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Il nome proprio delle cose

Oggetti narranti in opere di scrittrici postcoloniali italiane

by Mario Rossi (Author)
©2016 Thesis 473 Pages

Summary

L’autore si occupa del senso di oggetti in scrittrici migranti postcoloniali sulla base di un close reading di opere di scrittrici di espressione italiana. La parte introduttiva dà ragione del possibile significato degli oggetti in opere letterarie di carattere narrativo: sulla base di stimoli provenienti dalla narratologia critica (M. Bal), dalla semiotica (U. Eco), dalla riflessione sull’arte (N. Bryson), dalla linguistica dei corpora e dalla filosofia analitica del linguaggio propone un’interpretazione degli oggetti come entità che passano dallo stato di nomi comuni a quello di nomi propri con diverso peso specifico. L’approccio così delineato viene applicato a un corpus motivatamente scelto. La conclusione riassume i risultati sul piano dei contenuti e su quello metodologico.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Titolo
  • Copyright
  • Sull’autore
  • Sul libro
  • Questa edizione in formato eBook può essere citata
  • Contents
  • 1. Percorsi di lettura
  • 2. Opzioni metodologiche
  • 2.1. Dalla parte del soggetto: la selezione dei testi
  • 2.2. Dalla parte degli oggetti: categorizzazione, cataloghi, logiche attributive e condivisione
  • 2.3. Delimitazioni di competenze e di campo
  • 3. Albania: una solida tradizione orale
  • 3.1. Procedure
  • 3.2. Un percorso storico accidentato tra paesaggi e credi di diversa natura
  • 3.3. Strutture antropologiche tra le popolazioni dell’Albania settentrionale
  • 3.3.1. Vita sociale e vita materiale
  • 3.3.2. L’istituto della vergine giurata in un codice dominato da ospitalità, onore e pudore
  • 3.4. Gli oggetti del Kanún
  • 4. Elvira Dones: ricostruire il proprio mondo altrove
  • 4.1. Sworn Virgins: gli oggetti documentati nella ricerca della libertà di genere
  • 4.2. Hana Doda tra tre mondi
  • 4.2.1. Compartimentazioni sensoriali
  • 4.2.1.1. Olfatto: tra sterco ed essenze
  • 4.2.1.2. Gusto: tra semplicità e sofisticazione
  • 4.2.1.3. Tatto: tra ruvido e liscio
  • 4.2.1.4. Vista: la forma degli oggetti con modeste derive uditive
  • 4.2.2. Oggetti animati
  • 4.2.3. La cura del corpo
  • 4.2.4. Depositi culturali
  • 4.2.5. Il sé come oggetto
  • 4.2.6. Strategie tipografiche di orientamento
  • 4.2.7. Strategie di nominazione ed effetti di riverbero
  • 4.3. Tra intensità di oggetti e di relazioni: alla ricerca di una terza via
  • 5. Ornela Vorpsi: un mondo in frantumi
  • 5.1. Varchi: nel mondo delle immagini di Ornela Vorpsi
  • 5.1.1. Frammenti d’immagini
  • 5.1.2. Descrizioni d’immagini
  • 5.2. Correlati oggettivi dell’umiltà
  • 5.3. Armi proprie e armi improprie
  • 5.4. Economia domestica
  • 5.4.1. Suppellettili di dolore
  • 5.4.2. Alimenti di base tra promessa e frustrazione
  • 5.4.3. Bevande
  • 5.4.4. Tra voluttuario e rituale
  • 5.4.5. Il regno vegetale
  • 5.5. La cura della persona
  • 5.5.1. Vestiario e accessori tra tradizione, invenzione e oppressione
  • 5.5.2. La cosmesi come ipocrisia
  • 5.5.3. Strane presenze: gli animali
  • 5.6. Tra idillio e fuga
  • 5.6.1. Soglie concrete e figurate
  • 5.6.2. Ostelli dell’orrore
  • 5.6.3. Beni culturali
  • 5.7. Due conclusioni convergenti da due punti di vista complementari
  • 5.7.1. Il monopolio della vita e della morte
  • 5.7.2. Dispersione delle istanze narranti, rapporto con gli oggetti e sguardo sul mondo
  • 6. Immagini d’Africa, di africani e di conquistatori
  • 6.1. Nelle maglie di un complesso immaginario
  • 6.2. L’Africa nell’immaginario italiano tra colonizzazione e decolonizzazione
  • 6.2.1. Antefatti tra commercio, proselitismo e guerre
  • 6.2.2. Abbandono del vecchio e conquista del nuovo
  • 6.2.3. Contatti etnici
  • 6.2.4. La società multietnica tra cinema di finzione, propaganda e resoconto giornalistico
  • 6.2.5. Tra ribaltamento di stereotipi e rinnovamento
  • 6.3. Vuoti d’immagine
  • 7. Gabriella Ghermandi: mobilità e frattura tra vita e scrittura
  • 7.1. Mobilità
  • 7.1.1. Oggetti socialmente condivisi in spazi mobili
  • 7.1.2. Incursione in Italia
  • 7.2. Peregrinazioni
  • 7.3. Linguaggio figurato e intarsi linguistici
  • 7.4. La scrittura come archivio per il recupero di spazi condivisi transgenerazionali
  • 8. Igiaba Scego: Oltre Babilonia sta la serena accettazione di un mondo variopinto
  • 8.1. Primi saggi di lettura
  • 8.2. Genealogie
  • 8.3. Tra organico, personale e sociale
  • 8.3.1. Secrezioni organiche, mutilazioni, manichini e cadaveri
  • 8.3.2. Cambiare il mondo con le proprie mani: abiti e cibi
  • 8.3.3. La fatica di trarsi dalla sporcizia
  • 8.3.4. Tra mobilità e segregazione: veicoli, carceri e cimiteri
  • 8.4. Qualità non troppo secondarie degli oggetti
  • 8.5. Strumenti e strategie di registrazione di una voce critica
  • 8.6. Fluidità di corpi, oggetti e genere con inciampi su Araweelo e sampietrini
  • 9. Ubax Cristina Ali Farah: la difficoltà della cura
  • 9.1. Una struttura intrecciata
  • 9.2. Percorsi genealogici figurati e concreti
  • 9.3. Entità emblematiche
  • 9.3.1. Scelte di campo
  • 9.3.2. Percorsi di gioie
  • 9.3.3. Semi e sabbie
  • 9.3.4. Apparati tecnologici e barriere di carta
  • 9.3.5. Due luoghi alternativi per l’aggregazione di oggetti e soggetti
  • 9.3.6. Maschere del corpo: feste in maschera e feste della diaspora
  • 9.4. Tensioni di genere tra tradizione e modernità
  • 9.5. Viola: una tonalità cromatica scarsamente ricorrente ma dotata di particolare intensità?
  • 9.6. Plasmare l’immagine del corpo proprio: strumenti, procedure ed effetti
  • 9.7. La cura in un mondo contingente
  • 10. Altre letture: cartine al tornasole
  • 10.1. Nota preliminare
  • 10.2. Oggetti in gruppo
  • 10.2.1. Enumerazioni caotiche e oggetti desueti: Leo Spitzer e Francesco Orlando
  • 10.2.2. Madre piccola I: detriti e strumentario della cura
  • 10.3. Uno sguardo affettivo sugli oggetti
  • 10.3.1. Espace louangé: Gaston Bachelard tra spazio, oggetti e metafore
  • 10.3.2. Madre piccola II: Objets louangés e objets d’hostilité
  • 10.4. Scambi di sguardi
  • 10.4.1. Walter Benjamin e lo sguardo sospettoso del flâneur
  • 10.4.2. Madre piccola III: oggetti ammiccanti
  • 11. Risultanze
  • 11.1. Tra letteratura della delusione e letteratura della prelazione
  • 11.2. Prospettive metodologiche tra categorizzazione e nomi propri
  • 12. Fonti documentarie e critiche
  • 12.1. Bibliografia
  • 12.2. Filmografia
  • 12.3. Discografia

← 10 | 11 →1. Percorsi di lettura

Il lettore sta varcando la soglia principale di un testo che al suo interno presenta diversi spazi con accessi indipendenti: unico vincolo, affinché egli non perda il senso dell’esposizione dei risultati dell’indagine, è il passaggio attraverso il vestibolo della premessa metodologica nel quale potrà indugiare con pause di maggiore o minore riflessione prima di accedere alle stanze dedicate alle singole opere. I due testi di introduzione a ciò che in prima approssimazione potrebbe esser definito come l’immaginario collettivo di alcuni aspetti culturali e storici dell’Albania e del Corno d’Africa, due zone colonizzate in tempi e forme diverse dalla monarchia italiana, dovrebbero fornire le coordinate nelle quali si possono collocare le opere da noi analizzate: le notizie di queste sezioni sono state selezionate sulla base, da un lato, della significanza che è stata loro riconosciuta dalla storiografia e, dall’altro, della loro occorrenza nelle opere analizzate, ma non sono strettamente necessarie per la comprensione del percorso argomentativo ed espositivo dei capitoli dedicati ai romanzi delle scrittrici. Si tratta di pagine introduttive la cui dimensione è giustificata dalla novità della tematica per quanto riguarda l’ambito albanese e l’inconsueto approccio metodologico per entrambi. Forniscono lo sfondo sul quale si possono convenientemente stagliare cose, situazioni e azioni messe in scena dalle narrazioni che leggeremo: sarebbe stato possibile mettere in nota o inserire ad hoc attraverso digressioni le notizie irrinunciabili per la contestualizzazione dei testi, ma ciò avrebbe interrotto il flusso espositivo. Adottando la soluzione di un testo autonomo per ciascuna area, abbiamo voluto non solo alleggerire le presentazioni dedicate alle singole opere, ma anche offrire l’humus dal quale traggono materia le autrici e i loro prodotti culturali da noi analizzati, invitando a una lettura che segua il farsi delle opere dal terreno di coltura dal quale, secondo la nostra sensibilità e secondo il nostro approccio, provengono o col quale possono esser messe in relazione. Chi vorrà leggere le due introduzioni potrà farsi un’idea del potenziale immaginario col quale, secondo le nostre conoscenze, le scrittrici da noi scelte forse hanno dialogato.1

← 11 | 12 →Prima di avviare il confronto col nostro tema, vogliamo ringraziare Birgit Wagner per aver letto e commentato passo passo la prima versione del testo nel suo farsi e Martha Kleinhans per aver letto quella versione finale e averne espresso un giudizio globale. A Rossi Tiziana, Quain Laura, e Cornelia Posch dobbiamo una lettura del testo in una fase provvisoria secondo diverse prospettive. Ringraziamo inoltre Maria Teresa Martinez Blanco, Zohra Bouchentouf-Siagh e Tatiana Silla per aver discusso singoli aspetti dei temi trattati. Il testo qui stampato, nato da persistenti esperienze concrete e letterarie dal forte impatto personale, sviluppatosi nella condivisione di conoscenze e metodi all’interno di una ristretta cerchia di persone, si è affinato nel ripiegamento riflessivo finale, con le idiosincrasie e le ossessioni che ciò comporta: confidiamo nella benevolenza del lettore e nella sua disponibilità al dialogo.


1 I rimandi a testi avvengono per citazione del nome dell’autore seguito dal titolo o dalle parti del titolo sufficienti a identificare il testo in bibliografia: in questa, in ordine alfabetico di autore e di titolo, si trova l’indicazione completa. Il corsivo è riservato al titolo cui si rimanda, mentre le virgolette sono riservate al testo in cui lo stesso eventualmente dovesse esser contenuto, volume o rivista che sia. Le opere delle autrici analizzate vengono indicate con sigle che verranno chiarite in luogo opportuno, seguite dal numero di pagina. Nelle citazioni si conserveranno corsivi e punteggiatura nei limiti della loro importanza per il contenuto. Le citazioni sono lasciate in corpo di testo a prescindere dalla loro lunghezza: solo quando costituiscono una catena di prelievi analizzati in modo dettagliato in una serie di citazioni si adotta l’isolamento dal testo tramite spaziatura e rientro. Le traduzioni da lingue straniere, se non diversamente indicato, sono di chi scrive. Le immagini tratte da opere di Ornela Vorpsi sono riproduzioni di dettagli ingranditi o ridotti secondo le esigenze di spazio.

← 12 | 13 →2. Opzioni metodologiche

Al creato sempre rivolti, vediamo

in essi soltanto il riflesso del Libero

da noi oscurato. Oppure che una bestia,

una bestia muta, alzi lo sguardo tranquilla
attraverso di noi.

Questo significa Destino: essere di rimpetto

e null’altro che questo e sempre di rimpetto.

E noi: spettatori, sempre, ovunque

sempre rivolti al tutto e mai all’aperto!

Ci riempie. Lo ordiniamo. Esso frana.

Lo ordiniamo di nuovo e franiamo anche noi.

Rainer Maria Rilke, Achte Elegie, in
“Duiniser Elegien”

Il rosso specchio occidentale nel quale arde

un’illusoria aurora. Quante cose,

lime, soglie, atlanti, calici, chiodi,

ci servono come taciti schiavi

ciecamente e stranamente segrete!

Dureranno più in là del nostro oblio;

non sapranno mai che ce ne siamo andati.

Jorge Luis Borges, Las cosas, in “Elogio
de la sombra”2

Entità migranti, oggetti narranti in autrici con un passato migratorio e postcoloniale. Tre sono le questioni di metodo da affrontare prima di avviare l’analisi dei testi: anzitutto i criteri di scelta delle autrici da leggere; in secondo luogo i criteri di selezione degli oggetti che vogliamo prendere in considerazione tra quelli presenti in opere letterarie di scrittrici che abbiano un passato di migrazione da ex-colonie italiane, oggetti che esploreremo in tutto il potenziale portato socio-culturale che vedremo implicato nel testo letterario; infine, la definizione delle vie di accesso agli stessi oggetti. Presentiamo anzitutto le autrici e il percorso che ci ha portato alla cernita delle opere da passare al vaglio della nostra lettura; se avviamo la definizione del campo d’indagine dai soggetti che hanno creato le opere d’invenzione, notiamo tuttavia che nella ricerca, in prima battuta, abbiamo lasciato sullo sfondo gli attori presenti nelle opere letterarie: ciò che ha avuto priorità è stato il tentativo ← 13 | 14 →di ribaltare le consuetudini narratologiche che solitamente privilegiano gli agenti, mentre considerano gli oggetti o come apparati di scena o come coadiutori3. La scelta di un saggio su opere di migranti, oltre che per oggettivo interesse della materia, è avvenuta per la densità di oggetti strani e stranianti che spesso si presentano in esse, in forma più o meno motivata rispetto al tessuto narrativo. La restrizione ad autrici che abbiano un passato coloniale italiano complica ulteriormente il panorama in quanto le vicende delle autrici e le storie da esse narrate sono caratterizzate da frattura nella continuità: questa è costituita da una storia condivisa con la ex-potenza colonizzatrice, mentre la rottura interviene sia per l’interruzione della vicenda storica che precede la colonizzazione e segue la decolonizzazione, sia per la volontà da parte delle autrici di narrare una contro-storia che le colloca chiaramente nell’area del writing back tipico di tanta letteratura postcoloniale di lingua inglese e francese. Il ← 14 | 15 →mondo degli oggetti evocati nelle opere letterarie esaminate e lo scenario in cui essi trovano posto forse hanno conosciuto un passato di inclusione nell’immaginario collettivo della nazione italiana in epoca coloniale con diversi gradi di profondità e articolazione; le autrici scelte spesso mettono sulla pagina frammenti di storie che intendono recuperare quei mondi e quelle latitudini, collocandoli sotto una luce diversa rispetto a quella imperante secondo discorsi correnti in diverse aree della pubblicistica italiana storica e di finzione. Nelle nostre letture sottoporremo le opere delle autrici che selezioneremo ad un esperimento analitico: immagineremo di voler prender le mosse dagli oggetti disseminati nei testi che leggeremo e verificheremo quali mondi e quali narrazioni risulteranno attraverso il nostro filtro analitico.

2.1. Dalla parte del soggetto: la selezione
dei testi

“Apro le casse della mia biblioteca. Ecco. La mia biblioteca non si trova ancora sugli scaffali, la leggera noia dell’ordine non la circonda ancora. Nemmeno posso camminare lungo le file dei libri per passarli in rivista in compagnia di cortesi ascoltatori. Questo Loro non devono temerlo. Devo chieder Loro di trasferire con me il disordine di casse ancor chiuse nell’aria riempita di polvere di legno, sul pavimento coperto di fogli di carta strappati sotto le pile di libri appena portati alla luce dopo due anni di buio per condividere almeno un po’ l’atmosfera per nulla elegiaca piuttosto tesa che essi risvegliano in un vero collezionista.

Walter Benjamin, Ich packe meine Bibliothek aus, p. 388

La letteratura di autori e autrici migranti con esperienza postcoloniale ha ormai una lunga storia dietro di sé: lunghissima e con tratti diversi secondo gli intrecci tra colonizzazione, decolonizzazione, riflessione coloniale e critica postcoloniale, per quanto riguarda le letterature di lingua spagnola, portoghese, inglese e francese, molto più recente quella italiana4. Nel corso degli ultimi trent’anni il numero ← 15 | 16 →di autori e autrici che usano la lingua del paese di accoglienza come strumento di espressione e che provengono da paesi un tempo colonizzati sono aumentati considerevolmente anche in Italia5: si trattava all’inizio soprattutto di soggetti provenienti da Stati un tempo colonizzati dall’Italia o da altre Nazioni e che erano spinti verso l’Italia soprattutto da motivazioni economiche e politiche: a questi, fin dalla fine degli anni Ottanta, si sono aggiunti anche autori nati nei paesi dell’ex-blocco comunista. Il dibattito sollecitato da migranti che prendevano la parola si è arricchito ulteriormente degli echi, a dire il vero lontani almeno sul territorio nazionale, della produzione di scrittori e scrittrici di origine italiana, emigrati all’estero o figli di emigrati, che hanno deciso o di adottare la lingua del paese d’accoglienza o di continuare a scrivere in italiano o di lavorare in un movimento pendolare tra le due lingue6. Se passiamo da un’analisi quantitativa a una qualitativa, emerge un dato ← 16 | 17 →indicativo: confrontata con le medie del mercato librario nazionale, la percentuale di scrittrici migranti è più prossima alla percentuale di scrittori migranti rispetto a quanto si può osservare nel panorama autoctono7. Un motivo per restringere il campo d’indagine alla produzione femminile potrebbe esser dunque dettato anzitutto dal desiderio di capire quali oggetti scelga una fetta così emancipata di autrici e come queste li dispongano in un cosmo più o meno ordinato attraverso la scrittura. In secondo luogo, vale la pena riflettere se i motivi che sostanziano le opere di finzione di donne migranti provenienti dalle ex-colonie che sceglieremo possa esser legato alle tematiche che frequentemente attirano l’interesse di scrittori migranti di entrambe i sessi e che trovano espressione in scritture di diversa natura e di carattere non solo creativo, come l’intervista e il saggio documentario. Costumi diversi, tradizioni culturali diverse, diversi sguardi su periodi di storia che dall’epoca pre-coloniale vanno alla conquista dell’indipendenza formale, difesa di identità ibride contro pretese di definizioni binarie e fisse: questi a grandi linee i ← 17 | 18 →temi di molta letteratura postcoloniale e di parte della cosiddetta letteratura della migrazione8. A proposito delle due aree prescelte non sempre e non necessariamente si può parlare di situazione postcoloniale in senso stretto: si tratterà di verificare se nelle opere che analizzeremo si può riconoscere il progetto di una riscrittura della storia o da un punto di vista dell’ex-colonizzato o da quello più generico del subalterno o da molteplici forme di gerarchizzazione non contrattata. Quanto al genere testuale una critica frettolosa ascrive la produzione della vasta schiera di scrittori e scrittrici migranti all’autobiografia o alla scrittura di testimonianza9. Noi, nella più ristretta cerchia delle scrittrici postcoloniali, saggeremo la forma e la presenza delle tematiche menzionate e il coinvolgimento dell’istanza autoriale, vale a dire se e, in caso affermativo, attraverso quali canali e con quali finalità, posto che queste possano esser accertate, le autrici stipulino un patto autobiografico col lettore anche con tecniche di rottura delle soglie presenti nei testi o gravitanti attorno ad essi10. ← 18 | 19 →Vale a dire che nel collocare la presenza di oggetti nel tessuto testuale prenderemo in considerazione tanto le immagini di copertina quanto le dichiarazioni poste nei ringraziamenti che possano invitare il lettore a sovrapposizioni tra l’autrice e una o più istanze narratici della vicenda.

Erminia Dell’Oro, Elvira Dones, Gabriella Ghermandi, Cristina Ubax Ali Farah, Sirad Salah Hassan, Anilda Ibrahimi, Elisa Kidané, Martha Nasibù, Shirin Ramzanali Fazel, Igiaba Scego, Ribka Sibhatu, Maria Abbebù Viarengo e Ornala Vorpsi: questo è l’elenco in ordine alfabetico delle autrici da noi individuate che abbiano un passato nelle colonie italiane, che scrivano in italiano e che siano quindi rubricabili all’interno del panorama della cosiddetta letteratura della migrazione postcoloniale di espressione italiana: una letteratura che appare impegnata a ridisegnare la mappa dell’immaginario del passato e del presente italiani11.

← 19 | 20 →Lasciando per il momento in sospeso la giustificazione della scelta degli oggetti come fuoco dell’analisi, ci chiediamo come giustificare inclusioni ed esclusioni nel gruppo di autrici selezionato e, tra queste, come individuare le opere da sottoporre a serrata analisi12. Cerchiamo di utilizzare criteri classificatori intuitivi di carattere anagrafico, cominciando con la situazione del Corno d’Africa. Se si privilegiasse il luogo di nascita si giungerebbe alla seguente semplice bipartizione: Cristina Ubax Ali Farah e Igiaba Scego sono nate in Italia e in seguito hanno trascorso un periodo di tempo nel Corno d’Africa, mentre tutte le altre autrici sono nate nell’area che era stata sotto il dominio coloniale italiano. Assumendo come criterio di selezione l’albero genealogico, il quadro si fa più variegato; ad autrici figlie di genitori non italiani, come Igiaba Scego, figlia di somali, e Ribka Sibhatu ed Elisa Kidané, figlie di eritrei, si affiancano autrici dalla storia familiare tormentata: Gabriella Ghermandi è nata ad Addis Abeba da padre italiano e madre italo-eritrea; Cristina Ubax Ali Farah è nata da madre italiana e padre somalo; Maria Abbebù Viarengo è frutto di un matrimonio misto tra padre piemontese e madre Oromo d’Etiopia13; Erminia Dell’Oro è nata in Eritrea da famiglia italiana con radici ebraiche; Martha Nasibù, che scrive in italiano, è figlia di un governatore di Addis Abeba e di una nobile di origine russa; Shirin Ramzanali Fazel è nata a Mogadiscio da padre pakistano e madre somala; infine di Sirad Salah Hassan sappiamo solo che è nata a Mogadiscio, si è trasferita negli Stati Uniti d’America, ha sposato un medico somalo e vive tra Scandicci, presso Firenze, e gli Stati Uniti. Se invece tentiamo di rubricare le autrici sulla base di un altro dato anagrafico, vale a dire la data di nascita, le si può distribuire su una linea del tempo secondo il seguente ordine procedente dalla più anziana alla più giovane: Martha Nasibù (1931), Ermina Dell’Oro (fine anni ’30)14, Elisa Kidané (1956), Shirin Ramzanali Fazel (1959), Ribka Sibhatu e Sirad Salah Hassan (1962), Gabriella ← 20 | 21 →Ghermandi (1965), Cristina Ubax Ali Farah (1973), Igiaba Scego (1974). Per Maria Abbebù Viarengo manchiamo di dati precisi, ma dalla data della pubblicazione del frammento dell’autobiografia si può supporre una collocazione mediana intorno ai primi anni Cinquanta. Dalla serie numerica possiamo trarre un dato indicativo: si tratta, eccezion fatta per Erminia Dell’Oro e Martha Nasibù, di persone che non hanno fatto esperienza diretta del periodo coloniale italiano15.

Volendo considerare la data di nascita letteraria piuttosto che quella biologica e considerando solo i testi creativi di un certo respiro, ne risulterebbe la seguente serie: Erminia Dell’Oro16, Shirin Ramzanali Fazel17, Ribka Sibhatu18, Maria Abbebù Viarengo19, Elisa Kidané20, Gabriella Ghermandi21, Igiaba Scego22, Martha Nasibù23 e Cristina Ubax Ali Farah24. Questi dati quantitativi, se presi separatamente, oscurano, da un lato, la regressione dell’età alla quale le autrici cominciano a praticare la scrittura man mano che ci avviciniamo ai giorni nostri nella data di nascita e dall’altro la professionalizzazione della scrittura: le generazioni più giovani iniziano a scrivere prima e spesso sulla base di una formazione letteraria che avviene all’interno di definiti curricula universitari, per lo più in studi d’indirizzo letterario o antropologico25.

Se dalla dimensione temporale implicata dai tre precedenti criteri si passa alla cartografia della vicenda migratoria, si possono aggregare le autrici in due ← 21 | 22 →schieramenti: uno caratterizzato da migrazione bipolare e l’altro invece caratterizzato da movimenti migratori più compositi. Al primo gruppo appartengono Ermina Dell’Oro (Eritrea - Italia), Maria Abbebù Viarengo (Somalia - Piemonte26), Ribka Sibhatu (Eritrea - Italia), Gabriella Ghermandi (Addis Abeba – Italia – Bologna), Igiaba Scego (Roma – Mogadiscio – Roma). Più varie, invece, le traiettorie descritte da Cristina Ubax Ali Farah, Martha Nasibù ed Elisa Kidané: la prima da Verona, dove nasce nel 1973, si sposta a Mogadiscio, dove rimane fino al 1991, per poi recarsi a Pécs in Ungheria, e far ritorno a Verona nel 1993. La seconda, figlia di un funzionario etiope, vaga in esilio per diversi paesi del mondo, mentre la terza dalla nativa Segheneti in Eritrea, si sposta ad Asmara, viaggia come suora missionaria in America Latina, per trasferirsi infine in Italia stabilendosi a Roma. Infine Shirin Ramzanali Fazel unisce una migrazione bipolare dalla Somalia all’Italia (Novara) a periodi trascorsi in Zambia, Arabia Saudita e Stati Uniti.

Details

Pages
473
Year
2016
ISBN (PDF)
9783653056884
ISBN (ePUB)
9783653964387
ISBN (MOBI)
9783653964370
ISBN (Softcover)
9783631664711
DOI
10.3726/978-3-653-05688-4
Language
Italian
Publication date
2015 (November)
Keywords
Postkoloniale Literatur Italiens Narratologie Fiktionale Objekte Frauenliteratur
Published
Frankfurt am Main, Berlin, Bern, Bruxelles, New York, Oxford, Wien, 2015. 473 p., 4 ill. a colori, 6 ill. b/n

Biographical notes

Mario Rossi (Author)

Mario Rossi, laureato in filosofia all’università di Bologna, dopo aver insegnato in contesti a diversa presenza migratoria, è giunto all’insegnamento universitario dove ha approfondito la tematica degli oggetti in ambito postcoloniale.

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