor) Giorgia Marangón (Volume editor)

Giovanni Caprara è docente di lingua e letteratura italiana presso l’Università di Malaga, Dipartimento di Filologia Spagnola, Italiana, Romanza, Teoria della Letteratura e Letteratura Comparata. Giorgia Marangon è docente di lingua italiana e traduzione presso l’Università di Cordova, Dipartimento di Scienze del Linguaggio, Area di Filologia italiana.

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