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Narrare l’invasione

Traiettorie e rinnovamento del fantastico novecentesco

by Davide Carnevale (Author)
©2022 Thesis 308 Pages

Summary

Il secolo scorso vede l’inequivocabile sopravvivenza del fantastico come genere letterario, la cui continuità con i grandi modelli ottocenteschi va ricercata nel suo dare rappresentazione allo scarto prodotto dall’improvviso collidere di dimensioni narrative inconciliabili, dal sovversivo prorompere di particelle di significato in piani di realtà che non possono in alcun modo contemplarle. Una vera e propria invasione, concetto che permette di considerare, come espressioni di un unico dominio, tanto la lunga processione di mostri e apparizioni spettrali messa in scena dalla tradizione ottocentesca, quanto le meno esibite manifestazioni dell’irrazionale proposte dal fronte più avanzato del genere, restituendo il fenomeno alla sua dimensione di articolato sistema letterario transnazionale.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Titolo
  • Copyright
  • Sull’autore
  • Sul libro
  • Questa edizione in formato eBook può essere citata
  • INDICE
  • INTRODUZIONE
  • CAPITOLO I TENTATIVI DI MAPPATURA DI UN TERRITORIO INSTABILE
  • 1. La questione definitoria
  • 1.1 Un drago (quasi) senza fiato
  • 1.2 «Tutta la letteratura è fantastica»: la prospettiva “inclusiva”
  • 1.3 Una «rupture de la cohérence universelle»: la prospettiva “esclusiva”
  • 1.3.1 La classificazione todoroviana
  • 1.3.2 «Thèmes du je» e «thèmes du tu»
  • 2. Nuove teorie per un nuovo fantastico
  • 2.1 Un neo-fantastico?
  • 2.2 Rielaborazioni della proposta todoroviana
  • 2.2.1 Il fantastico come modo letterario
  • 3. Una letteratura dell’invasione
  • 3.1 Nuove geografie del fantastico
  • CAPITOLO II FORME E FIGURE DEL DISCORSO FANTASTICO
  • 1. Riconoscere l’invasione
  • 2. Un’ostinata aggressione alla prospettiva comune
  • 2.1 La trasgressione come cifra del fantastico novecentesco
  • 2.2 Mantenere il silenzio sul mistero
  • 3. La “parola fantastica”: logopoiesi, retoriche dell’indicibile e mostri verbali
  • 3.1 Nominare l’innominabile
  • 3.2 Un’inesprimibile lingua «assiuolesca»
  • 3.3 Serragli linguistici: «parole-viticci» e altre creature verbali
  • 4. Testimoni inattendibili dell’invasione
  • 4.1 Voci al di là dello specchio
  • CAPITOLO III SEMANTICA DEL PERTURBANTE
  • 1. Tassonomie (im)possibili
  • 2. Evoluzioni e involuzioni mostruose
  • 2.1. Dalla parte del mostro
  • 2.2 Nuovi bestiari fantastici del Novecento
  • 3. Oggetti mediatori e disgregatori di realtà
  • 3.1 Alterità di plastica e orrori a benzina
  • 3.1.1 Telefonate dall’altrove
  • 4. (A)spazialità e (a)temporalità della narrazione fantastica
  • 4.1 «It’s all so motherly»: l’enclosure fantastica come dimensione femminile
  • 4.2 Nonluoghi, iperluoghi e altre “prigioni” postmoderne
  • CAPITOLO IV TRANSMEDIALITÀ DEL GENERE FANTASTICO
  • 1. Una prospettiva across media
  • 2. Irrealtà e alterità di celluloide
  • 2.1 La tradizione gotico-romantica e il cinema espressionista tedesco
  • 2.2 Mostri hollywoodiani
  • 2.3 Nuove traiettorie del cinema fantastico
  • 2.3.1 Alfred Hitchcock, The Birds
  • 3. Commistioni perturbanti: traiettorie del fumetto fantastico
  • 3.1 Caroselli postmoderni e antieroi romantici
  • 3.2 Dalla letteratura al fumetto: riscrivere il fantastico
  • 3.2.1 Dino Battaglia, Omaggio a Lovecraft
  • 3.2.2 Alberto Breccia, La sombra sobre Innsmouth
  • CONCLUSIONI
  • BIBLIOGRAFIA
  • Volumi pubblicati nella collana

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INTRODUZIONE

Al caer de la tarde, dos desconocidos se encuentran en los oscuros corredores de una galería de cuadros. Con un ligero escalofrío, uno de ellos dijo:

– Este lugar es siniestro. ¿Usted cree en fantasmas?

– Yo no – respondió el otro –. ¿Y usted?

– Yo sí – dijo el primero y desapareció.

George Loring Frost, Un creyente

Che il fantastico, con il suo linguaggio ambiguo e la sua semantica scostante, rappresenti una delle regioni più ineffabili e di difficile circoscrizione dell’ampio e composito planisfero della letteratura moderna trova una prima, empirica conferma nel fatto che, dopo circa un secolo di studi sistematici sull’argomento, volti per lo più a dare una definizione univoca al fenomeno, questo venga ancora evocato in ambito accademico per designare di volta in volta categorie testuali differenti, quando non – conformemente all’uso comune – l’intero campo della narrativa dell’immaginario. A questa labilità di contorni è da imputare, ad esempio, la coesistenza di studi dedicati a opere tra loro diversissime come il Cligés di Chrétien de Troyes e l’Alice’s Adventures in Wonderland di Lewis Carroll in una raccolta saggistica che pure si dichiara già dal titolo programmaticamente circoscritta al solo ambito perturbante quale il volume del 1995 Geografia storia e poetiche del fantastico, coesistenza giustificata unicamente dalla comune appartenenza dei testi ai ranghi della scrittura non-realistica. È d’altronde la stessa curatrice del libro, Monica Farnetti, indicando nelle note introduttive «la necessità di aggiornare ad ogni epoca i parametri definitori e interpretativi, gli strumenti stessi di riconoscimento del fantastico», a suggerire «il dubbio terribile» che questo, per lo meno in quanto precisa tipologia testuale, «non esista»1 e, di conseguenza, l’oziosità della ricerca dei suoi confini.

Prima che dalla preoccupazione tassonomica di tracciare frontiere delimitatrici o di determinare l’estensione del campo preso in oggetto per imporvi una comoda etichetta identificativa, tuttavia, lo sforzo di dare definizione al fenomeno muove dalla necessità di riconoscerne i principi costitutivi, di isolare ed esplorare i meccanismi testuali da cui dipende, facendone emergere la ←11 | 12→specificità; propositi, questi, sottesi indicativamente alla sistemazione dell’ampia sfera della letteratura dell’immaginario proposta da Tzvetan Todorov nella sua Introduction à la littérature fantastique (1970), testo che continua a rappresentare un’inaggirabile pietra di paragone per ogni nuovo approccio teorico alla materia, il cui principale limite si rivela essere quello di non considerare la produzione del secolo scorso, decretando conclusa la parabola del genere alle soglie del Novecento.

Proprio l’inequivocabilità – sancita dalla critica più recente in opposizione alla tesi dello studioso bulgaro – della sopravvivenza novecentesca del fantastico, non solo nella forma di una rarefatta riutilizzazione modale, concretata in un sistematico recupero di dispositivi formali e materiale semantico da parte di ampie fasce della produzione letteraria e artistica in genere, come suggerito da Rosemary Jackson e Remo Ceserani, ma di quella che può essere considerata a tutti gli effetti una categoria letteraria ben specifica, in continuità con la grande stagione gotico-romantica, ha evidenziato negli ultimi anni, d’altro canto, la necessità di riaprire, nell’ambito del dibattito teorico, la partita definitoria che un’attenzione rivolta a campi di indagine più ristretti (la produzione di singoli autori o di precisi contesti geografici) sembrava aver archiviato, l’urgenza, cioè, di pervenire a un modello di descrizione capace di dare risposta alle domande sollevate dall’evidente perdurare di certe tendenze narrative: al di là del dato cronologico, ha senso parlare di “fantastico novecentesco”? Quali sono le forme in cui si esprime, i suoi caratteri costitutivi? I principi che reggono le prove recenti del genere sono gli stessi da cui dipendono i loro antecedenti sette-ottocenteschi? E ancora: cosa contraddistingue le due diverse produzioni? La loro distanza è tale da giustificare, come suggerisce Jaime Alazraki, nuove denominazioni?

L’esigenza di affrontare, nella sua complessità, il portato del deciso processo di rinnovamento vissuto dal genere a partire dai primi anni del XX secolo, di confrontarne gli esiti, tanto sul piano tematico che a livello formale, con le strategie narrative codificate dal canone ottocentesco, mette a nudo, in altre parole, la mancanza – già segnalata da Stefano Lazzarin in un suo importante contributo sul fantastico tabucchiano – di un momento di sintesi teorica in grado di offrire «una descrizione coerente e unitaria dei fenomeni novecenteschi che ambiscono a essere raccolti sotto l’etichetta del fantastico (come era per l’Ottocento la teoria dell’hésitation, pur nei suoi aspetti più criticabili)»2. ←12 | 13→L’aspirazione del presente lavoro è, appunto, quella di muovere – lungo il sentiero aperto da studi fondamentali quali Territori della finzione: il fantastico in letteratura (2000) di Rosalba Campra e Tras los límites de lo real: una definición de lo fantástico (2011) di David Roas – qualche passo in direzione di tale sintesi, nella convinzione, tuttavia, che l’obiettivo non possa essere quello di elaborare un modello descrittivo valido esclusivamente per il Novecento, da affiancare, o persino contrapporre, a prospettive attagliate viceversa alla sola esperienza romantica, ma quello di sviluppare una proposta teorica capace di dare ragione, in quanto espressioni di un unico dominio, tanto della lunga processione di mostri, apparizioni spettrali e oggetti impossibili messa in scena, senza sostanziali variazioni, dalla grande tradizione ottocentesca, quanto delle meno esibite manifestazioni dell’irrazionale proposte dal fronte più avanzato del fantastico, che permetta, cioè, di valutare il racconto soprannaturale del XIX secolo e le inedite invenzioni della produzione successiva come due momenti attigui della stessa traiettoria letteraria. Una continuità retta essenzialmente dal persistere, sebbene in forme via via più complesse, di quei meccanismi – codificati agli albori del genere – volti a dare rappresentazione allo scarto irriducibile prodotto dall’inaspettato confliggere di piani narrativi inconciliabili e contraddittori, dal destabilizzante prorompere di particelle di significato in segmenti di realtà che non possono in alcun modo contemplarle, se non rinunciando all’integrità dei loro paradigmi di riferimento. Il concetto di invasione, inteso come il violento sovrapporsi di fronti altrimenti incomunicanti e mutualmente escludenti, si presenta, in tal senso, anche alla luce della sua capacità di dialogare con le più avvertite acquisizioni del recente panorama teorico, il più adatto a esprimere quel dualismo di termini alla base delle dinamiche contrastive del genere, a condensarne le logiche costitutive e a ricondurre a comuni strategie testuali quelle ricorsività e quelle divergenze che definiscono storicamente il fitto dialogare delle diverse traiettorie su cui il fantastico si dispiega, in un’ottica che restituisce il fenomeno alla sua dimensione di ampio e articolato sistema letterario transnazionale, dimensione che il processo di rinnovamento novecentesco sembra consolidare e accrescere.

Proprio l’assunzione di un approccio di tipo sovranazionale, unica via percorribile se si vuole affrontare la materia nella sua ricchezza di prospettive, pone una prima questione di ordine metodologico, vale a dire la necessità di dover eleggere preventivamente le aree linguistiche da prendere in esame, una designazione che, per quanto arbitraria, legata com’è alle competenze di chi scrive, risponde qui, con l’estensione all’ambito anglofono, ispanofono e italofono del perimetro di indagine, all’esigenza di dare conto delle trasformazioni di carattere geografico che interessano il genere nel passaggio di secolo, prima ←13 | 14→fra tutte il trasferimento oltreoceano dei suoi centri propulsori, tanto nel territorio statunitense quanto in quello sudamericano.

Se l’apertura del fenomeno a contesti culturali e geografici tra loro così distanti individua incontestabilmente negli strumenti offerti dalla comparatistica, intesa con Claudio Guillén come «el estudio de fenómenos y conjuntos supranacionales que implican internacionalidad»3, l’armamentario critico più appropriato per far fronte a una letteratura che racchiude del resto già in sé, quale sua cifra costitutiva, l’idea di un continuo confronto con l’Altro e l’alterità, l’ampiezza della produzione e l’eterogeneità delle declinazioni riferibili al fantastico suggeriscono di fatto l’impraticabilità di qualsiasi metodo di analisi di tipo “verticale”, volto cioè a esaurire di ogni autore l’intero corpus di opere (spesso molto esteso e solo in parte afferente alla sfera del perturbante), approccio che costringerebbe a limitare la ricognizione a una casistica a tal punto esigua da non raggiungere alcun valore esemplare o anche solo esemplificativo, se non in relazione ai caratteri della singola produzione considerata. Si procederà, pertanto, ad un’indagine condotta “per campioni”, ossia basata sulla disamina di testi riconosciuti come paradigmatici rispetto alle questioni vagliate, particolarmente efficace nel suo misurare le deduzioni della riflessione teorica sulla “consistenza” delle rilevazioni operate dall’analisi testuale, con cui si cercherà di sondare, tanto in senso diacronico che sincronico, il diverso concretizzarsi, sui vari livelli della narrazione, delle tendenze evolutive che investono la delicata costruzione del perturbante. La narrativa breve costituirà, per i diversi ambiti linguistici, l’oggetto principale del sondaggio testuale proposto, in ragione dell’assoluta predilezione che il fantastico sembra avere, anche nel XX secolo, per la forma-racconto, sin dalle origini sua misura privilegiata.

Un ulteriore ridimensionamento del campo di indagine, questa volta di carattere cronologico, si vede necessario allo scopo di concentrare l’attenzione sul periodo – il cinquantennio che va dalla fine degli anni Trenta ai primi anni Novanta del secolo scorso – in cui sembra maggiormente condensarsi l’azione dei grandi rinnovatori del fantastico, che mostra in maniera più evidente i segni di quel profondo processo di rigenerazione che Lazzarin chiama, in maniera forse riduttiva, «una piccola svolta del genere»4.←14 | 15→

La lente della transmedial narratology, infine, applicata ai due distanti ambiti del cinema e del fumetto (scelti tra i tanti che possono vantare una produzione inequivocabilmente perturbante per la natura composita del loro linguaggio e la maturità espressiva che più di un secolo di storia garantisce), permetterà di evidenziare, in chiusura del lavoro, la marcata vocazione all’intermedialità e alla rimedializzazione del fantastico, segnalando, oltre a una certa sovrapponibilità tra il percorso di rinnovamento vissuto dal genere in letteratura e le sue traiettorie in altri contesti mediali, come l’impianto diadico che sostiene le sue logiche narrative si conservi anche al di fuori del ristretto ambito letterario, dando espressione, in forme diverse, alla stessa promessa di invasione.

Nota sulle citazioni

Per quanto riguarda la letteratura critica citata nel corso della trattazione si è scelto, per una questione di uniformità interna, di riportare i testi esclusivamente in lingua originale, trattandosi per lo più di lavori mai tradotti in italiano, oppure la cui traduzione risulta essere datata o di difficile reperibilità. Qualora attestata, l’edizione italiana sarà in ogni caso puntualmente segnalata nella bibliografia conclusiva. Si è, viceversa, preferito riportare in nota, ai fini di una maggiore chiarezza espositiva, la traduzione dei passi letterari citati, desunta caso per caso dalle edizioni italiane più recenti o ritenute più affidabili. Per quelle opere che risultano essere ancora inedite in Italia, come molti dei racconti di Adolfo Bioy Casares o l’intera produzione di Cristina Fernández Cubas, sarà infine proposta, sempre nelle note, una mia traduzione che, lontana da qualsiasi ambizione estetica, risponderà di volta in volta alle diverse esigenze della trattazione.

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CAPITOLO I TENTATIVI DI MAPPATURA DI UN TERRITORIO INSTABILE

Il fantastico, contrariamente a quello che si può credere, richiede mente lucida, controllo della ragione sull'ispirazione istintiva o inconscia, disciplina stilistica; richiede di saper nello stesso tempo distinguere e mescolare finzione e verità, gioco e spavento, fascinazione e distacco, cioè leggere il mondo su molteplici livelli e in molteplici linguaggi simultaneamente.

Italo Calvino, Mondo scritto e mondo non scritto

Il fantastico sa che vi è un solo modo totalmente errato di percorrere, descrivere, inventare il mondo e le pagine, ed è quello di camminare sulla sua superficie.

Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna

1. La questione definitoria

Il fantastico in letteratura abita il volto nascosto della luna: con le sue storie notturne di fantasmi, di sconcertanti patti con il diavolo, di oggetti impossibili e insidiosi sdoppiamenti ha, sin dai suoi esordi tardo-settecenteschi, costituito una forma narrativa per sua natura “antagonista”, perfetto contraltare – e nello stesso tempo interlocutore privilegiato – di una scrittura che si voleva a tutti i costi realista e positivista nel senso più ampio del termine. Una letteratura “al negativo”, che nel corso degli ultimi due secoli ha sotteso, nel ruolo di «mauvaise conscience»5, denunciandone a più riprese ipocrisie e presunzioni, una produzione ritenuta dalla gran parte degli scrittori e degli studiosi come la sola degna di essere presa in considerazione, legata all’idea di un primato della rappresentazione mimetica sull’invenzione immaginativa ed espressione della pervasiva cultura borghese e della sua incondizionata fiducia nel progresso.←17 | 18→

Details

Pages
308
Year
2022
ISBN (PDF)
9783631883068
ISBN (ePUB)
9783631883075
ISBN (Hardcover)
9783631882825
DOI
10.3726/b20004
Language
Italian
Publication date
2022 (September)
Published
Berlin, Bern, Bruxelles, New York, Oxford, Warszawa, Wien, 2022. 308 p., 7 ill. b/n.

Biographical notes

Davide Carnevale (Author)

Davide Carnevale è dottore di ricerca in Italianistica presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Si occupa dei nessi strutturali e tematici che legano il genere fantastico alla letteratura postmoderna e della riutilizzazione transmediale delle sue modalità narrative. Ha pubblicato articoli sull’opera di Landolfi, Bioy Casares, Toppi e Battaglia.

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