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Il racconto della malattia

Intersezioni tra letteratura e medicina

by Daniela De Liso (Volume editor) Valeria Merola (Volume editor) Sebastiano Valerio (Volume editor)
©2023 Edited Collection 274 Pages
Series: Raccordi, Volume 1

Summary

L’esperienza della pandemia da Covid-19 ha cambiato il modo di parlare di malattia, creando nuove connessioni tra l’esperienza privata e la sua rappresentazione pubblica. Per quanto già esistesse, soprattutto nella critica americana, una consistente riflessione sulla componente narrativa della malattia e si percepisse l’esigenza di analizzarla in un’ottica letteraria, gli eventi hanno reso urgente un’analisi sulle intersezioni tra letteratura e medicina. Il volume investiga la traduzione retorica e narrativa dell’esperienza della malattia : dal linguaggio alle strategie testuali, alle interferenze con la scienza, alla presenza di un immaginario non sempre affidato alla parola. I saggi si confrontano con il rimosso e con il trauma, con le afasie e il pudore di esperienze private o con il valore quasi epico e fondativo di quelle collettive, restituendo la complessità di un dibattito scientifico e interdisciplinare, e rispondendo all’esigenza di interrogarsi su uno scambio reciproco tra letteratura e medicina.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Titolo
  • Copyright
  • Sull’autore
  • Sul libro
  • Questa edizione in formato eBook può essere citata
  • Indice
  • Premessa
  • “Felix est morbus qui corpori nocet”. Gotta e morale da Petrarca al Rinascimento (Sebastiano Valerio)
  • La città tardomedievale e il contagio. La narrazione della peste dal Decameron al Novelliere di Giovanni Sercambi (Giovanni De Vita)
  • «Il modico uso del medico». Ciarlataneria e scienza tra Rinascimento ed età dei Lumi (Pietro Sisto)
  • Osservare e curare. Autopsia e salute del vivente tra letteratura e medicina nella prima età moderna (Linda Bisello)
  • Amore Φάρμακον nell’Adone di Giovan Battista Marino (Daniela De Liso)
  • «Spesso il narrare altrui li propri affanni / toglie al dolor la forza»: il racconto dell’ipocondriaco tra Seicento e Settecento (Maria Di Maro)
  • Sul Medico poeta di Camillo Brunori (Valeria Merola)
  • Stomaco, umori e sangue di un polìmata Giacomo Casanova tra Galeno e Sardanapalo (Bruno Capaci)
  • “Quelli che camminano nella notte”. Note sulla rappresentazione della cecità nella letteratura italiana (Andrea Manganaro)
  • L’estetica del patologico in Tarchetti, Boito ed altri scrittori scapigliati (Mario Cimini)
  • Carlo Dossi: «L’innata congestività del cèrebro». Autodiàgnosi quotidiana. Prefazione (Antonio Saccone)
  • Malattia e poesia, tra Gozzano e Saba (Marina Paino)
  • La catena della malattia: tifo, isteria e aberrazione in tre racconti di Federigo Tozzi (Antonio R. Daniele)
  • La senescenza come racconto allo specchio del femminile materno (Paola Villani)
  • Il disagio mentale tra sintomo e segno (Stefano Redaelli)
  • Il coraggio di rinascere (Gino Ruozzi)
  • Premessa a ogni abitazione. Sulla emersione del trauma a partire da due prose di Andrea Zanzotto (Giancarlo Alfano)
  • Malattie mentali e immaginarie nell’opera di Giuseppe Bonaviri (Vicente González Martín)
  • Volumi pubblicati nella collana

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Premessa

Il volume presenta gli atti del convegno Il racconto della malattia che si è svolto presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila dal 19 al 21 febbraio 2020. A partire da un progetto di ricerca che ha visto la collaborazione degli atenei dell’Aquila, di Foggia e di Napoli, Federico II, è nata una proficua occasione di confronto e studio, intorno a un tema che non sapevamo sarebbe diventato di grande attualità nel giro di pochissimo tempo. L’interesse scientifico per le intersezioni tra letteratura e medicina e in particolare per la trattazione della malattia rispondeva a un clima di attenzione nei confronti delle Medical Humanities, accesa soprattutto dal dibattito intorno alla medicina narrativa di Rita Charon, il cui saggio compariva in traduzione italiana proprio nel 2019. L’invito della studiosa americana a «onorare le storie dei pazienti» sembrava richiamare l’attenzione sulla componente narrativa della malattia, che pensavamo fosse importante osservare anche nell’ottica letteraria. Se sul fronte medico si richiamava la capacità empatica dell’ascolto e si suggeriva un’anamnesi costruita anche su una lettura del racconto capace di ricorrere alle categorie della critica letteraria, su quello letterario si percepiva l’esigenza di studiare la traduzione retorica e narrativa dell’esperienza, prestando attenzione al linguaggio e alle strategie testuali, alle interferenze con la scienza, alla presenza di un immaginario non sempre affidato alla parola. Entrando nel racconto della malattia sapevamo di doverci confrontare prevalentemente con il rimosso e con il trauma, con le afasie e il pudore di esperienze private o con il valore quasi epico e fondativo di quelle collettive. Non potevamo immaginare che da lì a poche ore (la notizia del primo malato italiano di Covid-19 arrivò mentre si svolgeva la sessione finale del convegno) sarebbe cambiato il modo di parlare di malattia e che nei mesi seguenti gli studi sul tema sarebbero proliferati, anche in ambito strettamente letterario. Le pagine che seguono restituiscono la complessità del dibattito scientifico che si è svolto nelle giornate aquilane e rispondono all’esigenza di interrogarsi su uno scambio reciproco tra letteratura e medicina.

←11 | 12→Il saggio di Sebastiano Valerio traccia un percorso della rappresentazione della gotta come tema morale da Petrarca fino alla letteratura rinascimentale. La favola della gotta e del ragno, raccontata da Petrarca nella Familiare III, 13, indirizzata a Giovanni Colonna da Valchiusa, propone una declinazione «in senso etico» del tema, insistendo sulla subordinazione della medicina del corpo a quella dell’anima. La raccomandazione a «vivere come un povero» rimanda del resto al «regimen salernitano» e alla sopportazione del dolore, considerando la malattia, come nel De remediis, un esercizio per lo spirito, in cui «il rimedio fisico […] coincide con quello morale». Analogo l’approccio etico in epoca umanistico rinascimentale, come dimostra la trattazione medica della malattia, che fa riferimento alle teorie di Avicenna, cui Michele Savonarola unisce il recupero dell’apologo petrarchesco, invitando i pazienti a evitare gli eccessi, o la pratica dei remedia di Antonio Galateo, che insiste sull’utilità della gotta, capace di rinforzare l’animo con la sofferenza.

Nel suo studio Giovanni De Vita analizza il Novelliere di Giovanni Sercambi in relazione alla peste del 1348, come momento di sovvertimento dell’ordine e «malattia politica», mettendo in luce i tratti in comune con il modello boccacciano e osservando gli interventi di rielaborazione. De Vita insiste sugli elementi di originalità nella rappresentazione dell’epidemia, che recepisce la funzione precettistica ed esemplare della scrittura novellistica e che rappresenta il contagio con maggiore attenzione alla genealogia che alla fenomenologia, ascrivendo alla Fortuna e alla collera di Dio l’interpretazione delle cause. La visione moralistica dell’epidemia riconduce la malattia alla corruzione della società.

Alla figura del medico tra Rinascimento ed età dei Lumi è dedicato il saggio di Pietro Sisto, che indaga il rapporto tra finzione e realtà nella rappresentazione. Particolare attenzione è dedicata ai risvolti comici, con l’alternanza tra medicina e ciarlataneria. Le pagine di Sisto si soffermano su vari autori, tra cui Giulio Cesare Croce, che descrive medici insipienti, incapaci di trovare i rimedi adeguati e Tommaso Garzoni, che pone quello del ciarlatano insieme con il saltimbanco tra i mestieri dello spettacolo. Da Pompeo Sarnelli, che ironizza su medici e chirurghi pronti a uccidere con gli infusi o con le mani, si passa alla finta malata goldoniana, per arrivare ai dubbi settecenteschi sull’efficacia della medicina, fino alla curiosità per il nuovo atteggiamento sperimentale, tipica della cultura illuministica.

Linda Bisello dimostra come la scienza anatomica e il linguaggio della medicina post vesaliana definiscano la visione del mondo ←12 | 13→Cinque-Seicentesca. La retorica si serve di immagini epidemiologiche, l’anatomia si presenta come un sistema di organizzazione dei saperi, divenendo un paradigma utile per interpretare la cultura di un’epoca. L’analisi della Bibliotheca selecta del gesuita Antonio Possevino serve a studiare la spiritualizzazione la moralizzazione dell’anatomia, in cui il corpo è osservato nei suoi elementi fisici e simbolici, tra medicina e religione. L’anatomia diviene strumento di lettura dell’anima e la dissezione dei corpi è interpretata in funzione del tòpos della morte utile alla vita.

Muovendosi tra pittura e poesia, il saggio di Daniela De Liso investiga il motivo classico della malattia d’amore, osservato nell’Adone di Giovambattista Marino. L’analisi del poema segue il valore iconografico delle ottave, soffermandosi in particolare sulla ferita inflitta da Amore al piede di Venere. Le mani di Adone risvegliano il dolore per la ferita, confermando la duplice natura di Eros, che è rimedio e veleno. Marino dimostra la propria «curiositas verso la scienza medica», quando presenta l’«intervento medico di Adone», insistendo su elementi ossimorici e sulla doppia connotazione di «amor hereos» e di melancholia. Il sovrapporsi di «interessi scientifici e pittorici dell’autore barocco» definisce anche la rimodulazione del mito, che insiste sui particolari anatomici, quando mostra Venere tenere in mano il cuore di Adone.

Il saggio di Maria Di Maro si concentra sul tema dell’ipocondria mostrandone l’evoluzione da disturbo di origine organica a malessere di natura psichica. Lo studio dei trattati anatomici sei-settecenteschi evidenzia il formarsi di una differente percezione della malattia, di cui gli anatomisti colgono la difficoltà della cura. Di Maro analizza il caso di Paolo Zacchia che insiste sulla consapevolezza del malato e coglie l’utilità del racconto e della descrizione dei sintomi della malattia. La funzione del dialogo e del racconto nella relazione di cura diventa un elemento centrale nella trattatistica di fine Seicento, che riconosce tra le cause dell’ipocondria lo studio eccessivo. La definizione dell’ipocondria come una malattia professionale dell’uomo di lettere proposta da Bernardino Ramazzini ne determina rappresentazioni umoristiche, come la cicalata di Luigi Rucellai.

L’analisi di Valeria Merola è dedicata al Medico poeta di Camillo Brunori, che coniuga la trattazione medica in prosa con l’intento morale ed educativo affidato ai componimenti in versi. Opera destinata ai medici che si dilettano di poesia, ma anche ai giovani che vogliono studiare la scienza medica, il Medico poeta risponde al gusto settecentesco per il «diletto proficuo». L’intento di Brunori è di rivelare l’affinità di medico e ←13 | 14→letterato, ribadendo «la natura umanistica dell’arte medica». I testi poetici mostrano la torsione «dal piano dell’oggettività scientifica a quello della soggettività lirica», e la salute dell’anima si lega a quella del corpo. Gli artifici retorici consentono continui spostamenti dal piano fisiologico a quello simbolico, in una comune «prospettiva di benessere».

Le abitudini alimentari e il rapporto con il cibo di Giacomo Casanova sono al centro dell’analisi di Bruno Capaci, che investiga le conseguenze sulla salute dell’alimentazione smodata. La lettura dell’epistolario porta alla luce il complesso rapporto con il medico, ma anche i tentativi del libertino di superare le debolezze del proprio corpo. La rappresentazione comica del medico, visto in un’ottica teatrale come «medicastro», è filtrata anche attraverso le pagine autobiografiche di Benvenuto Cellini, che intercettano la tendenza satirica dell’epoca. Nell’Histoire de ma vie Capaci individua il dipanarsi parallelo di vicende erotiche e gastronomiche, osservando come lo stomaco diventi «il punto debole in cui si assommano le conseguenze […] della sua visione del mondo».

Lo studio di Andrea Manganaro parte dal presupposto che la cecità non debba essere considerata una malattia, quanto piuttosto una condizione di disabilità, di appartenenza a una dimensione altra. L’immagine di José Saramago di un mondo pieno di ciechi per cui la cecità diventa una condizione di contagio universale e quella proposta da Denis Diderot che si interroga sul sistema di valori del mondo dei ciechi servono all’autore per intessere una fitta rete di rimandi intertestuali che da una prospettiva di forte aspirazione comparatistica scenda a investigare alcuni casi esemplari nella letteratura italiana. Manganaro evidenzia come la nostra tradizione letteraria si serva dell’immagine soprattutto come traslato, prendendone il valore figurato più che quello letterale. Ai molti scrittori che indagano il trauma della perdita della vista lo studioso accosta le rappresentazioni comiche, cogliendone anche i risvolti caricaturali e farseschi. Manganaro sottolinea come il motivo della mendicità sia raramente affrontato mentre si incontri quello del miracolo con cui il cieco riconquista la visione.

Nel suo intervento Mario Cimini analizza la presenza del racconto della malattia nella letteratura italiana della seconda metà dell’Ottocento. Il corpo malato viene osservato in una prospettiva oggettiva e la medicina si affranca dai legami con la «metafisica del male», per trovare una nuova intesa con la letteratura. Lo scrittore adotta lo sguardo di un anatomo-patologo e studia il rapporto tra corpo e anima. La lettura della Lezione di anatomia di Arrigo Boito serve all’autore per parlare della ←14 | 15→nuova funzione del corpo e dei suoi organi, che sono osservati nella loro realtà fisica e non più simbolica. Il tema della fisicità introduce quello della morte, verso cui gli scrittori scapigliati mostrano una certa curiosità. È letto in quest’ottica il racconto Un corpo di Camillo Boito, che tocca il tema lombrosiano del rapporto tra conformazione anatomica e malattia psichica. Anche per la Fosca di Iginio Ugo Tarchetti il discorso del medico, nel proporre la diagnosi di isterismo, attinge al coevo dibattito scientifico.

Lo studio di Antonio Saccone è dedicato alla scrittura di Carlo Dossi, a partire dal legame che lo unisce a Cesare Lombroso. Il reciproco scambio vede Dossi adottare le teorie dell’ereditarietà del medico positivista, che a sua volta attinge a testi e storie di «pazzi letterati» offertigli dallo scrittore. L’autoanalisi di Dossi segue le teorie lombrosiane, alla luce delle quali legge la propria storia familiare. Saccone segue il giornale intimo dossiano, tra «esperienza autobiografica e messinscena» e ne mette in luce il tentativo di guardare a sé stesso con un atteggiamento oggettivo, per poter giungere a una diagnosi convincente. La ricostruzione del rapporto di Dossi con la malattia e con la medicina culmina in Dal calamajo di un medico, in cui, delegando al medico la narrazione, si propone un forte cambiamento di prospettiva sul nesso tra medicina e letteratura.

Il rapporto con la psicanalisi è al centro del saggio di Marina Paino che legge le opere di Guido Gozzano e Umberto Saba, in relazione alla malattia e all’«elaborazione lirica del dolore psichico». Seguendo le linee del «racconto della sofferenza e della cura» i due autori sono sottoposti a una lettura comparativa, che misura le presenze e le assenze, le esibizioni e le reticenze. Tra malattia fisica e psichica, Paino segue i percorsi paralleli di Gozzano e Saba per poi mettere in risalto le divergenze nell’approccio al tema. Alla tendenza di Saba a teorizzare il nesso tra malattia e poesia si contrappone l’attenzione di Gozzano per la fisicità della malattia, descritta nei suoi effetti sul corpo, nei dettagli del lavoro del medico, nei suoi strumenti. Mentre Gozzano arriva a depotenziarne gli aspetti negativi, affrontando il tema della salute e della guarigione nella Signorina Felicita, Saba pone l’accento sulla sofferenza, «elaborandola e rendendola sopportabile».

Antonio R. Daniele prende in esame tre racconti di Federigo Tozzi per definire il rapporto dello scrittore con la malattia fisica e mentale, dalla tisi all’isteria, fino all’aberrazione e all’epilessia. Il caso di Adele rivela la propensione di Tozzi alla «dipintura patologica di un intero ambiente»: la rappresentazione dell’isteria della protagonista si lega alla ←15 | 16→descrizione grottesca del padre medico e quindi a una sorta di ereditarietà di un «difetto ancestrale». Nel racconto La madre la malattia assume un valore epifanico e quindi innesca la narrazione. Come nei precedenti, anche in Un epilettico la malattia si rivela «fattore ambientale», che contribuisce alla definizione «di momenti e circostanze direttamente legati alla malattia, […], ma anche come simboli della guarigione che ci sarà o verrà mancata».

L’attenzione di Paola Villani si ferma sul tema della senescenza, investigata come malattia, ma anche come condizione che «si presta a farsi rappresentazione» e «formazione discorsiva». Intorno alla vecchiaia possono «coagulare gli assi di confluenza tra narrazione e malattia» su cui si basano le Medical Humanities. Villani analizza le «autobioscopie» di Marco Santagata e Romano Luperini, in cui al racconto si somma la vera e propria anamnesi, nel constatare il decadimento del corpo e la perdita della memoria. L’indagine sulle scritture femminili passa attraverso le pagine di Anna Banti e Maria Bellonci, per arrivare a Goliarda Sapienza e Milena Agus. Villani coglie «la voce di una dimensione “marginale” e più ancora “nomade”», per osservare la «sovrapposizione scrittura-memoria», le «rivendicazioni senili», o indagare la ridefinizione delle relazioni familiari.

All’affinità tra letteratura e medicina è dedicato lo studio di Stefano Redaelli, che indaga il disagio mentale «tra sintomo e segno». Partendo dal presupposto che la medicina sia una scienza umana, l’analisi si concentra sulla percezione della malattia nella sua dimensione psicologica, umana e soggettiva. In questa prospettiva, Redaelli studia in particolare il disagio psichiatrico, tra «verbalizzazione» e «rappresentazione», osservando il costante interesse della letteratura italiana contemporanea nei confronti del tema. Il saggio investiga le varie declinazioni della rappresentazione della malattia mentale: nel racconto del paziente, nella denuncia degli orrori dei manicomi, nelle riflessioni critiche sulla cura. L’attenzione si concentra poi sulla fortuna del tema nella letteratura del XXI secolo, in cui la medicina e la letteratura sembrano aver trovato una nuova alleanza per ragionare sul disagio mentale.

Gino Ruozzi sceglie l’opera di alcuni grandi scrittori del Novecento per ragionare sul tema dell’accettazione della malattia e sulla convivenza con una diversa concezione di normalità. Il punto di partenza sono le pagine di Nati due volte in cui Giuseppe Pontiggia racconta l’evoluzione dall’atteggiamento di rifiuto della malattia del figlio alla comprensione e all’accoglienza della sua condizione. La difficile convivenza con ←16 | 17→la malattia invalidante e irreversibile della figlia Luisa segna la vita di Ennio Flaiano. Il percorso verso la difficile accettazione e l’elaborazione del dolore sono osservati attraverso le lettere e le scritture autobiografiche, fino alla corrispondenza con Guido Ceronetti, che lo avrebbe voluto intervistare sul tema della malattia. Il carteggio riflette le diverse concezioni della malattia e della medicina, vissute come esperienza autobiografica, familiare e personale da Flaiano, e in una visione aforistica, naturale e alternativa da Ceronetti.

Alla «retorica dell’inconscio» e alla «elaborazione secondaria» sul lavoro onirico rimanda lo studio di Giancarlo Alfano, che si avvale delle categorie freudiane per osservare la rappresentazione letteraria del trauma. La lettura del racconto Premesse all’abitazione di Andrea Zanzotto mostra un «dialogo nascosto tra il soggetto e lo spazio», per cui la realtà oggettiva si presenta come «interferenza», facendo riemergere ricordi dolorosi legati all’esperienza partigiana. Nella logica della coazione a ripetere con cui lo scrittore si ritrova a costruire la propria casa nei luoghi del trauma, sono lette anche le pagine del racconto 1944: FAIER, in cui Zanzotto ripropone l’evento traumatico quasi bloccando «lo scorrimento del tempo» nella realtà fisica del paesaggio contadino.

Details

Pages
274
Year
2023
ISBN (PDF)
9782875746207
ISBN (ePUB)
9782875746214
ISBN (Softcover)
9782875746191
DOI
10.3726/b20363
Language
Italian
Publication date
2023 (April)
Published
Bruxelles, Berlin, Bern, New York, Oxford, Warszawa, Wien, 2023. 274 p., 2 ill. b/n.

Biographical notes

Daniela De Liso (Volume editor) Valeria Merola (Volume editor) Sebastiano Valerio (Volume editor)

Daniela De Liso insegna Letteratura italiana presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi Federico II di Napoli. Ha pubblicato saggi e volumi sulla letteratura italiana dal Rinascimento alla contemporaneità e partecipato a numerosi Convegni internazionali. Si occupa delle intersezioni tra letteratura ed arti. Valeria Merola insegna Letteratura italiana presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila. I suoi principali interessi di ricerca riguardano la scrittura per il teatro, il tema morale nella letteratura, la poesia barocca e i rapporti tra letteratura e medicina. Sebastiano Valerio è professore ordinario presso l’Università degli Studi di Foggia, dove insegna Letteratura Italiana. È dal 2021 segretario dell’Associazione degli Italianisti ADI. È attualmente direttore del Dipartimento di Studi Umanistici. I suoi studi si sono concentrati prevalentemente su Dante, sul Rinascimento meridionale e su Pascoli.

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