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Il futuro della fine

Rappresentazioni dell’apocalisse nella letteratura italiana dal Novecento a oggi

by Alessandro Baldacci (Volume editor) Anna Małgorzata Brysiak (Volume editor) Tomasz Skocki (Volume editor)
©2020 Edited Collection 242 Pages

Summary

Nellʼimmaginario culturale e letterario contemporaneo, segnato da guerre, disastri, inesorabili trasformazioni sociali e una costante ansia della fine, il tema dell‘apocalisse rimane uno dei più vitali e articolati. Il volume si propone di indagare le diverse rappresentazioni della fine nella letteratura italiana dellʼultimo secolo, spaziando dai grandi nomi del Novecento fino alla narrativa del nuovo millennio.

Table Of Contents

  • Couverture
  • Titre
  • Copyright
  • À propos des directeurs de la publication
  • À propos du livre
  • Sommario
  • Introduzione
  • Cavallo Bianco e il Cristo della seconda venuta. Guerre indiane e sovrapposizioni apocalittiche nel primo racconto di Anna Maria Ortese
  • Il fascino dell’apocalisse. L’idea escatologica in Dino Buzzati tra privilegio ed espiazione
  • “Non c’è più salvezza – più niente”. Lo scenario apocalittico nelle Poesie della fine del mondo di Antonio Delfini
  • Nella “vasta morte”. Beppe Fenoglio e l’apocalisse partigiana
  • La parola nel deserto: inizio di un’apocalisse. Teorema di Pier Paolo Pasolini
  • Crisi cosmica e rigenerazione: l’anarchia apocalittica di Pasolini
  • “Una società fattasi di cristallo”. Padri, figli e figlie nella narrativa (post-)apocalittica di Vittorio Curtoni e Laura Pugno
  • La catastrofe sospesa: l’utopia problematica di Contro-passato prossimo di Guido Morselli
  • Il ruolo dellʼApocalisse e della figura di Giuda Iscariota nella ricezione ermeneutica di Jorge da Burgos ne Il nome della rosa
  • Narrazione e apocalisse dell’esperienza. Un percorso nella novellistica di Gianni Celati
  • La fine del lavoro: l’apocalisse operaia nelle opere di Ermanno Rea, Alberto Prunetti e Angelo Ferracuti
  • The Fall of Megalopolis: Italian Representations of Cities Before, During and After Collapse
  • Anni apocalittici? Crisi del presente e nostalgia del passato nella letteratura italiana contemporanea
  • La vecchiaia è una tragedia? Soluzioni distopiche
  • Dall’allegra apocalisse al trionfo dell’everyman. Rappresentazioni della fine nella narrativa italiana degli anni Duemila
  • “Addio al mondo”: riflessioni sul romanzo apocalittico italiano degli anni Duemila
  • L’intelligenza di estinzione di Massimiliano Parente
  • Disegnare l’Apocalisse. Il senso della fine nel fumetto italiano degli ultimi anni (Gipi, Recchioni, Zerocalcare)
  • Études de linguistique, littérature et art Studi di Lingua, Letteratura e Arte
  • Titres de la collection

←6 | 7→

Alessandro Baldacci, Anna Małgorzata Brysiak, Tomasz Skocki

Introduzione

Gli articoli qui raccolti sono nati in occasione del convegno internazionale dal titolo “Il futuro della fine. Narrazioni e rappresentazioni dell’apocalisse dal Novecento a oggi”, tenutosi all’Università di Varsavia dal 4 al 6 Dicembre del 2017, organizzato dal Dipartimento di Italianistica della Facoltà di Neofilologia in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura e l’Ambasciata d’Italia in Polonia. Il convegno ha visto la partecipazione di oltre quaranta studiosi principalmente di università italiane e polacche, ma anche di altri Paesi quali Francia, Stati Uniti, Bosnia-Erzegovina e Croazia. Il progetto ha avuto fin dallʼinizio una forte natura interdisciplinare e comparatistica, spaziando dalla letteratura italiana a quella polacca e anglofona, passando per la filosofia, le arti e il cinema, fino alla cultura pop di oggi, tra fumetto, serie televisive e narrativa di genere.

Quale primo, parziale sbocco di quel fruttuosissimo incontro, nel 2019 è uscito il numero monografico della rivista Nuova Corrente intitolato Narrazioni della fine. L’apocalisse nella letteratura italiana fra XX e XXI secolo, in cui sono stati raccolti articoli sulla rappresentazione dell’apocalisse in Italo Svevo, Luigi Pirandello, Federigo Tozzi, Giovanni Papini, Curzio Malaparte, Primo Levi, Dino Buzzati, Giorgio Manganelli, Gianni Celati, Paolo Volponi, Guido Morselli, Milo De Angelis, Umberto Eco, Bruno Arpaia e Fabrizio Gatti.1 Nell’introdurre il volume avevamo avuto occasione di sottolineare che

[l] ’idea apocalittica, sin dalla sua “canonizzazione” neotestamentaria, tende a mettere in dialogo catastrofe e rigenerazione, fine e trascendenza della fine, rimandando a una prospettiva in cui la distruzione di un mondo è accompagnata dall’edificazione di un mondo nuovo. Di qui il rapporto privilegiato che il tema dell’apocalisse ha intrattenuto, sino alla nascita della modernità, con il pensiero messianico e utopico. All’unicità del “Giudizio finale”, dal disegno trascendentale, si accostano (in particolare con la modernità) le divergenti dinamiche di un evento mondano, di continua trasformazione e mutazione del presente. Richiamandoci a Frank Kermode e al suo The Sense of an Ending, potremmo dire che il paradigma apocalittico tende a oscillare fra l’orizzonte della “fine imminente” e quello della “fine immanente”. L’apocalisse di natura espressamente profetica, pertanto, sembra a tratti sfumare e l’escatologia si espande a tutta la storia, ←7 | 8→assumendo carattere di continuità, come se la fine fosse presente in ogni momento. Se da un lato Gertrude Stein scriveva: «everything destroys itself in the 20th century and nothing continues», dall’altro T.S. Eliot portava a rispecchiarsi, uno nell’altro, il senso della fine e quello della rinascita, l’Alfa e l’Omega, tanto da affermare: «in my beginning is my end / in my end is my beginning». Il postmoderno, a sua volta, a partire dall’idea di “fine della storia” e dal trauma collettivo lasciato in eredità dal secondo conflitto mondiale, si presenta sotto il segno di una diffusa ansia del disastro, di una condizione postuma, da “dopo la fine”, in cui si riattiva un peculiare dialogo con il testo giovanneo e il suo enorme potenziale simbolico, allo scopo di interrogare e comprendere i punti di crisi, e le chance di resistenza, dell’umano nella condizione contemporanea. Nell’ultimo secolo, infatti, le catastrofi storiche (le due guerre mondiali, lo sterminio di massa e l’esperienza della bomba atomica, sino alla crisi dell’antropocene), così come l’incidenza, nell’immaginario collettivo e nella cultura di massa, di visioni catastrofiche (disastri naturali, epidemie, invasioni aliene), determinano un’ampia diffusione del paradigma apocalittico come chiave per l’analisi di una condizione umana sempre più radicalmente attraversata dalla crisi, che muove verso l’orizzonte perturbante dell’estinzione o la prospettiva di una ibridazione post-human.2

Mantenendosi all’interno della medesima cornice, questo libro intende riunire la composita e ricca mole di interventi relativi al tema dell’apocalisse nella letteratura italiana dagli anni Trenta del XX secolo a oggi, emersi durante il convegno.3 La vasta panoramica degli interventi, che vanno da Ortese a Fenoglio, da Buzzati a Pasolini, da Celati a Eco fino ad autori contemporanei come Pugno, Covacich o Scurati, consente uno sguardo ampio e sfaccettato sulle diverse articolazioni e interpretazioni del paradigma apocalittico nel corso dei decenni.

Apre il volume Angela Bubba che nel suo intervento si concentra sull’opera inaugurale della narrativa di Anna Maria Ortese, il racconto Pellerossa, apparso per la prima volta nel 1933 sulla rivista La Fiera Letteraria. Si tratta di un testo che pone subito in evidenza una delle tematiche cardine della poetica dell’autrice: la denuncia del decadimento del pianeta. Allo stesso tempo la narrazione cerca un continuo aggancio alla figura del ‘Cristo della seconda venuta’, immaginato a fianco dei cavalieri dell’Apocalisse e in sella a un maestoso cavallo bianco, per un viaggio nel segno di una ‘eternità tenebrosa della morte’ in cui trova ←8 | 9→mitica rielaborazione il lutto per la morte del fratello Manuele. Legato anche a una delle figure di spicco delle leggende indiane (Cavallo Bianco) e sovrapposto perfino al patriota venezuelano Simón Bolívar, il Cristo dell’Apocalisse ortesiano, come sottolinea Bubba, è dunque messia e insieme guerriero, portatore di pace ed eroico liberatore.

Vincenzo Lisciani Petrini nel suo testo parte constatando come gran parte dell’opera di Dino Buzzati verta sull’idea fascinosa e antica di un compimento ultimo del mondo. Confondendo i piani dell’immaginario e del reale, come nella visione e nella profezia, Buzzati fornisce l’occasione di ridisegnare la fine modellandola su un’ossessione personale e collettiva che ha alla sua base l’angoscia del senso nascosta nella quotidianità straniata di una borghesia malsana, ricettacolo di ipocrisie e di orrori. La domanda struggente cui Buzzati vuole rispondere è sempre sul senso e sulla direzione del tutto. Giocando con l’immaginazione si può così corteggiare la fine non più solo per esorcizzarla, come in una medievale danza degli scheletri, ma al fine di interrogarla. Se l’Apocalisse di colpo arrivasse, assistervi, per Buzzati, sarebbe contemplazione del vero e occasione di conoscenza e di racconto: insomma, la più straordinaria delle storie. Al di là della fascinazione biblica con il suo giudizio finale e l’espiazione delle colpe (particolarmente quelle borghesi), Buzzati pare alludere allora, secondo Lisciani Petrini, al privilegio di chi vedrà esaudita l’agognata speranza del compimento, del finale grandioso, all’ultimo sigillo di ogni realtà possibile o immaginata. In questa possibilità di conoscenza è la prospettiva che l’autore propone.

Katarzyna Misiewicz-Karpińska dedica il suo intervento a Poesie della fine del mondo di Antonio Delfini, mettendo in risalto la straordinaria violenza espressionistica di un’opera sarcastica e visionaria che denuncia la corruzione del proprio tempo tramite il pedale dell’invettiva. Nell’anti-canzoniere di Delfini la catastrofe si gioca, e si compie, tanto all’interno dello spazio privato quanto su quello globale, denunciando, in anticipo sulle riflessioni pasoliniane sulla non coincidenza fra sviluppo e progresso, il ‘disumanesimo italiano’, lo scempio ambientale e antropologico prodotto nel Paese da uno sviluppo miope e selvaggio.

L’articolo di Alessandro Baldacci, a partire dagli studi di Alberto Casadei e Gabriele Pedullà, si focalizza sull’ossessiva presenza della morte nei romanzi resistenziali di Beppe Fenoglio, a partire dalla condizione postuma del reduce partigiano Ettore ne La paga del sabato, dalla condanna apocalittica del protagonista de Il partigiano Johnny, sino alle evidenti implicazioni post-apocalittiche che segnano Una questione privata, dove Milton, folle d’amore, si muove quasi per intero, nelle pagine del romanzo, in una condizione spettrale, di walking dead.

Julia Okołowicz indaga invece le implicazioni apocalittiche in Teorema di Pier Paolo Pasolini, sottolineando come ogni particolare e ogni protagonista ←9 | 10→dell’opera, uscita nel 1968, costituisca un riferimento simbolico destinato a raccontare un’evoluzione non voluta, ma avvenuta. Il corpo, messo in gioco nel film, diventa così pretesto per un racconto materialista, essendo un importante riferimento di carattere ontologico. Pare qui annullarsi tutto ciò che costituisce l’umano, a partire dalla possibilità della parola. In tale ottica Teorema, suggerisce Okołowicz, preannuncia il genocidio rappresentato nell’ultima opera del regista, Salò o le 120 giornate di Sodoma, ponendo davanti allo spettatore una prospettiva dialettica del tempo storico e mitologico, al fine di far fronte a un cambiamento sociale e linguistico irreversibile, con lo scopo di commentare il fenomeno del ‘genocidio’ prodotto dalla società di massa.

Sul medesimo autore verte l’intervento di Alessandro Fiorillo, volto a mostrare come il tema dell’apocalisse venga evocato all’interno del corpus pasoliniano, soprattutto nella poesia Patmos, nel celebre articolo sulle lucciole, nel documentario La forma della città e in Petrolio. Con le formule di ‘Dopostoria’ e ‘Nuova preistoria’ Pasolini configura una inedita ‘visione della fine’: privo di pensiero messianico o speranza nel futuro, l’orizzonte apocalittico si impone allora come un evento già consumato a cavallo tra gli orrori della seconda guerra mondiale e quella mutazione antropologica avvenuta tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Questa topografia della crisi non ripiega lo sguardo dell’artista verso una prospettiva di pessimismo apocalittico, ma impone nuove sfide per mantenere produttiva la contestazione globale e la vitalità disperata che ispirano anche gli scritti più cupi dell’autore. Lo sguardo pasoliniano emerge, all’interno del panorama artistico del Novecento, per originalità e profondità di diagnosi e di elaborazione, riattivando miti dell’antichità agenti nel contesto storico del terrorismo e del ‘nuovo Potere’, facendoli reagire in maniera produttiva con le visioni di Giovanni evangelista e Paolo di Tarso, elaborando in tal modo forme espressive capaci di problematizzare la condizione di emergenzialità che viviamo.

Il contributo di Tomasz Skocki, invece, affronta la tematica del rapporto tra genitori e figli nella realtà estrema e crudele del mondo post-apocalittico. In particolare vengono presi in esame due romanzi pubblicati a decenni di distanza ma per molti versi vicini nelle tematiche: Dove stiamo volando (1972) di Vittorio Curtoni (del quale viene analizzato anche il racconto Ritratto del figlio) e Sirene (2007) di Laura Pugno. In queste opere le condizioni spietate e invivibili del mondo dopo la catastrofe portano ad un allentamento dei legami sociali e personali, con personaggi cinici, disillusi e spesso privi della più basilare umanità, rigettata a favore degli istinti e della più bieca sopravvivenza.

Giulia Pellegrino, a sua volta, si dedica alla ‘catastrofe sospesa’ di Guido Morselli in Contro-passato prossimo a partire dalla sua pregnante pulsione utopica. La natura ibrida della narrazione morselliana conferma in questo intervento la ←10 | 11→sua apertura alle soluzioni meno ovvie, oscillando tra la riconoscibile tipologia del racconto utopico, apparentemente predominante, che ha il suo culmine nella vittoria dell’intelligenza tecnocratica, e la serpeggiante prefigurazione del tragico futuro – dominato dall’irrazionalità, non si sa quanto scongiurato eppure ancora minaccioso – dell’Europa dopo la Grande Guerra, e dopo la conclusione del romanzo. Si osserverà inoltre come, da questa prospettiva, interlocutore privilegiato con il lettore sia il protagonista-alter ego di Morselli, il maggiore von Allmen, caratterizzato in maniera duplice: da un lato come viaggiatore e documentarista dell’utopia classica, dall’altro nel segno dell’introspezione, connesso al percorso di evoluzione interiore che contraddistingue i travagliati personaggi dei sistemi antiutopici.

Katarina Dalmatin nel suo articolo analizza il ruolo dell’Apocalisse di Giovanni apostolo nella costruzione dell’intreccio de Il nome della rosa di Umberto Eco, sottolineandone l’importanza anche sul piano ermeneutico, al fine dell’interpretazione del personaggio più negativo del romanzo, Jorge da Burgos. Richiamandosi soprattutto all’approccio metodologico sviluppato dal critico francese Jouvea in L’effet-personage dans le roman, l’articolo di Dalmatin pone in rilievo il dialogo intertestuale tra alcune metafore sviluppate nel testo dell’Apocalisse e le sue interpretazioni eretiche di cui si scoprono le tracce nel romanzo di Eco.

Anna Małgorzata Brysiak, partendo dal saggio di Walter Benjamin sul tramonto della narrazione nella modernità, analizza le novelle che aprono Narratori delle pianure (1985), Quattro novelle sulle apparenze (1987) e Cinema naturale (2001) di Gianni Celati, mettendone in risalto la funzione meta-letteraria. L’autrice evidenzia come il ‘raccontatore di storie’ rimanga oggi, per lo scrittore padano, una figura resiliente, residua, che si ostina a portare avanti la narrazione, comunicandoci esperienze che sorgono, paradossalmente, dall’apocalisse della stessa esperienza nel mondo contemporaneo caratterizzato dalla massificazione e dal trionfo di una informazione vuota.

Nell’articolo di Roberto Lapia l’occorrenza apocalittica, volta a chiarire e illuminare la vera natura di ciò che è stato condotto verso la fine, si proietta fra le pagine di tre autori contemporanei: Angelo Ferracuti, Alberto Prunetti ed Ermanno Rea, i quali attraverso i loro scritti mettono in scena l’apocalisse della classe operaia italiana. Questi scrittori presentano un panorama di desolazione distopica, in cui l’umanità sconfitta (gli ex operai) rappresenta le vestigia del progetto fallito del capitalismo italiano. Se non la fine del mondo, la fine di un mondo, quello del lavoro, mettendo in risalto l’impotenza e la solitudine del soggetto operaio, nonché la fine di un modello sociale e del ‘mondo come è sempre stato’. Si tratta di narrazioni ibride, che annullano le frontiere fra i generi letterari (testimonianza, romanzo, reportage letterario) e che ci pongono di fronte ad un ←11 | 12→trittico della ‘fine’: la fine dell’oggetto (il lavoro), la fine dello spazio/luogo (la fabbrica e il territorio), e la fine del soggetto: l’operaio e la sua morte fisica.

Nel suo intervento Roberto Risso parte sottolineando come Milano, centro del miracolo economico italiano, città dell’industria, della moda e della tecnologia, duramente segnata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, divenga sfondo di due rilevanti romanzi post-apocalittici del XX secolo come Il cavallo venduto di Giorgio Scerbanenco e H come Milano di Emilio De’ Rossignoli. La tensione fra distruzione totale, annientamento, sopravvivenza e rinascita che caratterizza questi due romanzi, pubblicati negli anni Sessanta e Settanta, funge da modello per altre opere che si occupano di post-apocalisse e ricostruzione, come La caduta di Megalopoli di Roberto Vacca e i più recenti Metropoli di Massimiliano Santarossa e Skyline di Alessandro Carrera, che raffigurano New York, e la metropoli in generale, come luogo di terrore e inquietudine, spettro distopico di una città che diviene terreno di distruzione, di lotta e di (im)possibile ricostruzione.

L’articolo di Stefano Adamo mostra invece come i temi economici siano recentemente diventati una caratteristica evidente del romanzo italiano, a partire dalla crisi del 2008. Molte opere presentano una critica all’ordine economico dei tempi attuali, ponendoli in contrasto con quello degli ultimi decenni. Adamo analizza la presenza dell’economia in quattro romanzi: Come ho perso la guerra di Filippo Bologna, Dove eravate tutti di Paolo Di Paolo, La caduta di Giovanni Cocco e La fine del mondo storto di Mauro Corona, usciti negli anni immediatamente successivi alla crisi finanziaria. Il saggio approfondisce il modo in cui i quattro autori si confrontano con un passato per lo più idealizzato rispetto al presente, studiando inoltre il relazionarsi di queste opere con i meccanismi economici attuali.

Details

Pages
242
Year
2020
ISBN (PDF)
9783631833148
ISBN (ePUB)
9783631833155
ISBN (MOBI)
9783631833162
ISBN (Hardcover)
9783631809624
DOI
10.3726/b17472
Language
Italian
Publication date
2020 (November)
Keywords
XX secolo XXI secolo Letteratura contemporanea Postumo Catastrofe
Published
Berlin, Bern, Bruxelles, New York, Oxford, Warszawa, Wien, 2020. 242 p., 5 ill. b/n.

Biographical notes

Alessandro Baldacci (Volume editor) Anna Małgorzata Brysiak (Volume editor) Tomasz Skocki (Volume editor)

Alessandro Baldacci insegna presso il Dipartimento di Italianistica all’Università di Varsavia. Si occupa di poesia italiana ed europea del XX e XXI secolo. Ha scritto monografie sul tragico nella letteratura novecentesca, su Bachmann, Beckett, Manganelli, Rosselli, Caproni, Zanzotto e De Angelis. Anna Małgorzata Brysiak è ricercatrice e docente presso il Dipartimento di Italianistica all’Università di Varsavia. Ha scritto su Buzzati, Manganelli, Celati, Jaeggy e De Luca, sul quale ha anche pubblicato una monografia. Attualmente sta lavorando sul racconto e sulla forma breve nella letteratura italiana del Novecento. Tomasz Skocki è docente di Italianistica presso lʼUniversità di Varsavia. Nelle sue ricerche si è occupato principalmente di letteratura coloniale e postcoloniale italiana e di narrativa (post-)apocalittica e ucronica. Ha scritto, tra gli altri, su Flaiano, Spina ed Eco.

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