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Cristo primizia dei morti e la risurrezione dei credenti

Studio su 1Cor 15

by Gaetano Di Palma (Author)
©2014 Monographs 310 Pages

Summary

Nel libro si commenta il capitolo 15 della Prima Lettera ai Corinzi. I greci ammettevano una risurrezione corporea a condizione che si trattasse di un uomo caro agli dei e con il corpo ancora incorrotto. Si spiega, pertanto, la difficoltà di alcuni tra i corinzi: essi accettavano la risurrezione di Cristo, ma non quella dei credenti alla fine dei tempi. Seguendo l’argomentazione che si sviluppa con gradualità nel capitolo 15 di 1Cor, nel saggio si cerca di far emergere con chiarezza la risposta di Paolo, il quale dimostra di non essere ignaro della cultura del proprio tempo e di servirsene per spiegare il «mistero», secondo cui non tutti i cristiani moriranno, ma tutti dovranno essere trasformati. Al termine del libro, infine, sono ripercorsi i primi secoli dell’era cristiana trattando alcuni autori che si sono dedicati a tale tema e, in particolare, hanno citato questo testo paolino.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Titolo
  • Copyright
  • Sull’autore
  • Sul libro
  • Questa edizione in formato eBook può essere citata
  • Indice generale
  • Introduzione
  • Dal giorno della risurrezione all’annuncio nell’Areòpago
  • Una breve presentazione del nostro lavoro
  • Esiste un’idea di risurrezione prima e fuori del cristianesimo?
  • Capitolo primo: La dispositio di 1Cor 15
  • Paolo e la retorica
  • 1Cor 15: strategia e dispositio
  • Capitolo secondo: «A voi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto»
  • Il testo di 1Cor 15,1–11
  • La struttura di 1Cor 15,1–11
  • Voglio rendervi più edotti
  • Ho trasmesso quello che ho ricevuto
  • Tradizione e recezione
  • Tradizione e redazione in 15,3–7
  • I vv. 3b–5a
  • I vv. 5b–7 e 8
  • Il più piccolo tra gli apostoli
  • Conclusioni
  • Capitolo terzo: Il problema dei corinzi
  • I greci e l’idea della risurrezione
  • L’immortalità e l’inseparabilità tra corpo e anima
  • Perché sì alla risurrezione di Gesù e no a quella dei morti?
  • Conclusioni
  • Capitolo quarto: Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto!
  • Se non c’è risurrezione, la fede non ha senso (1Cor 15,13–19)
  • Il problema “logico”
  • Gli effetti della negazione
  • Capitolo quinto: Cristo, invece, è la primizia (1Cor 15,20–28)
  • La struttura del testo
  • Cristo primizia dei dormienti (v. 20)
  • In Cristo tutti saranno vivificati (vv. 21–22)
  • Ciascuno nel suo ordine (vv. 23–24)
  • Affinché Dio sia tutto in tutti (vv. 25–28)
  • Tutto ha sottomesso
  • Anche il Figlio sarà sottomesso
  • Capitolo sesto: Tornate in voi stessi e non peccate (1Cor 15,29–34)
  • La struttura del testo
  • Che cosa faranno quelli che si fanno battezzare per i morti?
  • Perché ci esponiamo continuamente al pericolo?
  • Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo
  • Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi
  • 1Cor 15,29–34 è un’interpolazione non paolina?
  • Capitolo settimo: Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno? (1Cor 15,35–41)
  • La struttura del testo
  • Ma qualcuno dirà
  • A ciascuno il proprio corpo
  • O stolto!
  • Ciò che tu semini
  • Non il corpo che nascerà ma il semplice chicco
  • Dio dà un corpo
  • Non ogni carne è uguale
  • Capitolo ottavo: L’uomo che è di terra e l’uomo che viene dal cielo (1Cor 15,42–49)
  • La struttura del brano
  • Così è anche la risurrezione dei morti
  • I verbi speivretai ed ejgeivretai
  • Il “corpo” e le prime tre attribuzioni
  • Il corpo “psichico” e “pneumatico”
  • Il confronto tra il primo e l’ultimo Adamo
  • I due Adami
  • “Essere vivente” e “Spirito datore di vita”
  • L’immagine dell’uomo terrestre e dell’uomo celeste
  • Conclusioni
  • Capitolo nono: Dov’è, o morte, la tua vittoria?
  • La struttura del brano
  • Tutti saremo trasformati
  • L’impossibilità di ereditare (v. 50)
  • Ecco, io vi annuncio un mistero… (vv. 51–52)
  • La morte è stata inghiottita nella vittoria
  • Si compirà la parola della Scrittura
  • Il peccato e la legge
  • Perciò, fratelli miei carissimi
  • Capitolo decimo: Asterischi patristici
  • I padri apostolici
  • Le reazioni al difficile rapporto con la carne
  • Galeno, Celso e Origene
  • Dopo Origene
  • Da Ilario ad Agostino
  • Ilario: dalla forma servi alla forma Dei
  • La posizione di Porfirio sulla risurrezione
  • Agostino: dal corpus animale a quello spirituale
  • Conclusioni
  • Conclusione
  • La teoria di Hick rivisitata
  • Il mistero della trasformazione
  • La risurrezione: contenuto portante dell’escatologia paolina
  • Una riflessione pastorale: Paolo dialoga con la cultura del suo tempo
  • Bibliografia generale

← 8 | 9 → Introduzione

Il 16 Nisan di un anno tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 del I secolo viene indicato da Mc 16,2, Lc 24,1 e Gv 20,1.19 con un’espressione linguistica inconsueta: th`/ de; mia`/ tw`n sabbavtwn1. Un acuto esegeta si è soffermato qualche anno fa su quest’espressione che introduce i racconti della risurrezione, non accontentandosi di rilevarne la stranezza grammaticale2. Infatti quelle parole, che normalmente vengono tradotte «il primo giorno della settimana», andrebbero rese meglio così: «il giorno “uno” della settimana», perché in greco non c’è l’aggettivo numerale ordinale, bensì quello cardinale.

Quella che, a prima vista, potrebbe sembrare un’originalità degli evangelisti ha una sua ragion d’essere, in quanto quel 16 Nisan, quando le donne si recarono al sepolcro di buon mattino, non trovarono ciò che si aspettavano, ma una tomba aperta e vuota con gli angeli che spiegarono il grande segno: la risurrezione. Quell’aggettivo numerale cardinale richiama, dunque, il modo in cui la versione dei Settanta traduce l’espressione ebraica yôm ’eḥād contenuta in Gen 1,5. Allora si trattava del “giorno uno” della prima creazione, quando la luce e la tenebra furono separate da Dio e si cominciò a porre ordine nel caos primordiale; ora, invece, in quel 16 Nisan la tenebra della morte fa posto alla luce piena di vita promanante dal Cristo, il quale apre la storia all’eschaton con la risurrezione. Ci associamo alle parole dell’esegeta Yves Simoens: «La risurrezione segna la fine del tempo nel tempo, l’escatologia nella storia, la pienezza nella contingenza fondata ma relativizzata»3.

← 9 | 10 → Dal giorno della risurrezione all’annuncio nell’Areòpago

Una ventina d’anni dopo quei fatti un giudeo di nome Shaul, noto anche con il nome romano Paolo, stava parlando all’Areòpago di Atene a un pubblico nel quale si trovavano anche filosofi epicurei e stoici (cf. At 17,18). Costoro lo avevano invitato a chiarire il suo insegnamento risultante strano al loro udito (cf. At 17,20). Per alcuni Paolo era uno spermolovgo" (At 17,18), che di solito equivale a un insulto secondo diversi scrittori greci; tuttavia, per avergli chiesto di parlare, vuol dire che erano spinti dalla curiosità di ascoltare questo “seminatore di parole”4. Per altri era un annunciatore di divinità straniere (xevnwn daimonivwn dokei` kataggeleu;")5.

L’autore di Atti aveva anticipato che Paolo annunciava Gesù e la risurrezione (cf. At 17,18) e appena disse ai convenuti all’Areòpago «perché egli [Dio] ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti» (At 17,31), fu interrotto e congedato. Le reazioni infatti furono di due tipi: presumibilmente gli epicurei lo deridevano, mentre gli stoici lo invitarono ad approfondire il discorso6.

Archiviata quella che dagli Atti viene fatta percepire come la “delusione di Atene”7, dalla quale, però, non fu cacciato in malo modo ← 10 | 11 → rischiando la vita com’era successo a Filippi, a Tessalonica e a Berea, a coronamento del suo secondo viaggio missionario l’apostolo giunse a Corinto, capoluogo della provincia di Acaia, verso la fine dell’anno 50 d.C.8. Era partito diversi mesi prima da Antiochia di Siria e aveva visitato quasi tutte le comunità fondate nel primo viaggio nelle regioni meridionali dell’Anatolia, inoltrandosi verso le coste bagnate dal mar Egeo. A Troade ebbe una visione notturna: un macedone lo supplicava di aiutare i suoi connazionali. Così decise di sbarcare sul territorio europeo, fondando comunità nelle già ricordate città di Filippi, Tessalonica, Berea e Atene.

A Corinto9, ricco e vivace capoluogo della provincia dell’Acaia, Pao- lo sostò circa diciotto mesi, fondando la comunità più “effervescente”, quella che gli darà più problemi, ma che non per questo sarà meno amata delle altre. Tra i corinzi e l’apostolo c’è stato un consistente scambio epistolare, del quale ci sono tramandate le due omonime e corpose lettere. Per il nostro tema ci limitiamo a prendere in considerazione la prima lettera, redatta a Efeso non oltre il 55. Paolo aveva ricevuto dei messaggeri dalla comunità, con la preghiera di fornire chiarimenti circa le disposizioni da lui date in una precedente missiva non pervenutaci. Tra i vari problemi ai quali Paolo doveva dare soluzione è incluso anche quello riguardante la natura della risurrezione dei credenti in rapporto alla risurrezione di Cristo10. A Corinto quindi si era discusso sull’insegnamento riguardante la risurrezione, specialmente sulla possibilità che avvenisse quella dei morti, poiché quella di Cristo non sembrava fosse messa in dubbio11. A tale questione l’apostolo dedica il capitolo quindicesimo della lettera.

← 11 | 12 → Una breve presentazione del nostro lavoro

Leggere uno scritto di Paolo non è mai stato facile, per i suoi contemporanei come per noi che non disponiamo con precisione di tutte le coordinate storiche e culturali del suo tempo. L’apostolo ha sempre affascinato i suoi lettori che si sono impegnati a studiarne le lettere, primi testi del nascente cristianesimo. 1Cor 15 poi ha un motivo in più per essere investigato: si parla del cuore della speranza cristiana, la risurrezione dei credenti in Cristo.

Tale tema è stato frequentemente al centro della ricerca teologica in genere e di quella esegetica in particolare, anche in questi ultimi decenni12. Il nostro punto di vista è eminentemente esegetico, preoccupandoci di affrontare i vari problemi posti dal testo facendo ricorso alle metodologie esegetiche. Trattandosi di un testo paolino adotteremo l’analisi retorica, come si dirà nel primo capitolo dedicato alla dispositio. Seguendo la suddivisione individuata con la dispositio abbiamo organizzato l’esegesi delle varie sezioni di 1Cor 15, partendo sempre dalla struttura del testo e poi impegnandoci nella sua semantica. Abbiamo cercato di dare ampio spazio agli studi più seri e interessanti sulle varie parti della pericope, pur coscienti che non sempre è stato possibile riferire e discutere tutte le proposte avanzate dagli specialisti. La mole degli studi è notevole, ma non sempre si riscontra grande originalità.

Un certo interesse l’abbiamo riservato al tentativo d’individuare un motivo più plausibile della negazione che “alcuni” opponevano alla risurrezione dei morti, come si può leggere nel capitolo terzo. D’altronde abbiamo cercato di non “risparmiare”, quando erano necessari, i riferimenti alla letteratura e cultura giudaica ed ellenistica i quali, talvolta in negativo e talvolta in positivo, possono aiutare a precisare il pensiero dell’apostolo. Siamo del parere che non bisogna entusiasmarsi troppo per le facili comparazioni, perché Paolo può non aver avuto accesso ← 12 | 13 → diretto ad autori e filosofi – anche Filone Alessandrino – ma soltanto poté essere ben inserito nel suo tempo, nel quale erano presenti fermenti e lasciti culturali di notevole importanza, come avviene anche oggi.

Quanto ai destinatari di 1Cor 15 riteniamo opportuno ripercorrere in breve quanto dice Johannes N. Vorster13. Lo studioso sudafricano, sulla scorta di vari autori che esamina, invita a distinguere i “lettori impliciti” dai negatori della risurrezione. I motivi sono diversi:

Paolo si riferisce, in 15,1–11, al tempo in cui i suoi lettori impliciti condividevano con lui il kerygma; questo è avvenuto nel passato che l’apostolo ricorda in maniera positiva perché era il momento nel quale essi condividevano con lui anche il medesimo universo simbolico e c’era un riconoscimento della relazione gerarchica e dell’autorità apostolica, che dev’essere ristabilita basandosi sui motivi che collegano strettamente l’autore e i suoi destinatari.

l’ammonimento contenuto nei vv. 33–34 serve a distinguere i destinatari/lettori impliciti dai negatori e a ristabilire la relazione gerarchica tra i primi e Paolo; egli esorta i destinatari a non adottare modi di pensare e comportamenti contrari ai loro interessi, avendo l’autorità di farlo poiché i negatori non hanno una vera conoscenza di Dio.

La domanda retorica posta nel v. 12 presuppone che i lettori impliciti siamo d’accordo con l’autore nel considerare assurda l’obiezione di “alcuni” che potrebbero essere tra i destinatari, ma vengono isolati e marginalizzati.

Nei vv. 1.31.50.58 Paolo utilizza il termine ajdelfoiv come mezzo d’identificazione e di ristabilimento della relazione gerarchica con i lettori impliciti, ai quali rivela un mistero (cf. v. 51) e con questo un ruolo nel processo di trasformazione per partecipare alla risurrezione e nella vittoria contro la morte (cf. vv. 52ss).

L’apostolo scrive a costoro cercando di motivarli a recuperare le cose positive del passato – la fede – e a confermare la lealtà. Infatti egli continua ad annunciare ciò in cui essi hanno creduto e che stanno mettendo in dubbio, rischiando di non partecipare alla risurrezione perché sono tentati di aderire a un “altro vangelo” che non assicura loro alcun vantaggio. Difficile è delineare bene la tesi dei negatori, sulla quale ci soffermeremo nel corso del nostro lavoro.

← 13 | 14 → Esiste un’idea di risurrezione prima e fuori del cristianesimo?

Prima d’intraprendere il nostro percorso ci sembra opportuno prendere brevemente in considerazione questa domanda complessa. Ci limiteremo al contesto mediterraneo, ricordando che sono stati compiuti notevoli studi in proposito dal punto di vista storico-religioso14. Qualche piccolo riferimento alla risurrezione nel mondo giudaico lo faremo nel capitolo terzo, ricordando due studiosi che si sono ampiamente occupati di tale argomento delicatissimo. Inoltre, quando la situazione lo richiederà, citeremo testi di Qumran e pseudepigrafi15. In questo momento a noi interessa considerare il versante delle religioni del Mediterraneo, nelle quali qualche studioso del passato ha ravvisato la presenza della categoria del dying and rising god.

È di grande aiuto al riguardo un volume curato da Paolo Xella, pubblicato poco più di dieci anni fa16. Con la collaborazione di vari esperti delle civiltà e delle religioni dell’antico Mediterraneo vengono esaminate le figure delle divinità che sono state considerate appartenenti a tale categoria per molto tempo dagli studiosi di storia delle religioni. Si tratta di divinità celebri, come l’egiziano Osiride, il mesopotamico Dumuzi-Tammuz, l’anatolico Telipinu, il siriano Baal, i fenici Melqart, Eshmun e Adonis, il frigio Attis e i greci Demetra, Kore e Dioniso.

Un rapido cenno al significato della categoria del dying and rising god è utile, poiché già alcuni tra i primi autori cristiani furono colpiti da analogie più o meno attendibili tra taluni culti pagani e la “vera religione” ← 14 | 15 → riguardanti morti divine, ritorni o risurrezioni e conseguenze per l’umanità. Nella Prefazione del libro da lui curato Xella formula esplicitamente queste domande che tante volte ci si pone quando ancora oggi vengono studiati tali argomenti:

Se esistono prima di Cristo tradizioni relative a personaggi divini che hanno anch’essi sperimentato e superato la morte, e se questa vicenda ha conseguenze positive (talora addirittura salvifiche, a vario livello) per l’umanità, c’è un rapporto storico e genetico con la vicenda di Gesù? Qual è la consistenza, quali i limiti (se ve ne sono) della novità di quest’ultima e del messaggio su di essa incentrato? Si tratta di un “modello” mitico-rituale preesistente e confluito mutatis mutandis nella tradizione cristiana, oppure quest’ultima, con una metabasis eis allo genos, ha compiuto anche sul piano storico un incomparabile salto di qualità, segnando indelebilmente l’itinerario spirituale dell’umanità?17.

Lo studioso non risponde a tali interrogativi che chiamano in causa anche il teologo, ma correttamente – a nostro avviso – segna i limiti del lavoro suo e dei suoi colleghi, impostato sull’indagine rigorosa e obiettiva delle fonti e delle tradizioni circa le figure di queste divinità morenti. Tale ricerca dimostra che l’unica divinità per la quale esiste l’attestazione certa di un ritorno alla vita è il siro-palestinese Baal. Per questo e per altri motivi entra in crisi la fortunata definizione di sir James George Frazer di dying and rising god, maturata dopo lo studio di Adonis, Attis e Osiride, ma ignorando di esaminare proprio Baal e divinità fenicie come Melqart ed Eshmun18.

Naturalmente ciò non toglie nulla all’originalità dell’annuncio della risurrezione nel kerygma cristiano, perché un discorso analogo potrebbe essere fatto ricordando come il giudaismo contemporaneo di Gesù e di Paolo conosceva la risurrezione oggetto di fede dei farisei. Non dovrebbe esserci alcuna difficoltà, ormai, ad ammettere quanto siano state profonde le influenze della cultura e religione cananea su quella ebraica e quale debito abbia il cristianesimo verso quest’ultima. Le vie della rivelazione sono molto più limpide di quello che sembrano e sono passate anche attraverso il faticoso e non sempre comprensibile cammino storico con il quale – progressivamente e gradualmente – si è giunti al culmine, a quella «profonda verità, poi, che questa rivelazione ← 15 | 16 → manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini»; essa «risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione» (DV 2).

Possiamo altresì aggiungere che l’esistenza dell’idea della risurrezione al di fuori del cristianesimo può aver aiutato il kerygma, fornendo un “appoggio” a quanti credevano, in modo da non far trovare tanto irragionevole la fede in Cristo risorto, che poteva essere quindi più “semplice” da accettare. Il passaggio più complicato era invece la fede nella risurrezione dei morti, come accadde a Corinto. In questo senso davvero Gesù può rivelarsi la risposta all’umanità che si pone la domanda circa la vita, la morte e il destino ultimo del nostro essere.

Proprio per il rispetto a chi cerca con il cuore pieno di speranza una risposta capace di dare maggiore senso alla sua vita occorre presentare l’annuncio cristiano fedelmente, senza farsi “contaminare” dalle tentazioni di ridurre la risurrezione a un mito, in special modo per il motivo che il cristianesimo, con Paolo a capo, parla di una “risurrezione corporea”19.

← 16 | 17 → Avvertenze

Per le abbreviazioni dei libri biblici, seguiamo quelle della Bibbia di Gerusalemme. I testi biblici, se non è indicato diversamente, sono tratti da La Sacra Bibbia nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana del 2008. Inoltre, per comodità del lettore, abbiamo preferito evitare di usare le sigle dei nomi delle Riviste e di altre opere come i Dizionari, ad eccezione di:

CChL

Corpus Christianorum Latinorum, Turnhout 1954–…

GLAT

G.J. BOTTERWECK – H. RINGGREN (edd.), Grande Lessico dell’Antico Testamento, edizione italiana a cura di F. Montagnini, G. Scarpat, O. Soffritti e altri, 4 voll., Brescia 1982–2004.

GLNT

G. KITTEL – FRIEDRICH (edd.), Grande Lessico del Nuovo Testamento, edizione italiana a cura di F. Montagnini, G. Scarpat, O. Soffritti, 15 voll., Brescia 1968–1988.

NBA

Nuova Biblioteca Agostiniana, Roma 1965–…

PG

MIGNE J.-P. (cur.), Patrologiae cursus completus. Series graeca, 165 voll., Parigi 1857–1866.

PL

MIGNE J.-P. (cur.), Patrologiae cursus completus. Series latina, 222 voll., Parigi 1844–1865.

SCh

Sources Chrétiennes, Paris 1941–… ← 17 | 18 →

______________

1 L’evangelista Marco non ha il de;. Secondo la cronologia del Quarto Vangelo, Gesù fu posto nel sepolcro nel pomeriggio del 14 Nisan, il giorno della Parasceve, ossia della preparazione alla festa della Pasqua, che ricorreva il 15 Nisan, di sabato.

2 Cf. Y. SIMOENS, Secondo Giovanni. Una traduzione e un’interpretazione, Edizioni Dehoniane, Bologna 1997, 790–793.

3 Ivi 790–791.

4 Su tale termine, cf. C. SPICQ, Note di Lessicografia neotestamentaria, Paideia Editrice, Brescia 1994, 2, 550–551, che ne esamina anche l’uso negli scrittori della grecità classica.

5 Cf. B.W. WINTER, Introducing the Athenians to God: Paul’s failed apologetic in Acts 17?, in Themelios 31 (2005) 1, 38–59, in particolare 39–45; ID., On Introducing Gods to Athens: an Alternative Reading of Acts 17:18–20, in Tyndale Bulletin 47 (1996) 1, 71–90; K.L. MCKAY, Foreign Gods Identified in Acts 17:18?, ivi 45 (1994) 2, 411–412.

Details

Pages
310
Year
2014
ISBN (PDF)
9783035107579
ISBN (ePUB)
9783035195910
ISBN (MOBI)
9783035195903
ISBN (Softcover)
9783034315227
DOI
10.3726/978-3-0351-0757-9
Language
Italian
Publication date
2014 (October)
Keywords
Risurrezione corporea Esegesi biblica Apologetica paolina
Published
Bern, Berlin, Bruxelles, Frankfurt am Main, New York, Oxford, Wien, 2014. 310 p.

Biographical notes

Gaetano Di Palma (Author)

Gaetano Di Palma, sacerdote napoletano, ha conseguito la Licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico e il Dottorato in Sacra Teologia; è docente di Esegesi del Nuovo Testamento nella Sezione San Tommaso d’Aquino della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, di cui è anche Vice-Preside. Ha pubblicato vari volumi e contributi su diverse riviste teologiche.

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