«Esemplari umani»
I personaggi nell’opera di Primo Levi
Summary
Excerpt
Table Of Contents
- Copertina
- Titolo
- Copyright
- Sull’autore
- Sul libro
- Questa edizione in formato eBook può essere citata
- Indice del volume
- Introduzione. Le dimensioni umane: figure, esemplari, eroi a rovescio (Martina Mengoni e Giovanna Cordibella)
- Ringraziamenti
- Parte I Dal vero e dal vivo: persone, figure, ritratti
- L’infanzia è morta ad Auschwitz: ricomposizione del dittico Emilia-Hurbinek (Matteo Giancotti)
- «Gli occhi dell’uomo Kraus» (Domenico Scarpa)
- Il laboratorio della Buna negli specchi della scrittura: il personaggio di Gerhard Goldbaum (Giovanna Cordibella)
- Le libere donne della Tregua: tra vita di sogno e frammenti di realtà (Valeria Paola Babini)
- Parte II L’avventura della finzione: eroi, nomadi, imposture
- Mordo Nahum, l’avversario (Daria Biagi)
- Sandro/Sandro Delmastro: storia di un «ambigeno» (Roberta Mori)
- «Eh no: tutto non le posso dire»: l’armatura di Faussone e le pellicole di Levi (Giovanni Miglianti)
- Gedale Skidler, un’ambigua controfigura di Levi (Angela Siciliano)
- Cavalieri d’industria: Giuseppe e MacWhirr (Martina Mengoni)
- Parte III Prime persone: un altro modo di dire io
- L’autore, il testimone e il vecchio marinaio: Levi, Coleridge e la memoria traumatica (Riccardo Capoferro)
- L’autore e i personaggi: Antonio Casella, scrittore ambigeno e falsario (Anna Baldini)
- Collins, Simpson, Müller: i nomi “vuoti” e la testimonianza di Primo Levi (Robert S. C. Gordon)
- Parte IV Fatti strani: umani, animali, oggetti
- Simpson, l’astuto e l’ingenuo: per una critica del surrogato in Primo Levi (Alice Gardoncini)
- Un personaggio-oggetto: Knall (Marco Belpoliti)
- Wilkins, antropologo-stregone (Michele Maiolani)
- Biografie delle autrici e degli autori
- Volumi pubblicati nella collana
Martina Mengoni e Giovanna Cordibella
Introduzione Le dimensioni umane: figure, esemplari, eroi a rovescio*
Personaggi e «frustoli»
Nel 1981 Primo Levi è ospite alla trasmissione televisiva V.I.P. (Very Important Piemontesi), della sede RAI torinese, intervistato da Claudio Gorlier e Marinella Venegoni. Tra le varie domande, Gorlier ne formula una anche sui personaggi dei suoi libri, a cui Levi risponde così:
I miei personaggi sono pochi, personaggi cartacei … I miei primi due libri non hanno personaggi, o per meglio dire sono persone, sono persone che ho riprodotto con un’impressione soggettiva di fotografarli. È chiaro che questo non avviene mai: i due estremi del personaggio fotografato, cioè riprodotto com’è, e l’estremo opposto, cioè il personaggio totalmente inventato, sono delle finzioni. Nessun personaggio stampato su una pagina è immune da una manomissione, magari involontaria, qualche volta volontaria, da parte dello scrittore. E nessun personaggio è totalmente inventato, perché è umanamente impossibile fabbricare dal nulla un personaggio. O si utilizzano dei frammenti di altri personaggi di altri libri, oppure, e meglio, si utilizzano frammenti di gente che si è incontrata. Proprio magari facendo un’operazione consapevole di spaccatura, di ricombinazione, di mosaico, anatomica proprio: io prendo lo sguardo di Tizio, l’allegria di Caio, la muscolatura di Sempronio, il modo di camminare di un altro ancora e così via, e provo a farne un personaggio. A mio parere è il risvolto più divertente, più esaltante del mestiere di scrivere questo, di questa facoltà magica: di prendere una persona esistente e trasformarla in personaggio, e l’altra di stendere le reti, pescare, cavarne fuori dei “frammenti”, dei “frustoli”, dei “pezzi” umani, combinarli assieme e farne un personaggio vivo. Vivo e vitale, che incominci sotto le tue mani a respirare, a parlare, a vivere, a commettere azioni, buone o cattive, giuste o sbagliate. Questa è la mia esperienza di scrittore “selvaggio” che non appartiene a nessuna scuola letteraria, che prova piacere nello scrivere. Ecco, in questo sport direi che il numero più soddisfacente e più vitale è questo: del far nascere qualcuno che prima non esisteva.1
Già nelle prime tre righe si legge una contraddizione. Da una parte, Primo Levi sostiene che i suoi «primi due libri non hanno personaggi», ma poi ritratta: «Nessun personaggio stampato su una pagina è immune da una manomissione magari involontaria, qualche volta volontaria, da parte dello scrittore». E infatti, in questo senso, Se questo è un uomo è un libro di personaggi, un libro corale di incontri in un fondo scuro, in un contesto senza contesto (lo «spazio coatto» di cui parla Wolfgang Sofsky)2 quale è Auschwitz. Lo aveva già detto al quindicenne Marco Pennacini in un’intervista del 1973: «Chi vuol fare solo un documento, scrive diversamente, cioè dà dei dati e basta. No, a me interessava molto il destino dell’uomo e l’uomo ha una faccia. E infatti in Se questo è un uomo ci sono dei personaggi: chi vuol fare una pura documentazione, i personaggi non ce li mette» (Da Auschwitz al fascismo c’è una linea diretta [1973], Opere, III: 983).3 E in effetti, tanto la forza narrativa quanto quella morale del libro sono date proprio dalla galleria di tipi umani descritti, che in questo senso (più che per la mera intertestualità) lo avvicinano all’inferno dantesco: da Emilia a Charles, da Alberto a Lorenzo, passando per Kraus, Pikolo e Kuhn, fino ai quattro del capitolo I sommersi e i salvati: Alfred L., Schepschel, Elias, Henri. Il primo titolo del libro, del resto, doveva essere Storie degli uomini senza nome.4 Stessa cosa per La tregua, dove se possibile questa vena si potenzia, perché i personaggi sono ora di nuovo inseriti in un contesto, quello dell’Europa dilaniata e deformata, attraversata da feriti, sfollati, ex prigionieri, ex soldati, cavalli senza esercito, orfani. In questo scenario di flussi migratori e sistemazioni precarie, di viaggi in direzioni sconosciute e scarsissimi mezzi, in quest’aria che è insieme di distruzione e di risveglio, i personaggi più che un vettore morale ne posseggono ora uno epico-picaresco: è il caso di Cesare e di Mordo Nahum (unico personaggio leviano a essere inserito nel parco letterario dei racconti Lavoro creativo e Nel Parco), ma anche Marja Fiodorovna, Galina, dello stesso Leonardo.
Insomma, Levi è fin da subito, proprio nei suoi due primi libri, uno scrittore di costellazioni di personaggi (Figurenkonstellation):5 personaggi «pescati» dal vivo, «riprodotti con un’impressione soggettiva», «manomessi»; personaggi «spaccati» e «ricombinati» (non solo da tipi umani esistenti ma anche dalla tradizione letteraria). Colpisce quindi che assai rari siano ancora gli studi che provano a indagare l’opera leviana dal punto di vista delle figure che la popolano.6 Il presente volume vorrebbe cominciare a colmare questa lacuna e ad avanzare in un territorio ancora pressoché inesplorato. Oltretutto, ragionare dell’opera leviana in termini di personaggi potrebbe perfino rivelarsi un ingresso privilegiato. Potrebbe cioè illuminare da una nuova prospettiva alcuni suoi aspetti, come i debiti verso la tradizione romanzesca del novecento (soprattutto tedesca e anglosassone), la prima persona e la proiezione dell’io, la dialettica tra scrittura testimoniale e racconto fantastico, la componente morale in rapporto all’uso di alcune tecniche narrative, prima tra tutte lo straniamento, e infine il rapporto, sempre controverso, tra presa diretta e «arrotondamento» finzionale.
Presa diretta e invenzione
Le dichiarazioni di Primo Levi sulla natura dei suoi personaggi si collocano soprattutto al principio degli anni ottanta: non solo perché è reduce dalla creazione dell’operaio specializzato Libertino Faussone (La chiave a stella, 1978), ma anche perché ha appena pubblicato il suo primo e unico romanzo, Se non ora, quando? (1982), in cui ha messo in scena le scorribande e le avventure di un gruppo di giovani partigiani dell’Europa orientale, ovvero ha «fatto nascere», ma anche crescere, «qualcuno che prima non esisteva». Il rapporto tra invenzione e ritratto dal vivo è centrale in queste interviste. Di Faussone dichiara: «Nel mio ultimo libro, per esempio, La chiave a stella, mi sono prefisso di inventare un personaggio; di fatto ho poi utilizzato dei frammenti di persone che ho incontrato. Nella mia intenzione è quindi del tutto costruito; non che il nome c’entri molto, vero … anche se mi hanno detto che l’ho chiamato Faussone perché è falso, non credo … » (Incontro con Primo Levi [1981], Opere, III: 213); mentre per Se non ora, quando? l’esperienza è quasi quella della creazione ex nihilo (quasi), esperienza che si rivela insieme fascinosa e paranoica:
Quando mi sono messo a scrivere, ero affascinato dal fatto che, per la prima volta, mi misuravo come romanziere: un mestiere nuovo, per me. Dovevo creare una vicenda dal nulla, dovevo inventare, in piena libertà, dei personaggi. E ne ho inventati un’intera mandria, di personaggi, capaci di furfanterie, capaci di ballare e di sparare, di paura e di coraggio. Solo Polina, la ragazza-pilota, è esistita davvero. Così, specialmente durante la prima parte della stesura, ho avvertito la sensazione paranoica di avere messo al mondo dei figli. (Mendel, il consolatore [1982], Opere, III: 250)
Certo non si può dire che quella dell’invenzione fosse un’attività nuova: su una scala diversa, quella del racconto breve, Levi vi si era cimentato fin dal principio della sua vita di scrittore. Il racconto fantastico I mnemagoghi era uscito per la prima volta nel 1948 sull’Italia socialista (e forse era stato scritto nel 1946, quindi in contemporanea con Se questo è un uomo); e risale al 1952 La bella addormentata nel frigo. Al centro di entrambi i racconti – che nel 1966 entreranno nella raccolta Storie naturali – stanno alcuni personaggi memorabili. I mnemagoghi è il confronto tra due medici, Morandi e Montesanto: il primo ha ventiquattro anni, l’età di Levi quando era entrato ad Auschwitz, un neolaureato pieno di belle speranze in cui è impossibile non vedere riflessi autobiografici; il secondo è un dottore sulla via della pensione che mostra al suo successore un armadio pieno di odori imbottigliati. Levi aveva viaggiato da Auschwitz a Torino con un medico molto più grande di lui, Leonardo De Benedetti, e con lui aveva scritto il suo primo testo in prosa, il Rapporto su Auschwitz, pubblicato su Minerva Medica nel 1946. In questo caso è facile capire da dove venissero i «frustoli», i «frammenti» e i «pezzi umani», anche se poi il racconto prende una direzione straniata in cui in fondo i due medici dal cognome allitterato sono lo sdoppiamento dello stesso personaggio, il suo passato e il suo futuro. Diametralmente opposto è il caso de La bella addormentata nel frigo: siamo nel 2117 e Patricia è una donna ibernata che è giace nel suo frigo e si risveglia una volta all’anno, custodita da una famiglia tedesca, di padre in figlio, come un pezzo di arredamento da Wunderkammer. È bellissima, intelligente, frivola, sana, a-storica, vive in un eterno presente e non ha problemi di invecchiamento e rimpianti, ma cela un segreto brutto, anzi bruttissimo: il personaggio scintillante si rivela la vittima di una violenza sessuale ripetuta di generazione in generazione. Intorno a lei si muovono borghesi tragicamente entusiasti e tendenzialmente senza scrupoli. Anche qui ci sarà stata magari una «ricombinazione anatomica», ma se c’è è meno evidente: si avverte il gusto dell’esperimento mentale, e di creare un personaggio nuovo (che è anche un personaggio-parodia di un personaggio nuovo) che dal presente approda al futuro senza aver vissuto. Qui c’è lo «scrittore selvaggio» nella sua vena più sperimentale.
In questo iato tra prima persona testimoniale e straniamento, tra identificazione e alterità, tra creazione dal nulla e manipolazione della presa diretta si svolge tutta la vicenda dello scrittore Primo Levi, dai racconti di Vizio di forma e Lilìt ai libri autobiografici come Il sistema periodico, in cui compaiono ben tre racconti fantastici (Piombo, Mercurio e Carbonio), mentre quello apparentemente più autobiografico, Vanadio, in cui si riporta il carteggio con un tedesco conosciuto ad Auschwitz con tanto di date delle lettere, è in realtà, sia a detta di Levi che della critica, quello con più «dettagli inventati»,7 e lo è proprio per quanto riguarda la costruzione del personaggio dell’ingegnere chimico tedesco, Lothar Müller. Il sistema periodico si chiude oltretutto con Carbonio, che è anche un racconto su come si scrivono i racconti, una sfida alle leggi della narrativa, visto che Levi è capace di far diventare «personaggio» addirittura un atomo:
Il nostro personaggio giace dunque da centinaia di milioni di anni, legato a tre atomi d’ossigeno e ad uno di calcio, sotto forma di roccia calcarea: ha già una lunghissima storia cosmica alle spalle, ma la ignoreremo. Per lui il tempo non esiste, o esiste solo sotto forma di pigre variazioni di temperatura, giornaliere e stagionali, se, per la fortuna di questo racconto, la sua giacitura non è troppo lontana dalla superficie del suolo. La sua esistenza, alla cui monotonia non si può pensare senza orrore, è un’alternanza spietata di caldi e di freddi, e cioè di oscillazioni (sempre di ugual frequenza) un po’ più strette o un po’ più ampie: una prigionia, per lui potenzialmente vivo, degna dell’inferno cattolico. (Opere, I: 1027)
L’atomo di carbonio è un po’ Patricia (per lui il tempo non esiste, è immobile e a tratti ibernato) e un po’ un prigioniero, un sommerso, un potenzialmente vivo. Ma non va preso troppo sul serio perché, come si vede, la scrittura è attraversata da un’ironia metaletteraria: si sta giocando più con le potenzialità della letteratura che con quelle delle leggi fisico-chimiche. Ne è la prova la conclusione extradiegetica del racconto, introdotta da una riflessione sul rapporto tra invenzione e verità, tra parole e fatti: «Si può dimostrare che questa storia, del tutto arbitraria, è tuttavia vera […]. Il numero degli atomi è tanto grande che se ne troverebbe sempre uno la cui storia coincida con una qualsiasi storia inventata a capriccio» (Opere, I: 1032).
Nascendo come scrittore-testimone, si direbbe che per Levi l’invenzione nasconda sempre una sorta di senso di colpa: è falsità, manomissione, al massimo capriccio. Eppure, è un capriccio a lungo frequentato. Dovendo quantificare, la sua opera è fatta (sorprendentemente) quasi in egual misura da autobiografia e fantastico. Analizzarla con il filtro dei suoi personaggi permette di riflettere sul punto di congiunzione tra questi due filoni, il punto cioè in cui si concentrano i nodi, le tensioni, le interferenze.
Dal vero, dal vivo
Oltretutto, il brano di Carbonio parrebbe anche una (involontaria) trasfigurazione ironica di un uno dei filoni che vanno per la maggiore nei dibattiti sulla teoria del personaggio, ovvero l’idea per cui il personaggio è un’entità possibile di un mondo possibile. Le teorie dei mondi possibili nacquero alla fine degli anni settanta anche dall’incontro tra lo strutturalismo francese e la filosofia analitica anglosassone.8 Segnarono un punto di svolta e di revival per il concetto di «personaggio» che, come ha notato Arrigo Stara, dal principio degli anni sessanta era scomparso «dai più aggiornati manuali di estetica e di teoria della letteratura» in favore di categorie percepite come più moderne o accurate, come «attante», «attore», «partecipante», «esistente». Stara porta molti esempi, tra cui spicca quello di Tzvetan Todorov che, nel 1972, definì quella di personaggio nozione «rimasta “paradossalmente una delle più oscure della poetica”».9 Ecco che, passata l’ondata di rimozione strutturalista e formalista, con le teorie dei mondi possibili si provò a tornare all’ontologia, anzi alla logica modale. Alla base ci furono sicuramente i lavori di Saul Kripke; dopodiché una serie di autori (Lubomìr Doležel, Doreen Maitre, Marie-Laure Ryan, Thomas Pavel, Nicholas Wolterstorff, Uri Margolin, per citarne alcuni)10 provarono a traghettarne attivamente le conseguenze nel mondo della teoria critica. La possible worlds theory segue una linea ideale che passa per Aristotele e Leibniz. È famoso l’esempio di Kripke: Sherlock Holmes non esiste, ma in un altro stato di cose sarebbe esistito. Questo esempio si può leggere in modo piano, «ingenuo» direbbe Pavel – il quale forse accuserebbe Carbonio proprio di «naive realism»,11 «realismo ingenuo» – ovvero ritenendo la letteratura il racconto ciò che sarebbe potuto accadere; una posizione in fondo aristotelica che però, sempre secondo Pavel, non include quell’ampia area letteraria da cui il lettore non si aspetta verosimiglianza. Del resto, anche dall’incontro tra le teorie dei possible worlds e l’estetica della ricezione nasce l’idea del mondo letterario come una vera e propria «ontologia alternativa»:12 occorre postularla per allargare il più possibile l’insieme logico della letteratura (e dei suoi membri). Segue un corollario: se è vero che, entrando in un romanzo o in un racconto si entra in un mondo separato, allora i personaggi sono da considerarsi entità «intrinsecamente incomplete».13 Tutto ciò che potremmo conoscere o verificare su Anna Karenina lo troviamo solo e soltanto in Anna Karenina: non sappiamo, né potremo mai sapere, che numero di scarpe porta, o qual è il suo colore preferito, o che cosa mangiava a colazione da bambina. Per forza di cose, gli abitanti dei mondi possibili sono personaggi pieni di buchi e lacune, costruiti su informazioni implicite mai determinabili. Allo stesso tempo, non c’è nessuna garanzia iniziale che un personaggio seguirà un certo schema di comportamento o che manterrà una certa coerenza.
Nel suo libro del 2004, Fictional Minds, Alan Palmer ha analizzato i personaggi ridiscutendo queste idee dal punto di vista della narratologia. Erede di Transparent Minds di Dorrit Cohn, Palmer si colloca però su quel versante (minoritario) della storia del pensiero occidentale secondo cui l’uomo è essenzialmente e primariamente un essere intersoggettivo. Insomma, per Palmer non basta analizzare i monologhi interiori, i monologhi narrati e le psiconarrazioni: «mente» (mind, concetto difficilmente traducibile) è tutto, gli interessa «la mente sociale, tutta intera, in azione».14 Si echeggiano Ludwig Wittgenstein e Gilbert Ryle: non c’è nessun dualismo cartesiano mente-corpo, ovvero nessun «fantasma nella macchina».15 Non solo non c’è una cesura tra la mente e il comportamento, ma quella che chiamiamo coscienza ha una dimensione principalmente sociale e dialogica. Analizzare la mente (la psicologia, la coscienza) dei personaggi è tener conto anche dei gesti, delle azioni, dei dialoghi, delle intenzioni espresse, dei tentennamenti e degli atti mancati. Tutto questo costruisce la mente (un insieme di psiche, personalità e pensieri) dell’homo fictus. A corollario del suo pensiero, Palmer muove un’obiezione di fondo alle teorie dei mondi possibili: siamo sicuri che quel mondo possibile che coincide con la letteratura sia così differente e alternativo al mondo reale? Il paradosso dei mondi possibili della letteratura (della fiction) è che non sono autonomi, replica Palmer a Pavel: il lettore può sempre colmare almeno in parte la loro incompletezza attingendo dall’esperienza del mondo reale.16 Spingendoci ancora avanti, vorremmo suggerire che ci troviamo forse di fronte a un problema logico-filosofico di fondo, sia platonico (del Parmenide) che aristotelico (della Metafisica), ovvero l’argomento del terzo uomo. Se esistono due mondi separati deve esistere qualcosa che funzioni da connessione tra di essi: potrebbero essere i «mondi intermedi» teorizzati di recente da alcuni filosofi italiani, ma anche così si ha un regresso all’infinito, con una inutile moltiplicazione degli enti.17
Dalla parte opposta stanno poi le considerazioni di E. M. Forster nel suo celebre saggio:
Nella vita quotidiana non ci si comprende mai a vicenda, e non esiste né chiaroveggenza assoluta né confessione totale. Ci conosciamo reciprocamente in modo approssimativo, per segni esteriori, che funzionano abbastanza bene come base della società o addirittura dell’intimità. Il lettore invece può capire fino in fondo le persone di un romanzo, se il romanziere lo desidera: la loro vita intima può venire rivelata non meno di quella esteriore. E proprio per questo i personaggi di un romanzo spesso ci appaiono meglio definiti dei personaggi storici, e persino dei nostri stessi amici; su di loro ci viene detto tutto; anche se imperfetti o irreali, non si tengono per sé neanche un segreto, come invece fanno (e devono farlo) i nostri amici, dal momento che la riservatezza reciproca è una delle condizioni di vita su questo pianeta.18
Details
- Pages
- VIII, 274
- Publication Year
- 2024
- ISBN (PDF)
- 9781800797222
- ISBN (ePUB)
- 9781800797239
- ISBN (Softcover)
- 9781800797215
- DOI
- 10.3726/b19191
- Open Access
- CC-BY
- Language
- Italian
- Publication date
- 2023 (November)
- Keywords
- Primo Levi Letteratura italiana contemporanea Letteratura sulla Shoah Teoria della letteratura Teoria del personaggio Racconti fantastici Fantascienza «Esemplari umani». I personaggi nell’opera di Primo Levi Giovanna Cordibella Martina Mengoni
- Published
- Oxford, Berlin, Bruxelles, Chennai, Lausanne, New York, 2024. VIII, 274 p., 6 ill. a colori, 3 ill. b/n.