Loading...

Le connessioni fra romanzo e teatro nel Settecento e nel primo Ottocento

by Valeria G. A Tavazzi (Volume editor)
Edited Collection VI, 178 Pages
Series: Raccordi, Volume 6

Summary

Le novità introdotte nell’Europa del Settecento dal romanzo sono spesso veicolate in Italia dal teatro: non solo vengono trasposte sulle scene le vicende di Pamela o di Marianna, ma, a partire da Goldoni, si elabora una drammaturgia che – in linea con i più avanzati esperimenti romanzeschi e attraverso il recupero della funzione che il teatro aveva già nelle poetiche antiche – mette da parte gli schematismi della tradizione dell’arte per catturare lettori e spettatori tramite storie in cui è facile immedesimarsi. Parallelamente, la narrativa italiana attinge al teatro come tema privilegiato, come mezzo di giocose sperimentazioni o come modello per l’elaborazione di un romanzo tragico.
A partire da queste premesse, il volume propone alcuni affondi non sul romanzo o sul teatro, ma sul modo in cui essi dialogano fra loro nell’Italia (e nell’Europa) del Settecento e del primo Ottocento.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Pagina del titolo
  • Pagina del diritto d'autore
  • Indice
  • Gli intrecci fra romanzo e teatro (Valeria G. A. Tavazzi)
  • Romanzesco teatrale. Riflessioni sparse (Piermario Vescovo)
  • Premessa (per guardarsi intorno)
  • Romanzesco
  • Romance/Romanzo
  • Ritorno al teatro. (Un campione analitico)
  • Davanti a tutti: palcoscenico e romanzo nell’Italia del XVIII secolo (Daniela Mangione)
  • Premessa
  • Il teatro nel romanzo
  • Fra teatro e romanzo
  • Tappe e tipologie del viaggio di Don Chisciotte/Don Chisciotte nel Settecento teatrale italiano (Javier Gutiérrez Carou)
  • a) Banalizzazione del protagonista cervantino.
  • b) Teatralizzazione di episodi del Don Quijote
  • c) Creazione di nuove avventure, non presenti nell’ipotesto, per i protagonisti del romanzo spagnolo
  • d) Snaturamento del personaggio di Don Chisciotte.
  • e) Creazione di personaggi che, come Don Quijote, hanno perso la ragione per un eccesso di letture
  • Pamela in viaggio per contrasto: quale romanzesco e quale teatro? Voltaire/Nivelle, Goldoni/Chiari, Mme Denis/Mercier (Lucie Comparini)
  • Teatro e romanzo nei Viaggi di Enrico Wanton di Zaccaria Seriman (Valeria G. A. Tavazzi)
  • Dalla ‘nouvelle-miroir’ alla tragedia: il Dom Carlos di Saint-Réal e il Filippo di Alfieri (Alviera Bussotti)
  • Dalla tragedia al romanzo neoclassico nell’Italia di fine Settecento (Pierre Musitelli)
  • Introduzione
  • Transmodalizzazione e innalzamento del genere
  • Dal «romanzesco» alla tragedia, dalla tragedia al romanzo
  • «Una strada di mezzo fra la Tragedia e il Romanzo»
  • Conclusione
  • Osservazioni sul teatro nel Platone in Italia di Vincenzo Cuoco (Marta Marchetti)
  • Corinne ou l’Italie di Mme de Staël: teatro in forma di romanzo (Beatrice Alfonzetti)
  • Il primo adattamento di Paul et Virginie sulla scena italiana: metamorfosi estetiche e filosofiche (Marco Menin)
  • La sfida dell’adattamento teatrale
  • Paul et Virginie applicazione romanzesca delle Études de la Nature
  • «È nota la differenza che passa dal poema narrativo al rappresentativo»: il melodramma Paolo e Virginia (1817) di Diodati e Guglielmi
  • Un gioco di rimandi: metamorfosi estetiche e morali
  • Lettrici di romanzi in commedia (Matilde Esposito)

Valeria G. A. Tavazzi, a cura di

Le connessioni fra romanzo e teatro nel Settecento e nel primo Ottocento

Bruxelles · Berlin · Chennai · Lausanne · New York · Oxford

Gli intrecci fra romanzo e teatro

Gli studiosi sono comunemente concordi nel riconoscere al romanzo una estrema capacità di accogliere argomenti, forme e stili differenti che gli permette di inglobare al suo interno anche tutti gli altri generi letterari1. Potrà dunque apparire ozioso, a prima vista, il tema alla base di questo volume, ovvero una rilettura incrociata di romanzo e teatro nel Settecento e nel primo Ottocento compiuta attraverso alcuni snodi essenziali. Chiunque apra a caso Jacques le fataliste di Diderot o, per fare un esempio nostrano, le Memorie del signor Tommasino di Francesco Gritti ha infatti la percezione immediata di come il romanzo possa assumere forme teatrali attraverso una sovrapposizione dei modi (mimetico e diegetico) che contribuisce a confondere le acque e ad alimentare un gioco di possibili rimandi fra l’uno e l’altro genere2.

Se però guardiamo alle recenti tendenze della critica europea notiamo subito che la prospettiva di ricerca basata su relazioni e interferenze fra romanzo e teatro ha avuto negli ultimi anni un discreto sviluppo: il volume di Catherine Ramond, Roman et théâtre au XVIII siècle. Le dialogue des genres3, le ricerche di Francesca Saggini sul romanzo inglese del Settecento4 o la tesi di dottorato di Charlène Deharbe, La porosité des genres littéraires au XVIIIe siècle: le roman-mémoires et le théâtre5 ne sono la dimostrazione. Anche a partire da questi studi, che affrontano i rapporti fra generi nei modi più vari, è stato avviato nel 2020 un progetto di ricerca intitolato Le connessioni fra romanzo e teatro da Goldoni a Foscolo, finanziato dall’Ateneo Sapienza, con l’ambizione di coprire un buco bibliografico italiano su questo specifico argomento e di definire, meglio di quanto non sia stato fatto finora, le peculiarità del caso italiano all’interno di un più ampio panorama europeo6.

L’obiettivo iniziale era di indagare, senza preclusioni estetiche o gerarchie precostituite, tutti quei casi in cui teatro e narrativa si intrecciano fra loro nella letteratura italiana del Settecento e di primo Ottocento, nel periodo cioè in cui si attua l’avvicendamento fra romance e novel e i generi drammatici tradizionali si confrontano col dramma borghese. La scommessa critica si basava sulla convinzione che solo un approccio incrociato fra la narrativa e la scena potesse restituire adeguatamente sia la complessità di fenomeni di portata ampia, come il superamento della Stiltrennung antica7 o un più partecipe coinvolgimento emotivo del lettore nelle vicende di personaggi simili a lui, sia spiegare la particolarità del caso italiano, gravato dalla condanna e dalla successiva cancellazione critica della narrativa settecentesca. Spesso infatti le novità introdotte in Europa dal romanzo sono veicolate in Italia dal teatro: non solo vengono trasposte sulle scene le vicende di Pamela o di Marianna8, ma, almeno a partire da Goldoni, si elabora una drammaturgia che – come i più avanzati esperimenti romanzeschi – mette da parte gli schematismi della tradizione dell’arte per catturare lettori e spettatori tramite storie vicine alla vita quotidiana del suo pubblico9. Parallelamente, la narrativa italiana attinge al teatro come tema privilegiato (si vedano Chiari e Piazza o gli inserti teatrali di Seriman e Bianchi)10, come mezzo di giocose sperimentazioni (Gritti) o come modello per l’elaborazione di un romanzo tragico (si vedano i debiti di Foscolo nei confronti della drammaturgia alfieriana)11.

Un progetto senz’altro ambizioso ma foriero di buoni frutti, come dimostrano i saggi raccolti in questo volume12, capaci non solo di dare risposte e illuminare testi rimasti in ombra, ma anche e soprattutto di porre questioni e stimolare domande, come ogni ricerca degna di questo nome dovrebbe fare.

Magistrale da questo punto di vista è l’intervento di Piermario Vescovo che abbiamo deciso di porre in apertura per l’ampiezza dello sguardo e per le implicazioni teoriche che contiene. In linea con le sue ricerche degli ultimi anni, Vescovo considera infatti il rapporto fra la narrativa e la scena a partire dal modo, mimetico o diegetico, impostando un discorso che va quindi ben al di là dei limiti cronologici inizialmente previsti. In una ricognizione tanto vasta quanto ricca, lo studioso indaga le varie possibili accezioni del romanzesco a teatro, soffermandosi sulle commedie basate su plot molto articolati e sul teatro “a puntate”, in cui i tempi lunghi richiesti da un intreccio che si dipana per anni vengono affrontati in tappe autonome ma connesse fra loro dalla ricorsività dei temi e dei personaggi. Interessante, in particolare, è la proposta di individuare, nelle “novelle d’industria” che compongono le giornate centrali del Decameron (dalla terza alla sesta), la base su cui il teatro del Cinquecento affonda le sue radici “romanzesche” (dalla Calandria di Bibbiena a Gl’Ingannati degli Accademici Intronati, fino allo Shakespeare di All’s well that ends well). Grazie a questa apertura prospettica, in cui romanzesco diventa quasi sinonimo di narrativo e il problema fondamentale è il differente trattamento che romanzo e scena riservano al tempo (sia nei teatri improntati alle unità pseudo-aristoteliche che in quelli che non vi si conformano, inglese e spagnolo), lo studioso ci costringe a riflettere su come il romanzo in scena sia sempre portatore di complessità ed evoluzione. Da questo punto di vista, che poi la fonte siano le novelle del Decameron, il Tom Jones di Fielding o l’Argenis di John Barclay, poco cambia per quanto riguarda la difficoltà di rappresentare trame ampie e lente evoluzioni del personaggio.

Altrettanto denso di implicazioni è il secondo intervento di Daniela Mangione che si interroga sulle funzioni di romanzo e teatro nel sistema italiano di metà Settecento. Nella prima parte del suo saggio, la studiosa indaga la permeabilità del romanzo italiano al tema teatrale che, se ha notevoli ascendenze europee – dal Roman comique di Scarron al Wilhelm Meister di Goethe –, assume però in Italia spazi quantitativamente assai rilevanti. A motivarli potrebbe essere la necessità di attingere a personaggi irregolari, liberi e meno vincolati dalle maglie della morale, che siano però allo stesso tempo socialmente accettabili: in un contesto non ancora maturo ad accogliere Moll Flanders o la marchesa de Merteuil, il romanzo italiano ripiegherebbe insomma su ballerine e cantatrici, facendo leva sulla loro capacità di rivolgersi a un pubblico realmente trasversale. Ancora più intrigante è però l’ipotesi avanzata nella seconda parte dell’intervento, in cui Mangione prova a interrogarsi sulla disparità con cui la società settecentesca accoglie gli stessi temi, apprezzati o comunque considerati accettabili se posti sulle scene, censurati invece se affrontati dalla narrativa. La ragione è da ricercarsi nella distanza fra la fruizione pubblica e condivisa del teatro, che implica, secondo la definizione di Marco Menin, una «modulazione sociale dell’emozione» (p. 35) e la fruizione al contrario intima e privata della lettura solitaria, veicolata dal novel. Si tratta di un’ipotesi originale, meritevole di ulteriori approfondimenti, perché ribalta lo sguardo con cui di solito si osservano i rapporti fra letteratura e teatro (fra un testo in cui tutto è permesso e la scena in cui invece è necessario censurare, ad esempio, gli elementi scabrosi) e apre a prospettive inedite per la nostra tradizione critica.

Con l’intervento di Javier Gutiérrez Carou abbandoniamo le prospettive generali per indagare la fortuna sulle scene italiane del Don Quijote di Cervantes. Data la grande quantità di testi derivati dal romanzo spagnolo, lo studioso parte dall’esigenza di ordinare questo materiale vasto e a volte sfuggente in una tassonomia allo stesso tempo rigorosa e duttile. Con la precisione che lo contraddistingue, individua cinque diversi modi in cui il romanzo o una sua parte vengono portati sulle scene: in testi drammatici che ne banalizzano il protagonista; in opere che ne teatralizzano uno o più episodi; attraverso l’invenzione di nuove avventure attribuite ai personaggi spagnoli; in testi che snaturano il carattere di Don Chisciotte e infine attraverso la creazione di personaggi che, come il protagonista di Cervantes, perdono la ragione per un eccesso di letture. La maggior parte dei casi individuati – da Gigli alla cantata di Scarlatti Ammore brutto figlio de pottana – appartengono alle prime tre tipologie di riprese. Le ultime due sono però le più interessanti, perché dialogano con l’originale spagnolo a livello ben più profondo. Ad esempio nell’Opera in comedia, che appartiene alla quarta tipologia individuata, Don Chisciotte appare nel prologo come portatore di buon senso e ragionevolezza; o ancora nel Rutzvanscad il giovine di Zaccaria Valaresso, è il romanzo intero ad essere evocato come “salutare” rimedio a mode letterarie ridicole, come quella delle tragedie “grecizzanti” di primo Settecento che fa impazzire il personaggio di Culicutidonia. Da parodia dei romanzi, Don Chisciotte diventa allora esempio di metateatralità, di salto in avanti che si compie tagliando metaforicamente i ponti con una tradizione ormai consunta e fondando un genere completamente nuovo sulle ceneri del vecchio.

Details

Pages
VI, 178
ISBN (PDF)
9783034351140
ISBN (ePUB)
9783034351157
ISBN (Softcover)
9783034351133
DOI
10.3726/b22679
Language
Italian
Publication date
2025 (May)
Keywords
romanzo tragico narrativa italiana Europa del Settecento Romanzo teatro XVIII-XIX secolo
Published
Bruxelles, Berlin, Chennai, Lausanne, New York, Oxford, 2025. vi, 178 p., 2 tab.
Product Safety
Peter Lang Group AG

Biographical notes

Valeria G. A Tavazzi (Volume editor)

Valeria G. A. Tavazzi insegna letteratura italiana all’Università di Roma Sapienza. Si è occupata di Carlo Goldoni, Pietro Chiari, Carlo Gozzi, di metateatralità e di romanzo italiano del Settecento. Ha studiato inoltre gli intrecci fra letteratura ed eventi storico-politici nel Risorgimento e i legami fra letteratura e diplomazia.

Previous

Title: Le connessioni fra romanzo e teatro nel Settecento e nel primo Ottocento