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Alle radici della fraseologia europea

by Geneviève Henrot Sostero (Volume editor)
©2023 Edited Collection X, 638 Pages
Series: Linguistic Insights, Volume 295

Summary

Una curiosità per le radici della fraseologia anima i ventiquattro contributi riuniti in questo volume, articolati in quattro sezioni. Nella prima (Parte I. Fraseologia e Cultura), alcuni contributi si propongono di sondare, in diacronia e in prospettiva filogenetica, la talvolta lontana provenienza di questo patrimonio espressivo così caratteristico di ciascuna lingua. Più orientate, invece, verso una conoscenza in fieri, le parti successive ragionano su quali strumenti performanti concepire per osservare in statu nascendi (II. Fraseologia nel linguaggio economico, giuridico e politico), conservare (III. Fraseografia) e tramandare (IV. Fraseodidattica) tali espressioni così eloquenti e saporite.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Titolo
  • Copyright
  • Sull’autore/Sul curatore
  • Sul libro
  • Questa edizione in formato eBook può essere citata
  • Indice
  • Cosimo Di Giovanni, Presidente di Phrasis Prefazione
  • Introduzione
  • PARTE IFRASEOLOGIA E CULTURA
  • Horatius personatus. Riuso gnomico di Orazio nell’età del libro antico
  • La fraseologia dei Promessi sposi: due casi di studio
  • Tradurre la fraseologia calviniana in francese: Il Visconte dimezzato
  • “No en mis días”: creazione, citazione e rideterminazione di unità fraseologiche in Pere Gimferrer, Fortuny
  • Terminologia del mondo contadino nei proverbi e nei modi di dire italiani e rumeni
  • Estudio etnolingüístico de las paremias sobre la indumentaria
  • Semantica del bianco e del nero
  • PARTE IIFraseologia nel linguaggio economico, giuridico e politico
  • Quand une unité phraséologique devient un nom propre : étude morpho-sémantique des noms de coiffeurs
  • Phrasèmes terminologiques économiques et financiers dans la presse française et slovaque et leurs équivalents anglais
  • Idioms as a source of language play in informal legal discourse
  • Soprannomi e strutture alternative per i nomi dei politici nei talk show italiani e rumeni
  • Fraseologismi e linguaggio politico. Considerazioni sull’uso dei fraseologismi nei discorsi parlamentari di Alice Weidel (Alternative für Deutschland)
  • PARTE IIIFRASEOGRAFIA
  • Les unités multilexémiques non libres entre langue générale et langue de spécialité
  • Accogliere definitivamente in lessicografia il principio della formulaicità della lingua – Sette princìpi per un “Ultradizionario”
  • Verso un dizionario fraseologico italiano-ceco basato sui corpora
  • La fraseologia settoriale nei dizionari genovesi-italiano
  • Sulla selezione della parola base delle collocazioni specializzate del linguaggio economico: uno studio corpus-based
  • PARTE IVFRASEODIDATTICA
  • Origines pédagogiques de la phraséologie. De la didactique des langues à la didactique de la traduction
  • La relation d’interdépendance entre la conceptualisation et les variations lexicales et syntaxiques des locutions
  • L’attenzione paremiologica nella glottodidattica. Un’indagine sulla manualistica per l’insegnamento dell’italiano e delle lingue straniere
  • Una propuesta de didáctica de fraseología española a estudiantes rumanos
  • Faire sans avec. Étude critique d’un corpus d’apprenants en FLE B2+
  • Dalle costruzioni a verbo supporto italiane alle lingue terze: un percorso di studio universitario
  • Acquiring LSP Phraseology in Specialised Translator Education and Assessment: An Integrated Approach
  • Misurare la complessità fraseologica in italiano L2: premesse teorico-metodologiche verso l’integrazione di corpora e eye-tracking
  • Elenco di figure, tabelle e grafici
  • Autori e Autrici

Cosimo Di Giovanni, Presidente di Phrasis

Prefazione

Nel corso degli ultimi anni, grazie a numerosi studi, si è sempre più imposta una concezione ampia della fraseologia, intesa come un insieme eterogeneo di espressioni pluriverbali, dalle collocazioni alle unità fraseologiche pragmatiche passando per le locuzioni e i proverbi. Oltre a questo, la fraseologia si distingue per il suo carattere interdisciplinare – in cui risulta essenziale la confluenza di diverse discipline umanistiche e non solo – e il raggiungimento di uno stadio transdisciplinare – inteso in senso piagetiano – con la messa in atto di interazioni dinamiche tra le diverse scienze in forma reticolare.

L’insieme dei tre fattori appena enunciati ha reso e rende ancora difficile la formulazione di una definizione unanime della nostra disciplinae ha complicato maggiormente sia il sistema di classificazione delle diverse unità fraseologiche, sia la sistematizzazione della terminologia utilizzata in campo fraseologico; entrambe caratterizzate da differenze non solo tra le diverse aree geografiche ma anche all’interno di una stessa area circoscritta.

II VII Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana di Fraseologia e Paremiologia, Phrasis, – promosso dall’Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari (DISLL), tenutosi i 14 e 15 gennaio 2021 – è stata, ancora una volta, l’occasione per mettere insieme ricerche e contributi con il comune riferimento alla fraseologia e alla paremiologia, in ambito nazionale e internazionale, e con l’intento di costituire un luogo di confronto stimolante per le ricercatricie i ricercatori.

Date le premesse, questo volume non ha l’ambizione di compiere una sintesi delle diverse aree disciplinari e dei molteplici approcci che si possono enumerare in relazione alla fraseologia e alla paremiologia, bensì intende proporre un percorso all’interno di una parte dello scenario interdisciplinare e transdisciplinare. Si tratta dunque di un itinerario che si sofferma su relazioni ormai consolidate della fraseologia e della paremiologia con alcune aree disciplinari, quali soprattutto la didattica delle lingue, la terminologia, la lessicologia, la lessicografia – presenti in questo volume – e che conferma ancora una volta la convinzione che le due discipline svolgano un ruolo di grande rilievo come ponte fra i diversi saperi. Un ponte percorribile e mai invalicabile.

Geneviève Henrot Sostero

Introduzione

Da parlanti nativi, tendiamo ingenuamente a credere che le espressioni idiomatiche siano “trasparenti” per tutti, semplicemente perché ci siamo dimenticati di quando e come abbiamo imparato a costruire un loro significato che non fosse la somma dei sensi delle singole unità che lo compongono.

Eppure, diverse situazioni linguistiche ci ricordano che queste espressioni trasparenti non sono. Nell’acquisire la lingua materna, il bambino spesso le prende alla lettera, per la gioia degli adulti, oppure ipotizza un senso tutto suo che potrà, in seguito (talvolta molto tardi), venire smentito. Allo stesso modo, l’apprendente allofono « inciampa » su queste espressioni, in ragione della loro frequente opacità, oppure del carattere arbitrario/aleatorio della selezione paradigmatica congelata nell’espressione. Nella serie televisiva NCIS, l’Israeliana Ziva, appena arrivata negli Stati Uniti, ne è spesso un esempio divertente, come in questa scena, resa in italiano nel modo seguente, sulla base dell’espressione iperbolica “è la crema della crema”:

X: È bravo, il vostro hacker informatico?

DiNozzo: È il migliore in assoluto!

Ziva David, annuendo: È la schiuma della schiuma!

DiNozzo a X, sghignazzando: Cosa vuoi, è israeliana!

Ziva David, stizzita: Beh? Volevo dire: è la panna della panna!

Ma anche noi adulti nativi, per quanto vaste possano essere le nostre conoscenze linguistiche, in materia di espressioni idiomatiche ci troviamo di tanto in tanto ad interloquire con persone che attingono ad un repertorio diverso dal nostro, così che ci sorprendono e ci istruiscono non di rado tanto sull’estensione sconfinata dei fraseologismi quanto sui limiti nel nostro sapere personale.

È proprio questa curiosità per le radici della fraseologia che anima i ventiquattro contributi riuniti in questo volume, articolati in quattro sezioni. Nella prima (Parte I. Fraseologia e Cultura), alcuni contributi si propongono di sondare, in diacronia e in prospettiva filogenetica, la talvolta lontana provenienza di questo patrimonio espressivo così caratteristico di ciascuna lingua. Più orientate, invece, verso una conoscenza in fieri, le parti successive ragionano su quali strumenti performanti concepire per osservare in statu nascendi (II. Fraseologia nel linguaggio economico, giuridico e politico), conservare (III. Fraseografia) e tramandare (IV. Fraseodidattica) tali espressioni così eloquenti e saporite.

La prima sezione (Fraseologia e cultura) esplora il patrimonio culturale che ci ha lasciato in eredità le espressioni più longeve, dai latini (I.1. Antonio Iurilli) e dal mondo contadino (I.5. Oana Sălişteanu) o familiare (I.7. Ferdinando Longobardi), anche olto attraverso il suo vestiario (I.6. Messina Fajardo), passando per i grandi classici della letteratura italiana quali Alessandro Manzoni (I.2. Ersilia Russo) fino ai contemporanei come Italo Calvino (I.3. Catherine Penn e Martine Van Gertruijden) o ancora, sempre nel feudo romanzo, il catalano Pere Gimferrer (I.4. Nicola Palladino).

Incentrata sulla lingua contemporanea, la seconda sezione (Fraseologia nel linguaggio economico, giuridico e politico), osserva in situ la nascita di nuove espressioni in contesti discorsivi specializzati quali il commerciale (II.1. Christine Fevre-Pernet), l’economico-finanziario (II.2. L’udmila Meskova), il giuridico (II.3. Anastasia Khustenko) o il politico (II.3. Anamaria Gebăilă, II.5. Isabella Ferron).

Ad uno stadio ulteriore nella curva di vita del fraseologismo, la terza sezione (Fraseografia) studia le condizioni teorico-tipologiche (III.1. Paolo Frassi) ed editoriali (III.2. Francesco Urzì; III.5. Sakr) dell’entrata dell’unità fraseologica nei dizionari. Vengono inoltre proposte indagini critiche sulla presenza (o meno) di fraseologismi settoriali all’interno di dizionari dialettali, quali quelli genovese/italiano (III.4. Erica Autelli), e progetti contrastivi basati su corpora (III.3. Zora Obstová).

La quarta e ultima sezione (Fraseodidattica) questiona le condizioni di apprendimento degli idiomatismi da parte di parlanti allofoni per osservare come vengano meglio incorporate ad un sapere preesistente in sede di apprendimento. Mª Isabel González-Rey (IV.1.) risale alle radici dell’insegnamento della fraseologia, rivelando quanto antica e lucida sia stata la consapevolezza di alcuni didatti di un tempo nel dover fronteggiare con metodi specifici un aspetto tanto complesso quanto succulento delle lingue. Mentre Nicole Mazzetto (IV.2.) mette alla prova di un’indagine sul campo il rapporto classicamente visto come condizionato tra opacità e fissità: osserva invece che una relativa variazione lessicale non inficia sempre il funzionamento dell’espressione idiomatica, ma ne rivela un possibile dinamismo cognitivo. Oana Adriana Duță (IV.3.) rimarca, avendo le lingue romanze in comune un patrimonio di espressioni etimologicamente e culturalmente connesse, quanto convenga fare leva, laddove ci sia, sulla corrispondenza lessicale delle espressioni tra due lingue quali lo spagnolo insegnato ad alunni rumeni. Mentre Geneviève Henrot Sostero (IV.4.) osserva l’uso della preposizione avec in situazione di produzione scritta da parte di apprendenti italiani in FLE, e ne constata una frequenza maggiore di quanto suggerirebbero soluzioni ortonimiche: traccia il campo di espansione parzialmente divergente, in contesto, tra le due preposizioni con e avec, facendo emergere tendenze stilistiche distintive delle due lingue a confronto. Con Sabine Koesters et al. (IV.5.), viene illustrato un percorso ibrido di apprendimento delle costruzioni con verbo a supporto (CVS) in nove lingue straniere: fondato sullo sviluppo di una previa consapevolezza (meta)linguistica, lo strumento consente tre focalizzazioni: sulla lingua italiana, su ciascuna delle lingue straniere esplorate e su coppie di lingue in modalità contrastiva. Maria Teresa Musacchio e Carla Quinci (IV.6.) gettano luce sulla specifica competenza fraseologica come componente centrale nelle competenze traduttive: incentrato su un esperimento d’insegnamento e apprendimento della traduzione, lo studio sviluppa l’individuazione e la revisione di errori fraseologici con l’aiuto del software translationQ per una collazione trasversale dei contesti e una loro analisi quantitativa e qualitativa. Lo sviluppo della competenza fraseologica rappresenta un aspetto chiave dell’apprendimento di una seconda lingua: per Luciana Forti (IV.7.), alcuni interrogativi attendono ancora risposte soddisfacenti, specie riguardo alla complessità del suo apprendimento: diversi metodi ne consentono la “misurazione”, integrando dati basati su corpora di apprendenti con dati psicolinguistici raccolti tramite eye-tracker.

In questo volume, le radici della fraseologia compiono un’escursione di interrogativi che corre dall’alba delle nostre letterature al sorgere delle nostre creazioni più contemporanee, e dagli arcani della nostra comprensione ai meandri dei nostri apprendimenti.

Antonio Iurilli

Horatius personatus. Riuso gnomico di Orazio nell’età del libro antico

Riassunto: Una pagina non secondaria della fortuna editoriale di Orazio nell’età del libro antico è sicuramente quella che raccoglie le sillogi gnomiche che attingono a piene mani dal suo corpus lirico, morale, critico; le parodie/imitazioni dei suoi versi, le riduzioni burlesche, le traduzioni verbo-figurative: operazioni editoriali che ne sottintendono e ne valorizzano la cifra gnomico-aforistica Il mio paper intende ripercorrere la vicenda editoriale di questo, spesso stravagante ma denso di significati culturali, riuso del princeps lyricorum dell’età romana dal XV al XVIII secolo.

Parole chiave:Quinto Orazio FlaccoParodieAforismi

Abstract: In the age of ancient books, a not insignificant part of Horace’s fortune no doubt relates to the collection of pithy summaries that draw heavily on his lyric, moral and critical production, the parodies/imitations of his verses, the caricatures, the verbal-figurative renditions. All these are forms of editing that imply and enhance the pithy, aphoristic nature of writing. My paper aims to retrace this form of editing over history as a sort of re-use – often extravagant but full of cultural meanings – of the princeps lyricorum of the Roman age from the fifteenth to the eighteenth century.

Keywords:Quintus Horatius Flaccusparodiesaphorisms

Una pagina non secondaria della fortuna editoriale di Orazio nell’età del libro antico è sicuramente quella che censisce le parodie/imitazioni dei suoi versi. Si tratta di una pagina che documenta un riuso di Orazio complementare, ma non meno importante, del più noto e studiato riuso gnomico della sua poesia, il cui vertice è rappresentato dai celebri Emblemata Horatiana: una raffinata operazione verbo-figurativa che ai primi del Seicento, complici un grande pittore/incisore (Otto van Veen, maestro di Rubens) e un esperto tipografo antuerpense (Hieronymus Verdussen), tradusse in linguaggio iconico quanto di gnomico quella stagione della cultura europea particolarmente sensibile all’aforistica potesse trarre dal suo corpus.1 Si trattò di un evento editoriale che collocò il Poeta di Venosa all’interno della lunga tradizione emblematografica europea iniziata nel secolo precedente e, nello specifico, all’interno della notevole fortuna editoriale dell’emblematografia nei Paesi Bassi.2

La valorizzazione della dimensione gnomica dell’opera oraziana e la sua trasformazione in linguaggio iconico, peraltro attiva già nella protoeditoria con la splendida edizione silografica strasburghese di Johann Reinhard Grüninger del 1498, costituiscono, quindi, il prodotto di una sensibilità tardo-rinascimentale per l’editoria verbo-figurativa destinata a favorirne impieghi moralistico-pedagogici complessi e duraturi.3

Per questo, l’imponente riuso di Orazio nell’editoria verbo-figurativa prende le mosse alle soglie del XVII secolo con i citati Emblemata Horatiana, e perdura nel secolo successivo. Il fenomeno sembra correre parallelo, o forse anticipare, la ricerca ‘barocca’ di una originalità traduttoria dai molteplici risvolti sperimentali, e nutrirsi sia delle ascendenze gnomiche dell’Orazio medievale, sia del gusto rinascimentale per la rappresentabilità figurale dei motti e delle sentenze: un fenomeno così radicato da resistere anche al riuso ‘razionalistico’ della lirica oraziana nel Settecento.4

A questo specifico aspetto della fortuna di Orazio concorre la solida tradizione rinascimentale della ‘poesia visuale’, ovvero di quei componimenti che connettono il messaggio verbale con quello iconico: una fortuna alimentata dal fascino che sull’uomo del Rinascimento esercitava l’immagine come rappresentazione enigmatica e polisemica del testo, e dall’interesse per la complessa intersezione artistica fra la creazione letteraria, quella iconografica, quella editoriale che ne scaturisce. Né manca la suggestione neoplatonica, non disgiunta dal fine divulgativo, di recuperare l’intelligibile (il testo) attraverso il sensibile (l’immagine).5

Ma è sul fertile terreno della scrittura gnomica barocca che si intensifica il fitto intreccio fra paremìa ed emblematica, permeando numerosi sottogeneri: da quello aforistico a quello impresistico-figurale, a quello verbo-figurativo, a quello del motto, dell’arguzia, dell’enigma, sottogeneri tutti accomunati dall’intento di permeare la cultura sapienziale degli auctores dell’artificio retorico della ‘maraviglia’.6 L’idea di comunicare messaggi etici attraverso gli allettamenti dell’immagine stava, del resto, conoscendo in quegli anni un’applicazione sistematica nella ratio studiorum gesuitica e, in particolare, nella teoresi drammaturgica della Compagnia di Gesù.

Meno disponibile, rispetto a Virgilio e a Ovidio, a offrire trame narrative o simbologiche suscettibili di trasposizioni figurative, il corpus oraziano è invece privilegiato per la sua cifra gnomica, disponibile a rivestirsi di forme figurative ispirate da processi di allegorizzazione a sfondo morale.7 La tradizione giocava, naturalmente, un ruolo fondamentale nel fomentare e nel recepire in quegli anni la domanda di consumo aforistico di Orazio. Di qui la sua fortuna nella cultura verbo-figurativa barocca, disponibile a metabolizzare, all’interno di nuove forme di riuso degli auctores, la secolare fortuna gnomica di Orazio, facendo coincidere il suo miscere utile dulci con i due elementi strutturali del connubio parola-immagine, nel quale la parola corrisponde all’utile e l’immagine al dulce. Il radicarsi di una cultura emblematografica propiziato dalla pubblicazione degli Emblemata di Andrea Alciato (Venezia, 1546), e il consolidarsi di una spregiudicata aemulatio nella coeva fruizione ‘volgare’ del Poeta di Venosa propiziano, insomma, il connubio fra la seduzione dell’immagine e il giacimento sapienziale della scrittura oraziana con l’intento di ‘tradurre’ quella scrittura in un linguaggio figurato secondo una dinamica inversa a quella dell’ut pictura poesis, cui era sottesa la corrispondenza ut philosophia poesis.

Anche la trasposizione gnomica del corpus oraziano conosce un significativo primum nella stagione incunabolistica in terra fiamminga. Un protagonista della filologia e dell’editoria europea quattro-cinquecentesca, il brabantino Josse Bade (Jodocus Badius Ascensius), allineato con la netta predilezione che il centro Europa manifesta per l’Orazio ‘morale’ (quello che Dante chiama ‘Orazio satiro’) piuttosto che per l’Orazio lirico, pubblica a Lione nel 1492 le Silvae morales (una crestomazia di moralia tematicamente attinti da alcuni auctores e concepita per l’educazione dei fanciulli), prelevando in forma di proverbi, sentenze e aforismi molti versi delle Epistolae oraziane, forte di questo giudizio sul valore gnomico della poesia oraziana:

Sic etenim Quintus Horatius Flaccus in sermonibus suis vitia multa urbanitate castigat, ac deinde in epistolis honestae sanctaeque vitae praeceptiones colligit. Idem in Arte Poetica vitia scribendi reprobat priusquam veras artes accuratius instituit, quia vero nulla pestis mortalium animis perniciosior quam quae mortalia peccata vocant.8

Ma, a parte le emblematiche primizie quattrocentesche del riuso gnomico di Orazio, è nella seconda metà del XVI secolo che, in un clima – come ho detto – particolarmente incline alla cultura emblematografica e gnomica (una cultura che affidava alla condensazione allusiva dell’emblema, dell’impresa, del motto, del proverbio, della ‘deformazione’ parodica la capacità di rappresentare i canoni, razionalmente ordinati, dei comportamenti etici, civili, politici), Orazio comincia a fare i conti con questa cultura grazie all’esercizio parodistico di un importante umanista discendente da una grande famiglia di tipografi/editori, ovvero di quell’Henri Estienne, enfant prodige dell’esegesi oraziana, per il cui giovanile commento a Orazio il padre Robert, orgoglioso di trasferire dallo scrittoio al torchio, entrambi di famiglia, le primizie esegetiche di suo figlio, si era fatto confezionare appositamente un carattere, concepito nientemeno come una sfida al glorioso Italico di Aldo Manuzio.9

Ad Henri Estienne si devono, infatti, le Parodiae morales in poetarum veterum latinorum sententias celebriores, uscite nel 1575 in significativa contemporanea con la princeps del suo importante commento a Orazio. Ma, rispetto al suo severo impegno esegetico, egli stesso dichiara di averle prodotte come godibile divertissement ‘ioco serio’, allestito «inter equitandum», ovvero durante un ritorno in carrozza da Vienna a Ginevra per attenuare la noia del viaggio, traducendo in greco, in forma di parodie, una silloge di sentenze tratte da auctores latini, fra le quali, numerose, quelle tratte da Orazio: un interessante primum di un esercizio destinato a larga fortuna.10

Anche editorialmente le Parodiae di Henri Estienne rappresentano un originale primum. Ad accrescere la sua funzione di divertissement, l’edizione presenta, infatti, il recto di ogni pagina bianco sul quale il lettore è ‘provocato’ a cimentarsi con proprie parodie accrescendo il repertorio gnomico dell’autore con il patrimonio gnomico elettivamente aggiunto dal singolo lettore. Per quanto, come ho detto, impostato come divertissement ‘ioco serio’, le Parodiae morales di Henri si sintonizzano col riuso (direi, anzi, col recupero) di Orazio in un clima culturale e didattico ormai segnato dalle direttive della Riforma cattolica, un clima nel quale la dimensione parodistica dei classici, retaggio del loro recupero medievale in chiave allegorico-moralistica, costituisce una ragione imprescindibile per la loro assimilazione ad un sistema educativo sempre più confessionalizzato.

A quel sistema educativo che aveva recuperato, riconoscendoli maestri di stile, anche i classici ‘licenziosi’ all’interno della ratio studiorum gesuitica in virtù di una neutralizzazione dei contenuti giudicati incompatibili, si ispira l’Horatius ab omni obscaenitate expurgatus che un tipografo romano, Vittorio Eliano, pubblica a Roma «ad usum Gymnasiorum Societatis Jesu» vantandosi di aver ridotto Orazio a una silloge di «dimidiata saepe carmina» con intenti moralistici.11 Per quanto non espressamente dichiarata, si conferma in questa fortunata e longeva iniziativa editoriale di àmbito gesuitico la tendenza gnomico-moralistica che già il mondo luterano aveva manifestato adattando il moralismo oraziano ai codici etici della borghesia rampante, per esempio, dei Paesi Bassi, dove non a caso si registrano due iniziative editoriali contigue che propongono di Orazio rispettivamente i Carmina «omissis nonnullis lascivioribus», e i due libri di Epistolae «in puerorum gratiam hac forma castigatissime excusi».12

Rivive insomma, nel consumo parodistico ed ‘espurgato’ di Orazio, la tendenza ad assimilare la gnomica pagana alla sapientia cristiana attraverso la riappropriazione cristiano-pedagogica dell’insuperato modello lirico rappresentato, appunto, dal princeps lyricorum dell’antichità. Ed è significativo che questo fenomeno si sviluppi sia nei territori culturali dominati dall’ipoteca classicistica, laica e ‘cortigiana’, sia in quei territori culturali nei quali, invece, resistono, per varie ragioni, il classicismo cristiano e soprattutto il moralismo riformatore protestante.

Ancora nel territorio culturale luterano si registrano le edizioni contigue di due opuscoli di Parodiae Horatianae del poeta neolatino tedesco Heinrich Meibom, collaudato centonatore di Virgilio, costruite su temi a valenza fortemente moralistica, cui si affianca lo stravagante riuso natalizio di Orazio nel Periculum lyricum, seu parodiae aliquot Horatii natalitiis Christi accomodatae di Philipp Eysel.13 In quegli stessi anni, a dimostrare una tendenza che superava i confini dell’Europa riformata, il poeta-teologo inglese Thomas Drant connota di forte moralismo cattolico la prima traduzione metrica di Orazio in terra britannica, uscita nel 1566 a Londra, offrendola al rigoroso moralismo dell’età elisabettiana sotto questo eloquente frontespizio: A Medicinable Morall, mentre il poeta Philipp Eysel si impegnava nello stravagante riuso, per così dire ‘natalizio’, di Orazio nelle Parodiae aliquot Horatii natalitiis Christi accomodatae.14

Ma è nel secolo successivo, in quel Seicento che introduce massicciamente Orazio nel laboratorio poetico barocco trasformandolo spesso in una maschera dietro la quale celare le più ardite sperimentazioni liriche, che il riuso parodistico del princeps lyricorum assume dimensioni ragguardevoli.

Ancora dal mondo luterano emerge il primo, rilevante episodio delle parodie secentesche costruite sui testi oraziani. Il tedesco Balthasar Exner compone una Ethopoeia Horatiana, che è una raccolta di parodie d’indole latamente gnomico-politica. Educatore e professore di storia, Exner dedica ciascuna parodia ad un eminente personaggio della società colta e del potere politico della Germania del tempo caricando i testi oraziani di sentenziose allusioni etico-civili: segno, questo, di una presa di distanza dalle trasformazioni parodistiche impregnate di valenza confessionale del secolo precedente.15

Si tratta di una tendenza che trova conferma nella fortuna editoriale pressoché coeva di sillogi come la Parodiarum ad Horatii Flacci Melpomenen variorum auctorum, et argumenti varii centuria integra del medico-poeta tedesco Caspar Cunrad, e la Parodiarum ad Horatii Flacci Melpomenem decas del poeta neolatino Johann Heermann, seguace della «nuova maniera poetica» teorizzata da Opitz Heerman, capace di coniugare misticismo e professione luterana.16

Un vero e proprio travestimento confessionale moralizzato di Orazio di ambito cattolico, adattato ai canoni morali contemporanei, è l’Horatius christianus […] plerisque ab impudica libertate et gentilium vanitate honestati, et veluti orthodoxae pietati, vindicatis, et ad nostram aetatem quodammodo applicatis, che l’erudito ecclesiastico tedesco Johannes Otho Maianus pubblica ad Augsburg.17 A confermare la tendenza, esce in Francia l’Horatius Christianus del poeta neolatino Jean Du Four affida nel 1629 a due affermati tipografi/editori di Tours, nel quale spicca una originale parodia del Carmen Saeculare, omologato all’innodica cristiana.18

Particolare fortuna editoriale arrise alle Parodiae in libros Odarum et Epodon Q. Horatii rebus sacris maximam partem accomodatae che il pedagogo e poeta neolatino di origine tedesca David Hopp fece stampare a Stettino nel 1634 finalizzando esplicitamente l’edizione al consumo scolastico edificante. Questa sua precipua caratteristica gli valse l’accoppiamento editoriale con un commento a Orazio anch’esso d’impronta nettamente scolastica, sicuramente il più fortunato fra quelli che si susseguirono, in questo settore del mercato editoriale, fino all’Ottocento: il commento a Orazio del medico-umanista inglese John Bond.

A questo nutrito drappello di parodisti centroeuropei di Orazio va, infine, aggiunto, almeno per la ragguardevole dimensione, la ponderosa silloge (quindici libri) di parodie liriche del gesuita napoletano Gian Battista Mascolo, che godette persino di due ristampe al di là delle Alpi.19

Ma l’episodio forse più significativo del riuso gnomico di Orazio nel XVII secolo non è una parodia, ma una stravagante e raffinata edizione in piccolo in-12°, ambita dai bibliofili, che la celebre officina tipografica degli Elzevier offrì a metà del secolo come originale primum del riuso burlesco di Orazio, ai consumatori di questo stravagante riuso dei classici, allora à la page. Mi riferisco a Les Odes d’Horace en vers burlesques di Charles Bey, un poeta definito ‘libertino’.20 Si trattava, in effetti, di un’operazione intrisa di ‘intemperanze’ traduttorie ad alta carica moralistica con allusive attualizzazioni dei personaggi di Carmina oraziani, al limite del lusus, dai forti contenuti politici, messa in atto all’interno del gruppo dei cosiddetti poeti ‘libertini’, autori di altri rivestimenti burleschi dei classici dell’epica antica, a cominciare dall’Odissea. Questo stravagante autore aveva, comunque, giocato bene le sue chance parodistico-gnomiche. Le sue oculate corrispondenze storiche fra le situazioni dell’archetipo oraziano e quelle coeve (tratte dalla società civile e dal mondo politico) creano effetti comico-satirici di grande effetto, particolarmente consonanti col morboso consumo cortigiano di una gnomica allusiva dei difetti sociali del tempo.

Nell’ambiente curiale romano matura invece l’originale Horatii Christiani Tripartitus, stampato a Roma nel 1662 da uno stampatore, Ignazio de Lazaris, vicino alla Curia, e dedicato a papa Alessandro VII dal teologo e poeta francese Jacques Ladore, non col fine tradizionalmente didattico-edificante, ma con quello di perorare la canonizzazione di Francesco di Sales attraverso un’audace identificazione di Orazio con Trismegisto (donde l’appellativo ‘tripartitus’) e quella, funzionale al processo in atto, del beatificando al mitico filosofo-sapiente: una parodia-parafrasi metrica fatta di odi e inni che utilizzano i metri e alcuni stilemi oraziani per celebrarne le virtù, che il corrector generalis Francesco Navarro nella licenza di stampa definisce «istud inusitatum scribendi et omnia pene fidei nostrae dogmata explicandi et applicandi genus litteratis omnibus delectabile»21. Non meno originale si presenta il rivestimento oraziano dei Salmi di David prodotto a Vienna nel 1696 dal teologo sudtirolese Nicolò Avancini, rettore dei collegi gesuitici di Passau, Vienna e Graz, ma anche drammaturgo neolatino ricordato per il successo della sua Pietas victrix, alla cui prima assistettero l’imperatore Leopoldo con l’intera corte viennese e più di tremila spettatori.22

Certifica un gusto assai diffuso in terra polacca per la spettacolarizzazione della gnomica oraziana nelle file della Compagnia di Gesù il raffinato esercizio parodistico del grande poeta neolatino, a lungo professore di Poetica e di Retorica nei collegi gesuitici, Maciej Kazimierz Sarbiewski, che viene confezionato ad Anversa nell’officina plantiniana di Balthasar Moretus nel 1632 con un pregevole apparato paratestuale. Dedicato a papa Urbano VIII (ma le parodie sono individualmente indirizzate a dignitari della corte di Ladislao IV), e offerto al consumo confessionale in un corposo ed elegante in-8°, esso è, infatti, aperto da una splendida incisione a tema palingenetico con Orazio e Virgilio che addita una culla in cui giace Pollione, opera di Pieter Paul Rubens. Oraziano (anche in forza degli influssi ricevuti dal classicismo romano durante il suo soggiorno a Roma) fin dalla pubblicazione dei Characteres lyrici che lo accreditarono come originale rielaboratore della linea poetica Pindaro-Orazio, egli meritò l’appellativo di ‘Horatius Sarmaticus’ proprio per la sua capacità parodistica nei confronti del Venosino, la quale riesce a costruire raffinate corrispondenze fra i temi erotici della lirica oraziana e le istanze mistico-devozionali della sua lirica religiosa23.

Complesse implicazioni etico-civili e intensamente patriottiche caratterizzano le profonde rielaborazioni gnomico-parodistiche di Jan Kochanowski (Joannes Cochanovius), grande poeta umanista polacco, nonché esponente di spicco della nomenklatura politica nazionale. Sicché le sue imitazioni/parodie oraziane, le prime in terra polacca, raccolte nel Lyricorum libellus, risentono della sua vocazione di poeta civile. Proprio nel Lyricorum libellus, opera centrale nella sua produzione letteraria, l’autore raccoglie dodici pieśni, corrispondenti a versioni-imitazioni-parafrasi dei Carmina oraziani, composte secondo una scelta che predilige il genere simposiaco ed erotico, ma anche quello romano-imperiale, mentre altre riguardano riflessioni su particolari temi, specialmente politici.24

A riprova della forte tensione gnomica della mimesi oraziana compiuta da Kochanowski, si rileva il notevole concorso delle implicazioni etico-civili che caratterizzano le profonde intertestualità oraziane dei suoi dodici pieśni nella fortuna degli Emblemata Horatiana di Vaenius in terra polacca.

Come precorrimento del riuso imperialistico ed encomiastico di Orazio nel Settecento, il filone parodistico oraziano del XVII secolo si chiude con una trascrizione parodistica d’impronta confessionale del Carmen seculare. Ne è autore Magnus Daniel Omeis, conte palatino, poligrafo, erudito.25

«Secolo d’Orazio» per antonomasia, il Settecento trasforma Orazio in un mito nutrito di complesse e sfaccettate ragioni (letterarie, sociali, di costume e persino politiche), tutte sostanzialmente riconducibili a quella moda letteraria che aveva rilanciato nella cultura europea un Orazio, per così dire, polisemico.26 Quello settecentesco è, infatti, un Orazio che viene letto ora in chiave sensistico-razionalistica secondo un gusto generatosi dalle riletture ‘ingegnose’ del Barocco e del Rococò; ora in chiave arcadico-neoclassica, eleggendolo a guida nella ricerca di un nuovo decoro poetico; ora in chiave politico-ideologica, rendendolo disponibile a vestire sia i panni del poeta cesareo e a nutrire la vasta schiera dei letterati napoleonici, sia i panni intimistici del ‘porco del gregge d’Epicuro’ che insegna a ‘vivere nascondendosi’; ora come oracolo antico del moralismo letterario assunto a paradigma della coeva etica razionalistico-borghese (l’Orazio, per intenderci, amabilmente epicureo, o quello moralisticamente pragmatico del «miscere utile dulci»); ora, infine, come un mito mondano dei salotti galanti: l’Orazio ‘lezioso’ «da cantare alla spinetta con la dama», come si disse proprio per censurare una traduzione settecentesca rea, appunto, di averlo omologato a un cicisbeo.27

In questa temperie il riuso gnomico-parodistico del Poeta di Venosa conosce una prevedibile impennata quantitativa. Ne sono protagonisti soprattutto gli imitatori e parodisti inglesi. Si tratta di un riuso che si nutre non solo di un gusto letterario affinato dalle correnti arcadico-razionalistiche imperanti in Europa, ma anche dei profondi mutamenti di costume, e persino di orientamenti politici, tutti sostanzialmente complici del rilancio di Orazio nella cultura inglese del Settecento come di un paradigma della coeva etica razionalistico-borghese, e per questo elettivamente consumato come campione di saggezza, come mito sia letterario che filosofico nei salotti mondani d’Oltremanica.

Il Settecento inglese ci consegna, dunque, non solo l’Orazio ‘lezioso’, ma anche il poeta che, in ragione di una sentenziosità sublimata in una straordinaria potenza lirica, insegna a vivere secondo modelli maturati in una civiltà che viene percepita come affine. Il Settecento inglese eredita, invero, quanto aveva cercato nel Poeta di Venosa già il secolo precedente, quando il succedersi di eventi traumatici per la monarchia e per il popolo aveva riproposto una lettura ‘ideologica’ dei poeti dell’età augustea in quanto testimoni degli eventi che avevano portato la società romana dal turbine delle guerre civili alla pax augustea. Non a caso è definito ‘Età Augustea’ quel periodo della storia culturale inglese che va dagli ultimi vent’anni del XVII secolo alla metà del XVIII, durante il quale prende consapevolezza di sé una nuova classe media desiderosa di coltivare, all’insegna della sentenziosità oraziana, una aurea mediocritas culturale che fosse equidistante sia dal rigorismo puritano, sia dalla licenziosità libertina. La misura e l’ironia oraziane erano, peraltro, destinate a prevalere in ragione della loro particolare affinità con l’indole inglese.

Di tutto questo è documento quanto mai eloquente la fioritura di imitazioni/parodie oraziane, spesso anonime, fra le quali spiccano quelle d’‘autore’ firmate da Alexander Pope e da George Ogle: tutte tese a metabolizzare la lirica oraziana all’interno del sistema etico che caratterizza la società inglese del Settecento.28

La vicenda editoriale del corpus oraziano nel XVIII secolo si apre, perciò, con le stravaganti versioni oraziane di Thomas Brown, poeta satirico sregolato e perennemente indigente, allontanato dall’Università di Oxford per condotta immorale, la cui assoluta padronanza delle lingue classiche si riflette nella sua disinvolta, spregiudicata scrittura polemica. Non a caso alcune di quelle versioni oraziane vengono da lui editorialmente integrate (e quindi ideologicamente omologate) in alcune sillogi delle sue più fortunate scritture satirico-polemiche, prima fra tutte la Collection of all the Dialogues […] one of them entitled Democratici Vapulantes.29 Non meno significativa è la proposizione in due emissioni uscite contemporaneamente a Dublino e a Londra nel 1714 di un’occasionale versione di Carm. II 1 attribuita a Jonathan Swift, che ne firma numerose altre in quegli stessi anni.30 Ne è artefice Richard Steele, saggista, drammaturgo, giornalista anglo-irlandese, il quale contribuì notevolmente a promuovere la fortuna settecentesca di Orazio in Inghilterra, soprattutto presso i ceti colti borghesi, pubblicando sul giornale da lui fondato, The Tatler, componimenti in prosa sul costume e sulla morale sociale ispirati ai temi etici della poesia oraziana. Allo stesso Swift è attribuita una parafrasi di Carm. I 14, che destina la metafora della nave alla rappresentazione delle sorti politiche della nazione irlandese, invitata a divenire padrona delle proprie sorti.31 Dell’esultanza per la liberazione del Principe di Galles alimenta la sua imitazione del Carmen Saeculare Antony Horneck, teologo e predicatore di origine tedesca, membro del Queen’s College di Oxford, ‘tutor’ di lord Torrington.32

Details

Pages
X, 638
Year
2023
ISBN (PDF)
9783034346474
ISBN (ePUB)
9783034346481
ISBN (Hardcover)
9783034346450
DOI
10.3726/b20316
Language
Italian
Publication date
2023 (June)
Keywords
Fraseologia (verbi frasali) Linguistica (vocabolario) Linguistica
Published
Bern, Berlin, Bruxelles, New York, Oxford, Warszawa, Wien, 2023. X, 638 p., 7 ill. a colori, 25 ill. b/n, 41 tab.

Biographical notes

Geneviève Henrot Sostero (Volume editor)

Geneviève Henrot Sostero è Professoressa ordinaria di Lingua e traduzione francese presso l’Università di Padova. Il suo interesse per la fraseologia trova fondamento nella linguistica, nella didattica delle lingue straniere e nella traduzione. È membro dell’Associazione italiana PHRASIS, di cui il presente volume è l’espressione.

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