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Due pionieri trecenteschi del petrarchismo napoletano: Guglielmo Maramauro e Bartolomeo di Capua

Edizione critica e commento dei sonetti

by Francisco José Rodriguez Mesa (Author)
©2023 Monographs 124 Pages

Summary

Più di un secolo prima del consolidamento dei modelli petrarchisti del periodo aragonese, emersero a Napoli due lirici i cui componimenti riecheggiano i poeti toscani e, soprattutto, Petrarca: Guglielmo Maramauro e Bartolomeo di Capua, conte di Altavilla. Questi due autori sono stati ignorati dalla critica recente nonostante l’importanza della loro produzione, soprattutto per il loro ruolo di anticipatori nell’imitazione dei modelli poetici toscani nel Mezzogiorno italiano.
Il libro Due pionieri trecenteschi del petrarchismo napoletano: Guglielmo Maramauro e Bartolomeo di Capua studia la Napoli del Trecento e la sua permeabilità alla lingua e alla cultura toscana, presenta i dati biografici di entrambi gli autori e include la prima edizione critica e commentata dei loro sonetti.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Titolo
  • Copyright
  • Sull’autore
  • Sul libro
  • Questa edizione in formato eBook può essere citata
  • Indice
  • 1. La cultura letteraria della Napoli angioina
  • 2. Lingua e letteratura toscana nella prima generazione di lirici colti napoletani
  • 3. Guglielmo Maramauro
  • 4. Bartolomeo di Capua, conte di Altavilla
  • 5. Importanza dei primi lirici di impronta toscana
  • Appendice I: Le Senili di Francesco Petrarca indirizzate a Guglielmo Maramauro
  • Appendice II: Le canzoni di Guglielmo Maramauro
  • Bibliografia
  • Volumi pubblicati nella collana

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1. La cultura letteraria della Napoli angioina

La battaglia di Benevento (1266) non solo segnò una svolta nella vita politica del Mezzogiorno italiano, ma ebbe anche importanti conseguenze culturali, che furono già osservate da Altamura quando affermò che «la caduta degli Hohenstaufen segnò non solo la fine della poesia siciliana, ma forse interruppe la possibilità di nascita di una poesia nazionale, ove quella avesse saputo liberarsi dall’imitazione provenzale e assumere un carattere suo proprio e schiettamente originale» (1949: 6).

In effetti, la possibilità che una lirica specificamente napoletana si sviluppasse sparì, lasciando spazio esclusivamente a quei filoni che coincidevano con il gusto letterario delle classi dirigenti. In altre parole, la fioritura di una lirica colta scritta in volgare italico nel sud della penisola avrebbe dovuto aspettare che una nuova corrente esogena, quella della poesia toscana, attecchisse nel Golfo di Napoli. Tuttavia, i primi – e ancora precari – segni di questa mutazione culturale erano ancora lontani quasi un secolo, periodo durante il quale il Regno divenne una sorta di succursale letteraria della Francia e i membri della sua corte – sia i nuovi arrivati che gli indigeni – voltarono le spalle alla tradizione italica per concentrarsi sulle opere, soprattutto narrative e storiche, che fiorivano al di là delle Alpi.

Naturalmente, questo rapido cambiamento nelle pratiche letterarie e culturali non è sorprendente, perché era – ed è ancora oggi – la logica conseguenza dell’instaurazione di un nuovo ordine. Tuttavia, non possiamo non citare i casi di quei nobili, di origine napoletana o siciliana, che si stabilirono alla corte degli Angiò o sotto la loro protezione e che, oltre a condividere le letture dei loro sovrani, commissionarono volgarizzamenti in francese «especialment pour sa delectation et pour la delectation de ses amis», come si legge in uno di questi testi (Sabatini 1965: 39). Queste commissioni erano probabilmente motivate dal fatto che questi amici figuravano tra la nobiltà di origine gallica, presso la quale la conoscenza e l’apprezzamento della lingua francese sembrava essere una garanzia di successo.

←9 | 10→Così, durante i regni dei primi tre monarchi angioini1, il modello culturale francese rimase egemone, al punto che la corte partenopea ospitò persino alcuni dei più illustri esponenti di questa tradizione, come Adam de la Halle, ospite di Carlo I. Questo modello non coesisteva con nessun’altra forma di cultura scritta al di là del latino dei giuristi e degli scienziati, principalmente quelli legati allo Studio creato da Federico II, che era, all’epoca, l’unica istituzione sveva rimasta dopo la sconfitta di Manfredi.

Dopo il terzo sovrano della nuova dinastia, un’altra colonia straniera cominciò a stabilirsi nella capitale del Regno: i toscani, soprattutto fiorentini, che fissarono la residenza a Napoli, attratti dalle opportunità commerciali e finanziarie offerte dalla città partenopea. Tuttavia, sebbene le caratteristiche economiche di questo gruppo ne facessero una sorta di élite borghese quasi del tutto assente in queste coordinate spazio-temporali2, il potere finanziario non sempre andava di pari passo con il potere politico. Così, durante il regno di Roberto, anche se non era raro vedere membri della comunità toscana servire il monarca in missioni diplomatiche, le ricompense che ricevevano in cambio dei loro servizi erano limitate a posti onorifici che non avevano alcun peso reale nell’amministrazione o nella politica del Regno.

Questo isolamento sociale fu accompagnato o, forse, diede origine a una circolazione culturale, se non marginale, parallela a quella «ufficiale» del periodo angioino. Così, durante il regno di Roberto, solo la Commedia dantesca è degna di menzione tra le opere toscane conosciute e apprezzate dal pubblico meridionale: questa epopea è la prima produzione italica che, come vedremo, lascia il suo influsso sugli autori meridionali e viene addirittura commentata da alcuni di loro.

Il caso di Boccaccio, tuttavia, è il più sintomatico della realtà culturale del tempo. L’autore di Certaldo visse nella città partenopea per lunghissimi periodi (1327–1341; 1355; 1361–1362 e 1370–1371) e compose numerose opere in volgare che non sono prive da elementi culturali napoletani. ←10 | 11→Nonostante ciò, le uniche produzioni boccaccesche che esercitarono una notevole influenza e furono conosciute al di fuori del ghetto toscano furono quelle latine, principalmente il De casibus virorum illustrium, il De mulieribus claris e, soprattutto, la Genealogia. Come afferma Sabatini,

Neanche l’opera poetica e narrativa del giovane Boccaccio, che pure sboccia rigogliosa a Napoli e celebra e diletta proprio il bel mondo napoletano, suscita una contemporanea risposta dalla cultura locale. Perfino la lettera in dialetto napoletano […] non è che uno scherzo tra Fiorentini, tra signori della cultura che osservano con ironia e distacco i risvolti di una società capace magari di affettare modi forestieri, ma intimamente priva di proprie tradizioni culturali. (Sabatini 1965: 96)

Details

Pages
124
Year
2023
ISBN (PDF)
9783631898123
ISBN (ePUB)
9783631898130
ISBN (Hardcover)
9783631888988
DOI
10.3726/b20626
Language
Italian
Publication date
2023 (March)
Published
Berlin, Bern, Bruxelles, New York, Oxford, Warszawa, Wien, 2023. 124 p.

Biographical notes

Francisco José Rodriguez Mesa (Author)

Francisco José Rodríguez-Mesa è docente di Italianistica presso l’Università di Cordova (Spagna). La sua ricerca è incentrata su diversi aspetti della letteratura italiana medioevale e rinascimentale, tra i quali spiccano l’analisi della lirica petrarchesca e la sua diffusione nel regno di Napoli e il ruolo della donna in alcune opere italiane dal Trecento al Cinquecento.

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