Dall’architettura della lingua italiana all’architettura linguistica dell’Italia
Saggi in omaggio a Heidi Siller-Runggaldier
Summary
Excerpt
Table Of Contents
- Copertina
- Titolo
- Copyright
- Sul libro
- Questa edizione in formato eBook può essere citata
- Indice
- Dall’architettura della lingua italiana all’architettura linguistica dell’Italia fino all’italiano nel mondo – per Heidi Siller-Runggaldier
- I. L’architettura della lingua italiana
- I.1. Variazione diacronica
- Settecento anni fa non si diceva così. L’espressione della distanza temporale nel passato in italiano antico e moderno
- La posposizione del soggetto al verbo nella prosa antica. L’esempio del “Filocolo”
- Fare le risa in italiano antico
- La scelta manzoniana tra selezione e ristandardizzazione
- Namen für die Sprache Italiens
- L’architettura della lingua italiana: considerazioni cognitive sulla struttura portante sì come colui che nel Decameron
- L’ibridismo greco-latino nell’italiano ottocentesco e le sue origini neolatine
- L’Italia dell’anno 1000: le origini del raddoppiamento sintattico nell’italiano meridionale antico e non solo. Un’analisi scrittologica
- Standardisierung, Koineisierung und die mittelalterliche Sprachgeschichte Italiens
- Anzichenò
- Il contributo dei documenti dell’Italia meridionale allo studio della transizione dal latino al romanzo: il caso delle carte notarili del IX e X secolo
- I.2. Variazione diatopica
- Salienza, frequenza e cambio linguistico percepito
- Preposizioni locative in frasi ridotte introdotte da con
- L’indicatore di forza di interrogazione in alcuni dialetti settentrionali tra affisso e clitico
- Le parole dell’architettura e i paradossi della diatopia. Su alcuni regionalismi veri e presunti di area ligure
- I.3. Variazione diastratica
- Esiste ancora l’italiano popolare? Una rivisitazione
- Immigrazione e usi linguistici nell’Italia nord-occidentale odierna, con alcune note su possibili risvolti nei confronti del diasistema dell’italiano
- Anmerkungen zur varietätenlinguistischen Dimension von Relativkonstruktionen des Typs La scatola che ci mettevo il tabacco
- I.4. Variazione diafasica e diamesica
- Forme ibride del discorso riportato nella stampa e nella narrativa contemporanea
- Il linguaggio politico sotto il profilo morfosintattico: il discorso del Duce revisited
- Kommunikationsverben im italiano cinematografico – dire in Antonionis Le amiche und seiner literarischen Vorlage
- Tra scritto e parlato: la questione dei soggetti postverbali tematici
- Esistono le collocazioni? Denotazione vs. significato collocazionale
- L’amore è cieco, e vede da lontano. Il campo semantico ‘amore’ nell’italiano contemporaneo
- Heidi Siller-Runggaldier, «sempre in testa e con un notevole distacco»! Rankings in der italienischen Sportsprache
- Le prove di grammatica nei test Invalsi: luci e ombre
- Sai cosa ti dico? Non lo so, se non me lo dici. Sapere come segnale pragmatico nell’italiano parlato contemporaneo
- Ossimoro e Adynaton. Per una linguistica delle figure di stile
- Elementi di variazione diafasica nell’ambito della valenza verbale
- I.5. Variazione “plurima”
- Un caso di “variazione plurima” in italiano: l’espressione del concetto ‘in questo momento’
- II. L’architettura linguistica dell’Italia
- Kurz gefasste Anmerkungen zur Position des Grödnerischen
- L’architettura in diacronia. Diatopia e latino di Sardegna
- Come il livello di competenza plurilingue influenza le capacità cognitive: uno studio neurolinguistico condotto fra bambini ladini
- Zu Besuch bei den letzten Zimbern im Veneto
- Lo stato dell’elaborazione del friulano: alcuni appunti
- Il sardo – una lingua minacciata?
- III. L’italiano nel mondo
- I confissi: catalizzatori della convergenza linguistica europea
- Europeizzazione come principio dello sviluppo dinamico dell’italiano moderno. Su una nuova tappa dell’evoluzione attraverso il neolatino e l’internazionalizzazione
- L’italiano nella giostra delle lingue. Testi di apprendenti sinofoni, ispanofoni e slavofoni
- A proposito di Hugo Schuchardt: la prima ricezione italiana della problematica dei creoli e della lingua franca
- Coup d’œil sur les fonctions des déterminants démonstratifs (DD) ‘d’éloignement’ dans les langues romanes (à partir d’exemples italiens, espagnols, français et roumains)
← 12 | 13 → Dall’architettura della lingua italiana all’architettura linguistica dell’Italia fino all’italiano nel mondo – per Heidi Siller-Runggaldier
Con il presente volume abbiamo il grande piacere di rendere omaggio, in occasione del suo sessantesimo compleanno, alla nostra cara e stimata collega, maestra e amica Heidi Siller-Runggaldier, professoressa di linguistica italiana dell’Università di Innsbruck (Austria).
Come risulta evidente già dal titolo del libro, cui hanno contribuito con i loro saggi più di 40 amici e colleghi della nostra festeggiata, non si tratta soltanto di una collezione di scritti raccolti per un’occasione speciale, bensì allo stesso tempo anche di un volume incentrato su una tematica particolare, ovvero sull’architettura della lingua italiana. – Ma non solo: al primo capitolo (I), il più ampio, sull’architettura della lingua italiana stessa, ovvero sull’insieme delle sue variazioni a livello diacronico, diatopico, diastratico, diafasico e diamesico, segue infatti un secondo capitolo (II) i cui contributi riguardano l’architettura linguistica dell’Italia, quindi non tanto le variazioni della lingua italiana, quanto piuttosto la situazione linguistica in Italia, ovvero le diverse lingue minoritarie parlate sul territorio italiano. In fondo al volume è presente un terzo ed ultimo capitolo intitolato L’italiano nel mondo, che contiene fra l’altro contributi sull’italiano quale lingua soggetta a fenomeni linguistici panromanzi, paneuropei e internazionali.
Qui di seguito verrà data una descrizione più dettagliata, anche se non esaustiva, dei singoli capitoli. Innanzitutto, però, teniamo a menzionare che, data la vastità dell’argomento, potranno essere trattate solo alcune tematiche scelte all’interno di ogni capitolo, e che, per avvicinarsi a un quadro più completo dell’intero complesso, si potrebbero (e sarebbe certamente necessario) trattare numerosi altri aspetti. Inoltre, come è noto e come si avvertirà anche durante la lettura dei singoli contributi, i diversi sottoambiti tematici non sono sempre ben delimitabili, bensì sottoposti a sovrapposizioni, per cui gran parte dei contributi del volume potrebbe essere teoricamente assegnata a più sezioni contemporaneamente.
Già all’interno del capitolo I, il primo sottocapitolo sulla variazione diacronica (I.1.), contenente undici saggi in tutto, è di per sé piuttosto eterogeneo in quanto comprende, oltre ai contributi che s’incentrano su fenomeni inerenti alla diacronia in senso stretto, ovvero riguardanti lo sviluppo di un dato fenomeno nel tempo (specie risalendo alle origini neolatine e/o facendo un confronto fra italiano antico e italiano moderno), anche saggi che si occupano prevalentemente di ← 13 | 14 → aspetti sincronici di stadi passati della lingua. Inoltre, alcuni dei contributi focalizzano sull’aspetto diacronico a livello metalinguistico, trattando ad es. delle diverse denominazioni delle lingue parlate in Italia nel corso della storia.
A differenza del punto I.1., i sottocapitoli I.2.-I.4. si fondano principalmente sull’italiano contemporaneo e sulla sua architettura in sincronia, nonostante anche in questi non manchino cenni sull’asse diacronico e/o su stadi passati della lingua.
Il sottocapitolo sulla variazione diatopica (I.2.) contiene quattro contributi dedicati a determinate varietà diatopiche (ossia legate allo spazio e alle diverse aree geografiche), fra cui il romanesco (in analisi contrastiva con una varietà diatopica del tedesco, il cosiddetto Ruhrdeutsch) e in particolare diverse varietà settentrionali incluse quelle liguri.
Il sottocapitolo I.3. sulla variazione dell’italiano in diastratia (ovvero riconducibile alle diverse condizioni sociali e culturali dei parlanti) comprende tre saggi i cui temi riguardano lo status attuale dell’italiano popolare, l’uso linguistico da parte di immigrati nell’Italia nord-occidentale, nonché costruzioni relative con la tendenza ad un unico pronome relativo (che) per tutte le funzioni sintattiche, fenomeno attribuito spesso ad un livello marcato fra l’altro in diastratia.
Siccome i due aspetti della variazione diafasica (riguardante i diversi registri e livelli stilistici) e diamesica (riguardante le caratteristiche dei codici orale e scritto) sembrano sovrapporsi ancora più degli altri, vengono entrambi trattati in uno stesso sottocapitolo (I.4.). Nei singoli contributi, undici in tutto, gli autori trattano tematiche diverse, sottoponendo ad analisi sia diversi generi testuali e sottocodici (per es. il linguaggio della stampa, la narrativa contemporanea, il discorso politico, il linguaggio dello sport, l’italiano parlato contemporaneo, ecc.), sia occupandosi, di solito al tempo stesso, di questioni linguistiche specifiche (quali ad es. il discorso riportato, i verbi comunicativi, le collocazioni, certi tipi di figure di stile, la valenza verbale, ecc.).
Il punto I.5. rappresenta un sottocapitolo particolare, in quanto contiene un solo contributo incentrato, come già espresso volutamente nel titolo, su un caso di variazione “plurima” (illustrando, attraverso le rese linguistiche di un unico concetto, delle variazioni a tutti i livelli sopra menzionati), e quindi attribuibile a tutte le dimensioni di variazione ma a nessuna in specifico, ragione per cui è stato creato un sottocapitolo a parte, con cui si conclude contemporaneamente il capitolo I.
Quanto alla tematica del capitolo II, l’architettura linguistica dell’Italia, va ricordato che, fra le diverse lingue minoritarie parlate oggigiorno sul territorio italiano, si trovano, come è noto, innanzitutto parecchie altre lingue romanze – come il ladino, il friulano, il sardo o il francoprovenzale –, ma anche lingue indoeuropee non-romanze, come il tedesco in Alto Adige, il cimbro nel Veneto, il greco nel Sud d’Italia o lo sloveno nelle aree nord-orientali confinanti con la ← 14 | 15 → Slovenia. Le lingue trattate nei sei contributi del capitolo II sono quelle retoromanze del ladino e del friulano, il sardo e il cimbro.
Gli oggetti di studio dei contributi dell’ultimo capitolo (III), incentrato sull’italiano nel mondo, si estendono dalla formazione delle parole tramite elementi di origine paneuropea (spesso provenienti dal latino o greco antico) all’apprendimento dell’italiano da parte di parlanti L2 (e ai diversi tipi di errori di interferenza commessi nella produzione scritta e riconducibili alle diverse madrelingue degli apprendenti), fino alla traduzione e prima ricezione di un saggio del 1909 dell’austriaco di elezione Hugo Schuchardt sulla problematica dei creoli e della lingua franca, essendo quest’ultimo un tema che “unisce”, per così dire, (almeno in termini metalinguistici) l’Austria all’Italia. Conclude infine il capitolo III e pertanto il volume un saggio francese incentrato sui determinanti dimostrativi in quattro lingue romanze (fra cui l’italiano), scritto da Maria Iliescu, a sua volta maestra ed amica della nostra festeggiata Heidi Siller-Runggaldier, e quindi non a caso posto a chiusura del volume.
Per quanto riguarda la scelta tematica dell’architettura, bisogna sottolineare che anch’essa non è casuale – chi conosce la festeggiata lo avrà già ipotizzato –, in quanto sembra inquadrarsi bene sia nel percorso personale di Heidi Siller-Runggaldier che nel suo curriculum linguistico, ossia nei suoi campi e interessi di ricerca: essendo nata e cresciuta in Val Gardena (Alto Adige), un’area caratterizzata dal trilinguismo italiano – tedesco – ladino (presente non solo nella vita quotidiana, ma anche a livello istituzionale), la festeggiata non ha solo avuto modo di conoscere sin dall’infanzia una varietà diatopica specifica dell’italiano, ma anche una parte dell’architettura linguistica dell’Italia ovvero due lingue minoritarie in Italia: il ladino (in particolare la varietà gardenese) e il tedesco, essendo quest’ultimo la sua madrelingua, ovvero la lingua parlata nella sua famiglia. Da questo particolare sfondo personale sono stati determinati in modo decisivo sia il suo percorso di studi che quello scientifico: dopo essersi laureata in germanistica e italianistica, seguono, in qualità di assistente presso l’Istituto di Romanistica dell’Università di Innsbruck, molteplici studi su aspetti specifici dell’italiano e del ladino, fra cui ricordiamo le monografie sulla formazione delle parole nella varietà gardenese del ladino1 e sulla categoria sintattico-funzionale dell’oggettoide in italiano.2 Oltre agli studi di tipo prevalentemente intralinguistico, sono stati tuttavia più che altro la linguistica contrastiva e il confronto interlinguistico ad attirare l’interesse di Heidi Siller-Runggaldier. Fra i numerosi contributi, a molti dei quali viene rimandato anche nei saggi del presente volume, ci ← 15 | 16 → limitiamo a ricordare l’opera pioneristica della sua grammatica contrastiva trilingue (tedesco – ladino – italiano; scritta insieme a Peter Gallmann e Horst Sitta), di cui sono (per ora) usciti tre volumi monografici sul verbo, sui determinanti e pronomi e sulla frase semplice;3 al loro interno, sia le parti sul ladino sia quelle concernenti l’italiano sono state scritte ed elaborate da Heidi Siller-Runggaldier. Quanto alla tematica dell’architettura della lingua italiana, ci permettiamo di richiamare l’attenzione in particolare, fra i vari contributi, su un articolo della festeggiata dal titolo Un italiano – molti ‘italiani’. Identità di una lingua al plurale,4 in cui fornisce un quadro d’insieme dell’architettura della lingua italiana in tutte le sue variazioni, che ci sembra essere particolarmente utile come introduzione alla tematica, specie per gli studenti universitari d’italiano come L2.
Va menzionato che la pubblicazione di questo volume non sarebbe stata possibile senza il sostegno e la collaborazione delle istituzioni e delle persone nominate di seguito. Innanzitutto, ringraziamo per il loro sostegno finanziario:
• il Vicerettorato per la Ricerca dell’Università di Innsbruck (Vizerektorat für Forschung der Universität Innsbruck),
• la Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige, Ripartizione Cultura Ladina (Autonome Provinz Bozen-Südtirol, Abteilung Ladinische Kultur) e il Südtiroler Kulturinstitut (Istituto di Cultura Sudtirolese),
• la Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano (Stiftung Südtiroler Sparkasse),
• l’Istituto Ladino “Micurà de Rü” (Ladinisches Institut “Micurà de Rü”)
• lo Stato federale del Tirolo (Land Tirol),
• lo Stato federale di Vorarlberg (Land Vorarlberg),
• la Città di Innsbruck (Stadt Innsbruck),
• la Facoltà di Scienze Filologiche e Culturali dell’Università di Innsbruck (Philologisch-kulturwissenschaftliche Fakultät der Universität Innsbruck),
• l’Italien-Zentrum dell’Università di Innsbruck,
• l’Istituto di Romanistica dell’Università di Innsbruck (Institut für Romanistik der Universität Innsbruck),
• il Dipartimento di Romanistica dell’Università di Salisburgo (Fachbereich Romanistik der Universität Salzburg).
← 16 | 17 → Inoltre, rivolgiamo i nostri più sentiti ringraziamenti a tutti i colleghi e a tutte le colleghe che ci hanno aiutato, in qualità di parlanti madrelingua, nella revisione dei singoli contributi:
• Per l’italiano ringraziamo Erica Autelli, Maria Bauer, Saverio Carpentieri, Mario Casale, Carla Leidlmair-Festi, Angelo Pagliardini, Emanuela Perna, Francesca Santevecchi e Maria Tonetti,
• per il francese Gilberte Tschirner Reynaud,
• per lo spagnolo Isabel Arranz Sanz.
A questo punto, non ci resta altro che augurare a tutti i lettori e a tutte le lettrici, e a una in particolare, ovvero a te, cara Heidi, una piacevole lettura dei contributi del volume, che non offrono soltanto un’ampia visione dei vari ambiti dell’architettura dell’italiano e dell’architettura linguistica dell’Italia, ma costituiscono al tempo stesso – e di questo siamo particolarmente fieri e felici – una panoramica rappresentativa dell’“architettura” contemporanea della ricerca linguistica sull’italiano e sulle lingue parlate in Italia, unendo in un solo volume – a quanto sembra unico finora nel suo genere – i frutti delle ricerche di numerosi studiosi di primo livello, italianisti e romanisti, dell’area italofona e germanofona.
Innsbruck, nel luglio del 2013 Paul Danler e Christine Konecny
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1 (1989): Grödnerische Wortbildung. Innsbruck: Institut für Romanistik.
2 (1996): Das Objektoid. Eine neue syntaktisch-funktionale Kategorie, aufgezeigt anhand des Italienischen. Wilhelmsfeld: Egert.
3 (2008): Sprachen im Vergleich: Deutsch – Ladinisch – Italienisch. Das Verb. Bozen: Istitut Pedagogich Ladin; (2010): Sprachen im Vergleich: Deutsch – Ladinisch – Italienisch. Determinanten und Pronomen. Bozen: Istitut Pedagogich Ladin; (2013): Sprachen im Vergleich: Deutsch – Ladinisch – Italienisch. Der einfache Satz. Bozen: Istitut Pedagogich Ladin.
4 In: Carpentieri, Saverio / Pagliardini, Angelo / Tasser, Barbara / Zybatow, Lew (eds.) (2010): Italia e “Italie”. Identità di un paese al plurale. Frankfurt a.M. et al.: Lang.← 17 | 18 →
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← 22 | 23 → Settecento anni fa non si diceva così. L’espressione della distanza temporale nel passato in italiano antico e moderno
1. L’espressione della distanza temporale in italiano moderno
In italiano moderno (= it. m.), se si vuole indicare la distanza temporale che intercorre tra un evento e un determinato punto posto anteriormente sull’asse del tempo, si utilizzano due espressioni parzialmente diverse: in entrambe è presente un termine temporale quantificato che indica la distanza temporale, seguito però o da fa o da prima. Ad es. tre giorni fa / prima, due mesi fa / prima, mezz’ora fa / prima,1 ecc.). La differenza nell’impiego di fa o prima non riguarda il significato intrinseco dell’espressione temporale, ma dipende dal momento di riferimento temporale rispetto a cui si misura la distanza. Se il momento di riferimento coincide con il momento dell’enunciazione della frase (= ME), si usa fa, se invece il momento di riferimento è diverso dal ME e coincide con un momento temporale ricostruibile a partire dal contesto linguistico, si usa prima. Esempi:
(1a) Sergio è arrivato a Parigi il 13 giugno. Io invece una settimana fa.
(1b) Sergio è arrivato a Parigi il 13 giugno. Io invece una settimana prima.
In entrambi i casi l’evento dell’arrivo del parlante a Parigi è localizzato a una distanza temporale di una settimana rispetto a un determinato punto di riferimento, che in (1a) è il ME, in (1b) è il “13 giugno”, introdotto dal contesto linguistico precedente: nel primo caso l’espressione temporale è dunque intrinsecamente deittica, nel secondo caso è intrinsecamente anaforica (per un approfondimento di queste nozioni, cf. Vanelli 22001, 1.2).
Alla diversità del punto di riferimento è legata un’altra differenza tra i due tipi di espressioni: mentre la distanza temporale indicata da fa pone l’evento cui si riferisce sempre nel passato (in quanto antecedente al ME), la distanza temporale indicata da prima, pone l’evento o nel passato o nel futuro, a seconda ← 23 | 24 → del settore temporale in cui è posto il punto di riferimento anaforico. In (1b) l’evento è nel passato, ma nell’es. seguente l’evento è posto nel futuro:
(2) Sergio arriverà a Parigi il 13 giugno. Io invece una settimana prima.
Dal punto di vista funzionale-relazionale, l’espressione nella sua totalità va analizzata come un elemento extranucleare (circostanziale), che ha la stessa funzione di altri tipi di complementi circostanziali, resi con SP o SAvv o con F: da questo punto di vista il sintagma una settimana fa / prima funziona come ad es. in maggio o ieri o quando ci sono state le elezioni.
Dal punto di vista categoriale si tratta di un sintagma costituito, come già anticipato, da dei N indicanti unità di tempo accompagnati da un quantificatore e seguiti appunto da fa o prima. Lo si può considerare un SP (o PP)2 di tipo avverbiale, che localizza un evento nel tempo misurando la distanza rispetto a un punto di riferimento temporale.
Per quanto riguarda le categorie lessicali prima e fa, possiamo dire che prima è una di quelle preposizioni che vengono definite “improprie”, o “polisillabiche”, o “avverbiali” (cf. Rizzi 22001), che hanno la proprietà, dal punto di vista sintattico, di non richiedere un complemento espresso, come avviene negli esempi dati sopra; il complemento non espresso viene recuperato dal contesto; in altri casi che vedremo brevemente, riceve un’interpretazione generica. In questo senso, va confrontata con altre preposizioni avverbiali dello stesso tipo, come dopo, sopra, sotto, dietro, davanti, ecc. Si tratta di elementi che possiamo definire intrinsecamente “relazionali”, in quanto indicano una particolare “posizione” nel tempo o nello spazio relativa a uno specifico punto di riferimento. Il punto di riferimento può essere reso esplicito come complemento, che può essere nominale o preposizionale: in quest’ultimo caso l’elemento nominale è preceduto da una preposizione vera e propria, come nelle varianti di (3) (cf. Rizzi 22001; Tortora 2005):3
(3a) La valigia è sopra / sotto (al)l’armadio.
(3b) L’albero si trova dietro / davanti (al)la casa.
(3c) Sono partito dopo colazione / prima di colazione.
← 24 | 25 → Il punto di riferimento può anche non essere espresso, e in tal caso viene normalmente recuperato dal contesto linguistico o extralinguistico.4
(4a) Non sapevo dove metterla, poi ho visto quell’armadio e l’ho messa sopra / sotto.
(4b) Vedi quella casa? L’albero si trova dietro / davanti.
(4c) Ho fatto colazione e due ore dopo sono partito.
(4d) Hai fatto colazione presto, ma io ero partito due ore prima.
Si noti che l’uso di prima è del tutto parallelo a quello di dopo: se prima, accompagnato da un termine di tempo, indica una distanza temporale anteriore a un punto di riferimento dato anaforicamente, dopo, sempre accompagnato da un termine di tempo, indica parallelamente una distanza temporale posteriore rispetto a un punto di riferimento ugualmente dato anaforicamente:5
Prima e dopo si possono usare anche senza la presenza di un termine temporale: in tal caso indicano solo anteriorità o posteriorità rispetto al momento di riferimento, senza l’esplicitazione precisa della distanza temporale:
(5a) Sergio è uscito alle 5. Io sono uscita dopo.
(5b) Sergio è rientrato alle 5. Io ero tornata prima.
Quando non è espressa la distanza temporale rispetto al momento di riferimento, questo può essere individuato non solo mediante il rinvio anaforico, ma può coincidere anche con il ME: l’interpretazione è dunque in questo caso (e solo in questo caso) deittica:6
(6a) Parti pure. Io ti raggiungo dopo.
(6b) Prima ho visto Paolo al supermercato.
In tutti i casi visti finora in cui la preposizione avverbiale è usata senza complemento, il punto di riferimento per la localizzazione è definito e ricavato dal contesto, ← 25 | 26 → incluso il caso di punto di riferimento deittico mostrato in (6). In alcuni casi il punto di riferimento assente può essere interpretato come generico, ma necessariamente unico. Esempi come il seguente:
(6c) Prima ci si lava le mani, poi si mangia.
si interpretano riferendosi a un punto nel tempo a piacere, rispetto al quale i due eventi vengono localizzati temporalmente.
L’analisi categoriale di fa è invece più problematica. Per alcuni aspetti condivide alcune proprietà con prima: infatti a) ha una struttura sintattica parallela a prima, in quanto è preceduta dal sintagma indicante la distanza temporale; b) è intrinsecamente relazionale, e c) è morfologicamente invariabile (come sono appunto le preposizioni e gli avverbi). Ma presenta anche delle importanti differenze: in primo luogo la sua interpretazione è esclusivamente deittica, come si è visto in (1), e in secondo luogo non può mai essere usata senza l’indicazione esplicita della distanza temporale, come mostra l’agrammaticalità di:
(7) *L’ho vista fa.
rispetto a:
(8) L’ho vista un’ora fa.
Se la distanza temporale non è esplicitata, è necessario usare prima, come si è visto (cf. discussione degli esempi in (1)).
Queste caratteristiche anomale di fa si accompagnano al fatto che anche dal punto di vista lessicale presenta una proprietà singolare: coincide infatti morfologicamente con la 3a pers. sg. del presente indicativo del verbo fare,e, come vedremo, non si tratta di un’omonimia.
1.2 Il confronto con lo spagnolo
Un accostamento tra il nostro fa e l’omofona forma verbale è ulteriormente motivato se si confronta l’espressione temporale dell’italiano con quelle corrispondenti dal punto di vista semantico di un’altra lingua romanza, come lo spagnolo (per cui cf. Bosque / Demonte 1999, II, 48.3). In spagnolo si trovano infatti due tipi di costruzione che indicano la distanza temporale anteriore a un punto di riferimento: in entrambe le costruzioni è presente il verbo hacer ‘fare’ (qui nel senso di ‘compiere’).
La prima costruzione è simile a quella italiana nel senso che costituisce un sintagma circostanziale. Esempi (da Bosque / Demonte 1999, 3170-3171):
← 26 | 27 → (9a) Lo conocí hace un año. (lett. ‘L’ho conosciuto fa un anno.’)
(9b) El presidente dimitió hace dos días. (lett. ‘Il presidente si è dimesso fa due giorni.’)
Come si vede, a differenza dell’italiano, il termine temporale segue, e non precede, hace (corrispondente di fa).
Ma la differenza più rilevante consiste nel fatto che il valore deittico non è legato a hace in quanto elemento lessicale intrinsecamente deittico, come avviene per fa, ma è dovuto al fatto che hace è la forma verbale flessa al presente, ed è il tempo verbale che assicura l’interpretazione deittica. La controprova è data dal fatto che il verbo hacer può essere flesso anche in altri tempi e in tal caso la stessa espressione perde il suo valore deittico e l’espressione acquisisce un’interpretazione anaforica (contestualmente data):
(10) Se habían casado en Las Vegas hacía dos años. (lett. ‘Si erano sposati a Las Vegas faceva due anni.’)
In (10) il punto di riferimento nel passato è recuperabile dal contesto linguistico. E si veda anche l’es. seguente in cui ayer ‘ieri’ funge da punto di riferimento esplicito rispetto a cui si misura la distanza temporale:
(11) Lo conocí ayer hizo un año. (lett. ‘L’ho conosciuto ieri fece un anno.’)
La seconda costruzione è data invece da una vera e propria struttura frasale, che regge a sua volta un complemento frasale:
(12a) Hace un año que lo conocí. (lett. ‘Fa un anno che l’ho conosciuto.’)
(12b) Hacía un año que se había ido. (lett. ‘Faceva un anno che se ne era andato.’)
Anche con questa costruzione, il valore deittico o anaforico dell’espressione temporale dipende dal tempo verbale (presente: punto di riferimento = ME; imperfetto: punto di riferimento = recuperabile contestualmente (anaforicamente)).
Riprenderemo più avanti l’analisi di queste strutture sintattiche, che, come vedremo al § 2., si ritrovano, simili, anche in italiano antico (e anche moderno, ma con il verbo essere, e con un’interpretazione temporale un po’ diversa). Per il momento dobbiamo solo rilevare che, mentre nelle costruzioni spagnole è chiaramente individuabile la presenza di forme flesse del verbo hacer, la stessa analisi non è possibile per la costruzione parallela dell’it. m., in cui le proprietà morfologiche, sintattiche e semantiche di fa non consentono di interpretare questa forma come una categoria pienamente verbale. O almeno non consentono più di interpretarla come tale: si può ipotizzare, alla luce del confronto con le costruzioni ← 27 | 28 → dello spagnolo, che in it. m. si sia verificato un processo di grammaticalizzazione della forma verbale, che ha opacizzato la struttura originaria, per cui fa ha perso le sue caratteristiche originariamente verbali e ha assunto le proprietà che ne fanno un elemento di tipo avverbiale intrinsecamente deittico, come abbiamo visto. Per cercare di definire le sue apparentemente ambigue proprietà, che ne fanno una categoria piuttosto anomala, è dunque necessario provare a ricostruirne la genesi: per questa ragione rivolgiamo ora la nostra attenzione all’espressione della distanza temporale in italiano antico.
2. L’espressione della distanza temporale in italiano antico
La documentazione su cui ci siamo basate per l’italiano antico proviene in primo luogo dallo spoglio dei testi contenuti nel corpus dell’Opera del Vocabolario Italiano (OVI, progetto finanziato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche), raccolto in una base di dati testuali accessibile e interrogabile in rete attraverso il software GATTO 3.3 – (Gestione degli Archivi Testuali del Tesoro delle Origini), che contiene testi in volgare anteriori al 1375. La ricerca è stata effettuata solo sui testi fiorentini, che identifichiamo come italiano antico (= it. a.) (per le motivazioni di questa identificazione cf. Renzi / Salvi 2010, Prefazione). L’analisi qui svolta è già stata anticipata in Vanelli 2002a, 2002b e 2010, lavori però limitati al commento dei testi fiorentini del Duecento e della prima parte del Trecento (la fase temporale del fiorentino antico descritta dalla Grammatica dell’italiano antico (Renzi / Salvi 2010)). In questa sede abbiamo esteso l’analisi includendo anche testi del Quattrocento con alcune incursioni nel Cinquecento, in modo da presentare una panoramica diacronicamente più ampia e di formulare alcune ipotesi sulle modalità del cambiamento che si è verificato in questi secoli nel settore sotto esame. Per la documentazione dei secoli XV e XVI, ci siamo avvalse della documentazione fornita dal database del CIBID (Centro Interuniversitario Biblioteca Italiana Digitale, frutto dell’accordo tra le Università di Ferrara, Lecce, Pisa, Roma “La Sapienza”, Salerno e Torino).
Dal momento che lo scopo di questo lavoro è innanzitutto quello di ricostruire l’origine della struttura con fa per indicare la distanza temporale deittica nel passato, abbiamo limitato in prima istanza la ricerca a quelle espressioni che contengono appunto fa insieme a termini temporali indicanti la distanza.
Attraverso lo spoglio dei testi fiorentini antichi abbiamo individuato un certo numero di esempi che sono effettivamente paralleli a quelli dell’it. m. Eccone alcuni:
(13a) In Roma, la quale come è oggi coda così già fu capo del mondo, fu un giovane, poco tempo fa. (Boccaccio, Decameron, p. 357)
← 28 | 29 → (13b) ...Giogoli, presso a Firenze, poco tempo fa, fu un piovano, che avea un suo fante,... (122) (Franco Sacchetti, Trecentonovelle)
(13c) ..Morì Giovanni della Luna, tre di fa. (Macinghi Strozzi, Lettere, XXXI)
(13d) ..migliorato del male che ebbe duo mesi fa. (Macinghi Strozzi, Lettere, LXIII)
(13e) ch’io n’ho la sentenza uno anno fa o più. (Novella del grasso legnaiolo)
Se la documentazione si riducesse a esempi come questi, dovremmo solo constatare che la costruzione del fiorentino tardo trecentesco e quattrocentesco è già del tutto simile a quella dell’it. m. Ma le cose non stanno proprio così: è vero che ritroviamo le stesse locuzioni con fa dell’it. m., ma accanto ad esse, troviamo anche, e anzi la documentazione è, come vedremo, più precoce, delle altre costruzioni con lo stesso valore, in cui compare sempre fa, ma in cui a) la sintassi è sostanzialmente diversa, e b) in fa possiamo riconoscere proprio la forma verbale del verbo fare alla 3a persona singolare del presente indicativo.
La documentazione ci permette di individuare due tipi di costruzioni differenti, simili a quelle descritte per lo spagnolo, che sono rappresentate in (14) e (15):
(14a) Oi nobile intelletto, oggi fa l’anno che nel ciel salisti. (Dante Vita Nuova, cap. 34, par. 11. vv. 13-14)
(14b) Tristano, oggi fa XXVI giorni, che lo re Marco entrò negli borghi della Gioiosa Guardia. (Tavola Ritonda, cap. 123, p. 478)
(14c) e fa ora di questo mese anni sette [che]7 ti partisti. (Macinghi Strozzi, Lettere, XI)
(15a) Fa dunque che risusciti il figliuolo mio, che morì già fa XIII anni (Leggenda aurea, p. A354).
(15b) Prendano per forza il biado de’ nostri poderi, sì com’egli fecero, ora fa tre anni. (Deca prima di Tito Livio, p. a176)
(15c) sì come quelli ch’è sommo filosofo e maestro, più che re che portasse corona già fa mille e più anni. (Giovanni Villani, Cronica, p.f025)8
← 29 | 30 → (15d) e parmi che se hai ’l capo a mandarlo, ti sia troppo indugiato a comperarlo, che no l’arai a sì buono mercato come l’aresti auto già fa uno mese. (Macinghi Strozzi, Lettere, II)
(15e) È vero che, or fa un anno, n’avevo voglia. (Macinghi Strozzi, Lettere, II aggiunta)
Particolarmente significativa è questa sequenza tratta dalla novella CLI tratta dal Trecentonovelle di Franco Sacchetti, dove l’autore vuole dimostrare al suo interlocutore Fazio quanto sia difficile ricordare le azioni passate:
(16) E io dissi: — Or veggiamo come tu sai le passate che sono così agevoli: Deh, dimmi quello che tu facesti in cotal dì, or fa un anno. E Fazio pensa. E io seguo: — Or dimmi quello che facesti or fa sei mesi. E quelli smemora. — Rechiànla a somma: Che tempo fu or fa tre mesi? E quelli pensa e guata, come uno tralunato. E io dico: — Non guatare; ove fusti tu già fa due mesi a questa ora? E quelli si viene avvolgendo. E io il piglio per lo mantello e dico: — Sta’ fermo, guardami un poco: Qual navilio ci giunse già fa un mese? e quale si partì? Eccoti costui quasi un uomo balordo. E io allora dico: — Che guati? mangiasti tu in casa tua o in casa altrui oggi fa quindici dì? E quelli dice: — Aspetta un poco. E io dico: — Che aspetta? io non voglio aspettare: che facevi tu oggi fa otto dì a quest’ora?
Le differenze tra le espressioni con fa degli esempi di (14)-(16) e quelli di (13), che sono gli stessi dell’it. m., sono evidenti. Gli esempi di (14) mostrano chiaramente che l’espressione con fa e il termine temporale costituisce sintatticamente la frase principale che regge la successiva frase subordinata introdotta dal complementatore che. Dal momento che si tratta di una struttura frasale, la natura categoriale di fa non è più problematica, in quanto non può essere interpretato che come un elemento “verbale”: si tratta appunto della forma flessa (3a persona singolare del pres. ind.) del verbo “fare” (che assume qui il significato di “compiere”: cf. ad es. l’it. m. fare gli anni per ‘compiere gli anni’). Quanto alla struttura sintattica della costruzione, dal momento che “fare” non si accorda mai con il sintagma temporale, questo non può essere trattato come un soggetto: andrà dunque trattato come un oggetto. La costruzione può essere analizzata come impersonale e può essere confrontata con altre espressioni in cui compare fare impersonale, come fa brutto / bel tempo, fa caldo, ecc.9 Più precisamente il nostro caso ← 30 | 31 → è forse da confrontare con strutture in cui fare impersonale è accompagnato da espressioni di misure, come nei conteggi del tipo: Quanto fa? Fa trenta euro.10 Si tratta in ambedue i casi di oggetti non argomentali, a cui viene attribuito un caso inerente accusativo: diversamente dagli oggetti argomentali, questo tipo di apparenti oggetti non possono essere dislocati a sinistra e pronominalizzati col clitico oggetto:
(17a) *Brutto tempo, l’ha fatto per una settimana.
(17b) ?*Trenta euro li fa sicuramente.
Da un punto di vista semantico, sembrerebbe più pertinente il confronto con fare nelle espressioni regionali che esprimono il compimento di una data età; ma qui l’espressione numerale sembra un vero oggetto strutturale, e soprattutto il verbo non è impersonale:
(18a) Il bambino ha fatto / farà, ecc. 12 anni
(18b) Il bambino 12 anni li ha fatti il mese scorso.
La maggiore o minore vicinanza semantica e funzionale fra questi diversi usi di fare non è conclusiva; ci permette di vedere nell’espressione temporale che stiamo considerando un uso di fare che si allinea a questi per il fatto di avere uno scarso contenuto semantico e un prevalente valore funzionale. La sua struttura tematica appare molto ridotta: il verbo può essere specificato per modo e tempo, ma non è mai accordato con le unità di tempo. Supponiamo dunque che le unità di tempo abbiano la funzione di un oggetto non argomentale, con caso accusativo inerente, assegnato dal verbo impersonale.
Facendo parte di una struttura frasale di tipo impersonale, anche la posizione di fa in italiano antico è differente rispetto a quella che si ha nell’espressione moderna: in it. a. la forma verbale fa precede il SN temporale (che è interpretato come oggetto), ed è inoltre preceduta da un avverbio di tempo che localizza il punto di riferimento del conteggio temporale, come ora, oggi negli esempi dati sopra; in it. m. questi avverbi sono scomparsi, e inoltre fa è preceduto, non seguito, dal SN temporale.
Gli esempi di (15) e (16) sono più simili a quelli dell’it. m., in quanto dal punto di vista sintattico funzionano come degli elementi circostanziali, ma la loro struttura interna è la stessa di (14): vanno interpretate comunque come ← 31 | 32 → strutture frasali in cui fa mantiene il suo statuto verbale. Ci sono due argomenti a favore di questa analisi:
Details
- Pages
- 684
- Publication Year
- 2014
- ISBN (PDF)
- 9783653038316
- ISBN (MOBI)
- 9783653996692
- ISBN (ePUB)
- 9783653996708
- ISBN (Softcover)
- 9783631634691
- DOI
- 10.3726/978-3-653-03831-6
- Language
- Italian
- Publication date
- 2014 (January)
- Keywords
- Variazione diatopica Variazione diastratica Ladino Friulano Sardo Cimbro Friaulisch Sardisch Regionalsprachen Kimbrische Sprache Minderheitensprache
- Published
- Frankfurt am Main, Berlin, Bern, Bruxelles, New York, Oxford, Wien, 2014. 684 p., 16 ill. a colori, 13 ill. b/n, 26 tab.
- Product Safety
- Peter Lang Group AG