Intervento Lucarelli

Chiunque conosca Alberto e conosca la sua opera, intesa anche come operare troverà in questo libro molte conferme e, come sempre capita con Alberto, molte suggestioni. Questa volta le suggestioni emergono già dal titolo del libro edito da Peter Lang: “Tradition and revolution. Law in action” che, come non capita poi così spesso, sintetizza perfettamente la volontà dell’Autore di ripensare categorie, appunto tradizionali, nel verso di una trasformazione, di un avanzamento.  È stato Gaetano Salvemini ad affermare, infatti, che la parola Rivoluzione contiene in sé due significati: il primo, quello di definire un movimento illegale, violento e rapido, che distrugge un regime sociale e politico, contro le autorità; la Rivoluzione francese del 1789-1792, le rivoluzioni parigine del 1830 e 1848, la rivoluzione russa del 1917. Il secondo, appunto, quello di designare un trapasso, un rinnovamento profondo di una situazione tradizionale, il quale può avvenire senza rapidi movimenti illegali e per evoluzioni graduale; la rivoluzione industriale inglese, ad esempio. Esiste anche una lettura storica e antropologica, rivoluzione come contaminazione, tensione, come condizione dell’umano mai fino in fondo risolvibile; mi pare essere questo il filo rosso che percorre l’opera di Alberto – e, dunque, anche questa ultima fatica – un approccio metodologico che non intende rassegnarsi dinanzi alle facili sovrapposizioni, alle opposizioni dialettiche, che pretendono di mostrarsi perfette e risolvere tutto in una irenica definizione dell’ordine, da tempo disincantato. L’ordine, per Lucarelli, non è mai presupposto, non è mai dato; la sua idea di action, fonda quello che chiamerei un costituzionalismo dinamico, un costituzionalismo in cui il “rumore” prevale rispetto alla quiete. La rivoluzione significa, in questo senso, dispiegamento completo delle potenzialità della Costituzione; una visione agonista, secondo il lessico della Mouffe, che Lucarelli ha spesso richiamato nei suoi libri, che rompe con l’idea di una razionalità statica, e, ovviamente contro ogni idea di organizzazione del potere e dei poteri che, per comodità e cinico e spietato calcolo, oggi si vorrebbe ancora una volta, come già accaduto drammaticamente nel corso del Novecento, sintetizzarsi in un Capo. Due idee percorrono questo libro e, direi, l’intero suo lavoro: la prima è che senza partecipazione, senza giustizia sociale non v’è democrazia; la seconda è che la democrazia stessa è un legame, nel cui ambito il popolo dispone delle competenze e della capacità politica di agire in funzione del bene comune. 

Su di entrambe, il libro si sofferma a lungo, in termini espliciti ed impliciti. L’intera costruzione e ri-costruzione del pensiero della coscienza civica, del comune, della proprietà pubblica, della funzione sociale della proprietà privata, è, in fondo, collegato al tema della socialità della giustizia, e a quello, ad essa, correlato, della capacità dell’uomo di contribuire in prima persona a lavorare e cooperare in funzione di questo obiettivo. La law in action si tramuta, così, nell’action for the law, per una legge che effettivamente possa essere rappresentativa dei bisogni e delle aspirazioni di un umano che desidera essere rappresentato. La cittadinanza, per quanto attiva, non basta, e certamente non basta l’idea, tipica di questo tempo, per ragioni che in questa sede non possono essere approfondite, che sia sufficiente un popolo collaborativo, consultato.

Conflitto e rappresentanza restano centrali, e, in questo senso, Lucarelli si conferma un autore pienamente repubblicano.

Quello che occorre fare, per Lucarelli, e anche per me, devo dire, è un “capovolgimento”, “capovolgimento” della situazione attuale, ricordando con chi ha ragionato sul suo etimo, che questa parola evoca la suggestiva immagine dell’aratro che rivolta la terra consentendo la semina. La rivoluzione, oggi, e di qui il principale legame con la tradizione, significa “immemorare” (Eingedenken), espressione suggestiva coniata dalla dottrina sulla scorta del pensiero di Bloch e Benjamin, che sta a significare l’irruzione nel presente di una “esigenza che viene dal passato”, esigenza che, si sottolinea, “non ha ancora avuto modo di attuarsi” (S. Marchesoni, Flashback – Forward. L’immemorare tra Bloch e Benjamin, in E. Bloch – W. Benjamin, Ricordare il futuro. Scritti sull’Eingedenken, a cura di S. Marchesoni, Milano, 2017, p.8). Rinnovare il presente, pensare un futuro che si nutra di quanto il passato ancora non ha espresso, nel verso dei principi sanciti dalla Costituzione, deve essere l’obiettivo di ogni futuro processo democratico.

Guardare al futuro è, dunque, possibile proprio se si tornerà più di prima alla Costituzione, a quanto ancora di inespresso può ritrovarsi nel testo, fornendo nuovo impulso all’insieme dei principi fondamentali che, dopo 70 anni, come si diceva, hanno dimostrato di non avere perduto il loro slancio teorico e simbolico. Ricostruire sistematicamente il loro significato “al presente”, tessere nuovamente le fila di una coesistenza armoniosa tra gli stessi, rivalutare il loro significato precettivo, continuare ad interrogarsi senza tregua circa il loro fondamento costituiscono, oggi, come ieri, obiettivi necessari per un futuro meno catastrofico. Una nuova unità d’azione statale, nel verso della Costituzione, implica, dunque, rimettere al centro le questioni che, in questi decenni, hanno inferto alla Carta colpi durissimi, che avrebbero potuto essere anche peggiori se il popolo non avesse deciso diversamente, tramite la via referendaria, rispetto ai progetti di grande riforma costituzionale promossi dal centro-destra, nel 2006, e dal centro-sinistra, nel 2016. Esse concernono, a mero titolo esemplificativo, l’asse delle relazioni tra Stato e Regioni, la cui crisi è stata definitivamente rivelata – semmai ve ne fosse stato bisogno – dalla vicenda pandemica, l’ordine delle fonti del diritto, in discussione da decenni, il problema del finanziamento dei partiti e, in generale, il ruolo e la funzione dei corpi intermedi, la legge elettorale, destinata, come hanno insegnato i grandi maestri della politica e del diritto, ad inverare la Costituzione, i rapporti tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, oggi fortemente sbilanciati (basti pensare al panico che sta creando la mera innovazione della raccolta digitale delle firme per il referendum), la funzione dei Parlamenti, il futuro digitale, la transizione ecologica e via discorrendo. Tutte questioni che riguardano direttamente l’attuazione della Costituzione. In questo senso, il libro insegna che occorre guardarsi da una logica dei fatti fine a se stessa, strumentale a marginalizzare il significato della Carta al fine di favorire processi di spersonalizzazione e neutralizzazione. Una nuova filosofia della storia costituzionale è il presupposto per dischiudere, nel futuro, le possibilità già presenti ma, potremmo dire, non ancora divenute. Immemorare, appunto. 

> Tradition and Revolution. Law in action by Alberto Lucarelli

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