Loading...

Le Torrismon du Tasse. Tragedie

Edizione, note e introduzione di Daniela Dalla Valle

by Daniela Dalla Valle (Volume editor)
©2019 Others 288 Pages
Series: Franco-Italica, Volume 10

Summary

L’unica tragedia scritta da Torquato Tasso – Il Re Torrismondo – è stata tradotta una sola volta, nell’arco dell’enorme successo ottenuto dal Tasso in Europa, tra Cinque e Seicento : è una traduzione in francese, pubblicata a Parigi nel 1636, opera di Charles Vion d’Alibray, italianista illustre e teorico del teatro francese del tempo ; una prefazione di notevole interesse, soprattutto all’interno del dibattito teatrale di quegli anni, precede la traduzione stessa. Ripresentare oggi Le Torrismon du Tasse non serve soltanto alla precisazione della fortuna tassiana, ma anche all’analisi delle teorie teatrali francesi elaborate negli anni ’30, e dello stretto rapporto di queste teorie con la conoscenza, la ripresa e la diffusione in Francia della letteratura italiana.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Titolo
  • Copyright
  • Sull’autore
  • Sul libro
  • Questa edizione in formato eBook può essere citata
  • Indice
  • Introduzione
  • Le Torrismon du Tasse
  • Au Lecteur.
  • Argument.
  • Le moyen de retrancher quelques endroits de cette Tragedie, comme on fit en sa seconde Representation.
  • Fautes survenuës en l’impression.
  • Extraict du Privilege du Roy.
  • Acte I
  • Acte II
  • Acte III
  • Acte IV
  • Acte V
  • Appendici
  • Torquato Tasso, Il Re Torrismondo
  • La pompe funebre, ou Damon et Cloris. Pastorale.
  • Indice dei nomi

← 6 | 7 →

Introduzione

Il testo che proponiamo per la prima volta agli studiosi moderni è la traduzione in francese della tragedia Il Re Torrismondo di Torquato Tasso1: l’unica traduzione d’epoca di questo testo2, elaborata, rappresentata e pubblicata negli anni ’30 del XVII secolo. Il traduttore è un illustre italianista francese, Charles Vion d’Alibray3, che fece rappresentare il suo Torrismon nel teatro del Marais e lo fece poi stampare a Parigi nel 1636, accompagnandolo con un’importante prefazione Au Lecteur4.

Recuperare oggi questo testo è certamente utile all’interno della documentazione della fortuna del Tasso, ma conserva un particolare interesse anche nella storia del teatro francese, perché proprio in quegli anni si stava elaborando un dibattito teorico concernente il conflitto tra il genere tragico e il genere tragicomico, in cui s’inseriscono appunto la traduzione del Re Torrismondo e la sua lunga prefazione. ← 7 | 8 →

Cenni sul Re Torrismondo.

Il Re Torrismondo5 è l’unica tragedia scritta da Torquato Tasso. Fu pubblicata per la prima volta nel 15876, poco dopo l’uscita del poeta dall’ospedale di Sant’Anna; fu ristampata numerose volte presso altri editori nello stesso anno (e negli anni successivi), con alcune correzioni su cui ritorneremo. La sua elaborazione era stata lunga e complicata: un primo abbozzo era comparso a stampa con il titolo di Tragedia non finita nella Parte seconda delle Rime, pubblicate a Venezia presso Aldo Manuzio nel 15827 (un primo atto e due scene del secondo, per 1197 versi); a cui seguì un lavoro di correzione della parte già scritta e di prolungamento del testo, accompagnato da numerose riflessioni documentate nei testi teorici (soprattutto nei Discorsi), e da allusioni, richieste, commenti che ritroviamo nelle Lettere.

La fortuna scenica del Re Torrismondo fu assai limitata. Siamo a conoscenza di una sua rappresentazione a Vicenza, nel Teatro Olimpico, nel 1618, e di un’altra messa in scena ad opera di Luigi Riccoboni a Venezia, nel Teatro S. Luca, nel 1697. Vion d’Alibray osserva, nella sua prefazione Au Lecteur, che il Tasso aveva scritto la tragedia come opera di lettura più che di recitazione:

je ne croy pas que ce fust l’intention du Tasse de faire une tragedie pour le Theatre, mais seulement de feindre un suject agreable à lire, et de travailler plustost à de belles peintures qu’à des Scenes commodes et plaisantes à la veue8. ← 8 | 9 →

Anche la sua lunghezza (3340 versi nell’edizione B.T. Sozzi) sembra eccessiva rispetto alla sua rappresentazione sulla scena, e non può che confermare l’ipotesi formulata da Vion. Tuttavia Il Re Torrismondo è stato ed è ancora considerato come la migliore tragedia del Cinquecento italiano (“l’autre est encore aujourd’huy estimée la merveille des Tragedies Italiennes”, dice Vion nella sua prefazione9), su cui continuano ad essere pubblicati studi ed analisi, a cui rinviamo anche per fornire una bibliografia esaustiva sul testo stesso10.

Il suo intreccio è particolarmente intricato; esso mescola problemi di sostituzione di personaggi, d’inganni fatti, ricevuti o tramandati, di viaggi avventurosi nei mari del Nord, di pirati e rapimenti, e soprattutto inserisce il tema dell’incesto, realizzato anche se non voluto. Ed è un intreccio ‘favoloso’, non documentato attraverso la storia o una tradizione letteraria importante. Per evocare la trama della tragedia, riteniamo utile fornire qui un Argomento che Giulio Guastavini, amico del Tasso, inserì in una delle prime edizioni del Re Torrismondo11:

Rosmonda figliuola del Re de’ Goti è data ad allevare in un antro a certe Ninfe. Queste predicono al Re che la figlia aveva da essere cagion della morte del fratello Torri­smondo e della servitù del Regno de’ Goti. Il padre per ischifar la disaventura la manda in su una nave, a cura di Frontone, in Dacia; ma nel viaggio presa da corsali, è data ad Araldo Re di Norvegia, che per figlia l’allieva e la nomina Alvida. Il Re di Gozia, per non contristar la moglie sua e madre della bambina col torle la figliuola, né volendo insieme palesare a lei la sua tema e il suo consiglio, mette in iscambio della figlia mandata via, in casa, una putta della Nutrice della stessa età col nome di Rosmonda, ed ella per figliuola del Re cresce in corte. Muore il padre, e la cosa sta celata. In questo mezzo d’Alvida s’inamora Germondo Re di Suezia, e domandala al padre per moglie; ma egli nimico suo, e da lui gravemente offeso, gliela nega. Tenta altra strada l’innamorato Germondo, e fa che Torrismondo Re di Gozia, suo carissimo compagno, come per sé la chieda, con intendimento, menatala a casa vergine, di cederla a lui. L’ottiene Torri­smondo, e fingendo di voler consumar il matrimonio in Arana sua città regale, in su le navi la conduce seco; nel viaggio, gettati dalla tempesta in solitario porto e presa terra, rimasti soli nelle più interne parti del padiglione, Torrismondo, incitato dalla strettezza del luogo, dal buio della notte, e quasi forzato dalle lusinghe, dagli sguardi e da’ molti inviti di lei, che esso credea suo sposo, seco carnalmente giace. Arrivato in Arana, ← 9 | 10 → rivolgendo seco l’ingiuria fatta al caro amico, è disperato e delibera di morire; ma aiutato da suo consigliero, prendono per partito di dar Rosmonda stimata sua sorella a Germondo, ed egli ritenersi Alvida. Rosmonda, essendo stata da sua madre la virginità di lei offerta e votata a Dio il giorno ch’essa nacque, e ciò dalla madre inteso all’ora ch’al punto della morte fu, volendo osservar la promessa è costretta a palesarsi e a manifestar che non è figliuola del Re, né sorella di Torrismondo. Cerca della sorella Torrismondo, e dalla stessa intende che fu mandata in parti lontane, udendo ricordar il nome di Frontone. Chiamasi Frontone dal Re, ed egli racconta che conducendola in Dacia furon presi ambedue da corsali Norvegi; ma egli d’altri corsali Goti liberato, non poté però esser liberata Rosmonda, perché il naviglio dove ella era scampossi via, e ch’intese ch’in Norvegia era condotta. Arriva in tanto un messo di Norvegia a portar l’aviso della morte del Re padre d’Alvida, e riconosciuto da Frontone che esso fu quegli il quale prese il legno dove era Rosmonda, è costretto a scuoprir la verità; onde confessa che la fanciulla presa egli avea donata ad Araldo il Re, al quale in quel tempo appunto era morta una sua figliuola, e ch’esso la nominò Alvida. Di qui riconosce la sorella Torrismondo, e da questo riconoscimento nasce incontinente la mutazion dello stato. Misero dunque e infelice, ad Alvida afferma ch’egli è suo fratello, e che ella si risolva ad ogni modo d’aver Germondo per isposo; essa no ‘l credendo, e tenendosi beffata e tradita, s’amazza. Il che veduto Torrismondo, scritta prima una lettera al suo caro Germondo con raccomandargli la madre vecchia e il regno, appresso lei, passatosi col pugnale il petto, s’uccide.

Guastavini, volendo chiarire e spiegare in questo Argomento l’intreccio della tragedia, lo mette in ordine cronologico, partendo dalla nascita di un personaggio centrale nello svolgimento dell’azione: quello di Rosmonda/Alvida. Ma la tragedia è organizzata in modo diverso: il Tasso rispetta le regole aristoteliche, prima di tutto quella dell’unità di tempo, concentrando la vicenda in una sola giornata; poi quella dell’unità di luogo, facendo svolgere l’azione interamente ad Arana, dove Torrismondo è rientrato per sposarsi con Alvida. In questo modo, diventano necessari numerosissimi racconti dell’antefatto, che dovranno spiegare ai lettori e agli spettatori il complicato passato, per giungere alla consapevolezza dell’incesto e alla catastrofe; tanto che questi récits des antécédents, inseriti talvolta in monologhi, talvolta in lunghissime battute, caratterizzano la tragedia dall’inizio alla fine.

Agli eventi evocati che questo Argomento rievoca, dobbiamo fare un’aggiunta, concernente un episodio che nell’Argomento manca: in un passaggio della tragedia Rosmonda – che tutti ritengono sia la sorella di Torrismondo, ma che sa di non esserlo – confessa di essersi innamorata di lui. In realtà è un passo limitato a pochi versi12, che non avranno ← 10 | 11 → prosecuzione nell’intreccio; questi versi non esistono nelle prime edizioni del Re Torrismondo e sono stati inseriti posteriormente (per questo Guastavini non ne parla). Noi dobbiamo segnalarlo, perché Vion d’Alibray traduce in francese i versi relativi, e doveva quindi aver avuto come modello di partenza un’edizione che li inseriva. Nelle edizioni moderne del Re Torrismondo, questi versi sono stati talvolta inseriti (B.T. Sozzi), talvolta eliminati (V. Martignone). Per questo inserirò in Appendice il testo del Re Torrismondo nell’edizione B. T. Sozzi.

La vicenda si svolge dunque nell’Europa del Nord; l’ambientazione è stata suggerita al Tasso dalla conoscenza degli studi recenti sulle vicende scandinave di Giovanni Magno13 e di Olao Magno14; in particolare, un episodio riportato dal primo e ripreso anche dal secondo racconta alcuni elementi che ritroviamo nella tragedia stessa15.

Su questa ambientazione e su questa parziale fonte narrativa, si aggiungono numerosi rinvii alla tradizione letteraria italiana; le note fornite nelle loro edizioni da Marziano Guglielminetti e da Vercingetorige Martignone danno una lista abbondante e suggestiva di questi collegamenti (Petrarca, Dante, Poliziano, Ariosto, Bembo, Della Casa; a livello teatrale Trissino, Giraldi, Rucellai, Manfredi, Alamanni, Speroni). Importante è altresì il rinvio ad autori classici (Orazio, Ovidio, Lucrezio, Lucano, Catullo, Tacito, Virgilio; a livello teatrale Sofocle e Seneca). Questo inserimento della tragedia in una tradizione letteraria non può avere la stessa funzione, né lo stesso interesse per la traduzione in francese, scritta mezzo secolo più tardi da uno scrittore inserito in un ambiente culturale diverso. Tuttavia alcuni di questi rinvii appartengono anche alla cultura di Vion d’Alibray, come quello a Virgilio (l’incontro amoroso tra Torrismondo e Alvida, durante la tempesta che colpisce la nave che li sta portando ad Arana, che ricorda l’unione tra Enea e Didone nel quarto libro dell’Eneide), o quello a Sofocle e a Seneca (le varie scene che concernono la scoperta dell’incesto da parte dello stesso Torrismondo – IV, 4–6 – che ricordano anche a Vion passaggi simili dell’Edipo di Sofocle e di Seneca). Su questo problema ← 11 | 12 → dell’incesto, in particolare sull’incesto orizzontale tra fratello e sorella, la Canace di Sperone Speroni era nota anche a Vion, che la ricorda nella prefazione Au Lecteur16.

Nonostante l’evocazione di queste fonti scandinave e dei riferimenti letterari e teatrali, la vicenda del Re Torrismondo è comunque ‘favolosa’; lo afferma lo stesso Vion ella sua prefazione: “son subject est entierement fabuleux”17; l’assenza di un modello storico, già noto e documentato, rende il rapporto tra l’intreccio e il pubblico particolarmente difficile e faticoso. Il Tasso si sofferma su questo punto nei suoi Discorsi, che in parte Vion riprende nella prefazione; ma il problema è ancora più complicato nel caso della traduzione stessa, che deve essere messa in scena davanti a un pubblico che non ne conosce minimamente l’intreccio.

Infine, un altro aspetto del Re Torrismondo può essere evocato, proprio perchè non ha riscontro nella traduzione di Vion: la presenza e la funzione del Coro. Essa era frequente nel teatro cinquecentesco, sia in quello italiano che in quello francese, dove il Coro interviene nel dialogo e poi commenta l’azione, con un intervento esplicativo/didattico inserito dopo ogni atto. Così avviene nella tragedia tassiana, dove l’introduzione dei Cori didattici sembra essere stata eseguita alla fine, dopo il completamento dell’intreccio. Nella traduzione di Vion d’Alibray, l’atteggiamento è del tutto diverso: Vion traduce la tragedia in un momento particolare del teatro francese, in cui i drammaturghi incominciano ad eliminare il Coro18; e Vion, che pure aveva tradotto fedelmente i Cori dell’Aminta – famosissimo anche in Francia quello sull’età dell’oro, nel primo atto –, questa volta si adegua alle nuove pratiche drammaturgiche e sopprime interamente tutte le sue presenze.

Vion d’Alibray, il Torrismon e la ‘querelle des préfaces’.

Charles Vion d’Alibray, noto come poeta e come traduttore di testi italiani e spagnoli, c’interessa in questa sede per la sua dimensione d’italianista, in particolare come traduttore di testi italiani teatrali. I pochi studiosi che ← 12 | 13 → finora se ne sono occupati hanno segnalato la sua particolare qualità19: conosce alla perfezione la lingua italiana e riesce a tradurne in francese tutte le sfumature; l’abbiamo mostrato qualche anno fa, fornendo l’edizione della sua traduzione dell’Aminta20. Vion dichiara di aver trovato un piacere del tutto particolare in questa attività di traduttore, che normalmente svolge nei periodi trascorsi in campagna. Nella prefazione del Torrismon afferma:

C’est seulement une fois l’année que pour me divertir je m’amuse à ce mestier, lors que je suis retiré à la campagne, où je ne trouve rien de plus utile que cét Art qui n’a rien d’utile, ny rien de plus agreable que de traduire21.

Un passaggio analogo esiste anche nell’Advertissement dell’ Aminte:

Sçaches donc qu’il y a eviron deux ans qu’estant reduit à la campagne assez seul, je m’avisay de ce divertissement. Le grand loisir que j’avois […] et le beau temps qu’il faisoit lors, m’y convierent […] C’est pourquoy je ne sortois plus du logis qu’avec l’Aminte […]22

I testi teatrali italiani tradotti da Vion d’Alibray sono due pastorali – l’Aminta del Tasso (traduzione pubblicata nel 1632) e Le pompe funebri di Cesare Cremonini (traduzione pubblicata nel 1634) – e due tragedie – Il Re Torrismondo (traduzione pubblicata nel 1636) e il Solimano di Prospero Bonarelli (traduzione pubblicata nel 1637). In realtà, Vion non era un drammaturgo; non ha ‘inventato’ nessuna opera teatrale, anzi è piuttosto noto come poeta lirico23; eppure interviene esplicitamente nel ← 13 | 14 → dibattito teatrale degli anni ‘30 proprio come traduttore di testi italiani, e grazie alle lunghe prefazioni che accompagnano i testi tradotti. Queste prefazioni sono tre e concernono i primi tre testi; aveva deciso di scriverne una quarta, per il Soliman24, ma poi vi rinuncerà: su questo punto torneremo più tardi. Vion parla di questa sua ultima traduzione teatrale, la presenta e la commenta, nelle pagine conclusive della prefazione del Torrismon25. L’importanza di queste traduzioni e delle relative prefazioni all’interno della querelle che caratterizza il teatro francese di quegli anni non è stata finora sufficientemente analizzata; Vion d’Alibray non è citato nemmeno da Giovanni Dotoli nel volume dedicato a questo problema, in cui identifica il periodo come il Temps de préfaces26. Noi invece riteniamo utile analizzare con una certa attenzione il lavoro svolto da Vion in questo campo, proseguendo uno studio avviato molti anni fa e ripreso recentemente a proposito della sua traduzione dell’Aminta27.

Nel 1636, quando il Torrismon viene rappresentato e pubblicato, il teatro francese sta attraversando un momento particolare: il genere predominante è ancora la tragicommedia, che da vari decenni si è imposta, contrapponendosi alla tragedia; e allo stesso livello della tragicommedia si aggiungono le pastorali – molto simili al genere tragicomico per numerosi aspetti28. Da alcuni anni – all’incirca dal 1625 – il dibattito teorico che afferma la difesa del genere tragicomico è stato puntualizzato e ben definito. Tuttavia s’incomincia già ad intravedere un linea di cambiamento nella pratica teatrale, sia a livello pratico che a livello teorico; e si percepisce l’inizio della ripresa del genere tragico, che si manifesterà soprattutto negli anni ’40.

La difesa della tragicommedia era sorta come contestazione delle tragedie antiche, che erano state riprese e imitate nel Cinquecento, ma erano ormai sentite come desuete all’inizio del Seicento, perché si assoggettavano a ← 14 | 15 → rispettare una serie di obblighi relativi alle regole aristoteliche. È stata soprattutto la regola dell’unità di tempo ad essere criticata, perché costringeva gli autori ad inserire nel testo tragico un eccesso di racconti, fatti da messaggeri, necessari per poter contenere l’azione entro l’arco delle ventiquattr’ore. A livello teorico, questo contrasto e questa difesa sono stati elaborati in una serie di prefazioni, che costituiscono un corpus ormai identificato e studiato29. All’inizio di questo dibattito teorico, Ogier aveva scritto la prefazione alla traduzione di Tyr et Sidon di Jean de Schélandre, che da tragedia era diventato una tragicommedia30; e criticando la tragedia aveva affermato:

Le second inconvenient qu’ont encouru les Poëtes anciens, pour vouloir resserrer les accidens d’une Tragedie entre deux soleils, est d’estre contraints d’introduire à chaque bout de champ des Messagers, pour raconter les choses qui se sont passées les jours precedens et les motifs des actions qui se font pour l’heure sur le theatre. De sorte que presque à tous les actes, ces Messieurs entretiennent la compagnie d’une longue deduction de fascheuses intrigues, qui font perdre patience à l’Auditeur, quelque disposition qu’il apporte à escouter […] La poësie, et particuliérement celle qui est composee pour le theatre, n’est faite que pour le plaisir et le divertissement, et ce plaisir ne peut proceder que de la varieté des évenemens qui s’y representent, lesquels ne pouvant pas se rencontrer facilement dans le cours d’une journée, les Poëtes ont esté contraints de quitter peu à peu la practique des premiers qui s’estoient resserrez dans des bornes trop estroittes31.

Accanto a questa considerazione e ad essa strettamente collegata se ne era proposta un’altra, che amplificava il discorso assumendo una pregnanza più forte e più duratura: in un’opera teatrale, l’azione rappresentata deve prevalere sempre su quella raccontata. Tre anni dopo la prefazione di Ogier, così si esprimeva Mareschal:

En effet y a-t-il rien de si importun que ces rapports et ces longues narrations, qui feraient mourir d’ennui la plus ferme patience […] et quelle faute ne doit-on pas rechercher, pour fuir celle-là? Ces actions pour peu qu’elles soient disposées par une ← 15 | 16 → discrète économie, font plus de prise dans l’esprit, et valent mieux que les messages et les narrations les mieux travaillées32.

Questo non concerne soltanto i récits des antécédents, ma tutta la costruzione generale dell’intreccio, dove il racconto è ormai considerato negativo:

La description m’importune en sa longueur, l’action me recrée33.

Anche Vion d’Alibray, scegliendo alcune opere teatrali italiane, traducendole e commentandole, entra in questo dibattito. La sua prima traduzione, quella dell’Aminta, non è proposta ai francesi come una riscoperta: la favola boschereccia del Tasso era giunta in Francia fin dal 1584, vi era stata stampata in italiano e tradotta in francese numerose volte, spesso era stata imitata e talvolta plagiata34. Vion decide di tradurla ancora una volta nel 1632 per contrapporsi all’iniziativa appena intrapresa da Rayssiguier, il quale – inserendosi esplicitamente sulla linea di Ogier e di Mareschal – aveva proposto una ‘rielaborazione’ del testo italiano, frantumandone interamente la struttura e facendo diventare scene d’azione tutti gli episodi che il Tasso aveva raccontato. La rielaborazione di Rayssiguier s’intitola l’Aminte du Tasse. Tragi-comedie pastoralle, Accommodeée au Theatre François35. Anche Vion, nell’Advertissement che precede la sua traduzione, afferma di conoscere molto bene le nuove regole che sostengono la prevalenza dell’azione rispetto al racconto; anzi, collega questa affermazione recente a una regola antica, che gli suggerisce Orazio nella sua Poetica:

[…]les choses qui n’entrent que par l’oreille, ne nous émeuvent pas tant à beaucoup prés que celles qui touchent nos yeux36. ← 16 | 17 →

Ciò nonostante, Vion intende salvaguardare tutte le qualità poetiche e letterarie di un testo e di un autore che non solo apprezza, ma addirittura venera come modello esemplare; e proprio per questo si propone di fornire la più fedele traduzione in francese dell’Aminta, compresi tutti i ‘racconti’ che giustifica puntualmente:

il est pourtant vray qu’il ne faut pas estaller en la Scene ce qui ne merite pas d’y estre produit, et qu’il est bon de soustraire à la connaissance de la veuë beaucoup de choses qui sont incontinent apres suffisamment racontées […]37,

spiegando poi, caso per caso, perché tutti i racconti inseriti dal Tasso nell’ Aminta devono essere conservati come tali38. Fin dall’inizio Vion esprime dunque la sua adesione al discorso teorico elaborato nella querelle, ma rifiuta la radicalizzazione di questo discorso: è importante sottolinearlo, per comprendere l’evoluzione dei suoi interventi teorici proposti nelle prefazioni successive.

Due anni dopo, nel 1634, Vion traduce il secondo testo teatrale italiano, le Pompe funebri di Cesare Cremonini39. In questo caso, egli propone al pubblico francese un testo assolutamente nuovo: una pastorale scritta come imitazione dell’Aminta da un autore più noto come filosofo che come letterato. Nel suo Advertissement, Vion ricorda che nessun lettore francese avrebbe potuto identificare l’autore del testo tradotto, se lui stesso non l’avesse dichiarato:

je te veux déclarer l’Autheur de cette Pastorale, bien qu’elle soit si rare que je pouvois par mon silence recevoir la gloire de son invention, sans craindre d’estre découvert, que de fort peu de personnes.

Afferma che la pastorale è opera di Cremonini, la descrive e la giustifica, ma riconosce di averla ‘abregée’ per adattarla al gusto del pubblico moderno francese:

à fin qu’elle en fut mieux reçeuë quand elle se pourroit representer plus facilement.

In questo caso, la fedeltà al testo di partenza non ha più ragion d’essere, certamente non per un particolare rispetto per l’autore italiano tradotto, e Vion si autorizza ad eliminare tutta una parte dell’intreccio, spiegandolo ← 17 | 18 → in modo puntuale e particolareggiato. Su questo punto rinvio all’analisi di Daniela Mauri, nel capitolo del suo volume Voyage en Arcadie40, e fornisco in Appendice l’Advertissement di questa traduzione.

Nel 1636 Vion ritorna sul Tasso, confermando la sua passione per questo autore. Manifesta anche la sua conoscenza dei suoi testi teorici, in particolare dei Discorsi, che sono spesso ricordati nella prefazione41; ma questa volta decide d’intraprendere un’autentica novità: traduce per la prima volta l’unica tragedia del Tasso: Il Re Torrismondo. Si tratta appunto del testo di cui proponiamo l’edizione.

Vion si propone di destinare il suo Torrismon alla scena; il teatro in cui il testo è stato rappresentato prima della sua pubblicazione è quello del Marais; l’attore che recita il ruolo del protagonista è il grande Mondory, futuro interprete del Cid e di Hérode nella Mariane di Tristan. Vion ne parla nella prefazione Au Lecteur, dove riconosce la straordinaria capacità dell’attore, capace di recitare sulla scena persino delle lunghe narrazioni, costringendo il pubblico ad ascoltarle con piacere:

[…]si tu l’as veu representer à nostre Roscius François […] cét homme qui parle de tout le corps, et qui fait trouver une narration de deux cents vers trop courte […]42.

È convinto, però, che la lunghezza della tragedia tassiana, ricchissima di ‘narrations’, sia eccessiva per ottenere un buon risultato sulla scena, tanto che si ritiene costretto a tagliarla notevolmente: 1918 versi alessandrini traducono i 3340 versi tassiani (nell’edizione B. T. Sozzi). Basterà verificarlo, confrontando il numero dei versi francesi rispetto a quello dei versi italiani, che abbiamo segnalato nella nostra edizione all’inizio di ogni battuta43. Inoltre Vion sopprime la presenza del Coro, adeguandosi – come abbiamo già ricordato – a una pratica ormai frequente nel teatro francese, a partire dagli anni ’30. Infine – e questo è l’intervento più radicale – Vion decide di realizzare quello che Mareschal teorizzava e che Rayssiguier ← 18 | 19 → aveva praticato nel suo rifacimento dell’Aminta: sceglie di ‘mettere in scena’ il racconto che concerne le morti dei due protagonisti –Alvida e Torrismondo –, morti che il Tasso fa ‘raccontare’ dal Cameriero. Questo avviene nella scena V, 5 del Torrismon, e Vion lo spiega nelle Note in margine e nella prefazione:

Details

Pages
288
Year
2019
ISBN (PDF)
9783034337090
ISBN (ePUB)
9783034337106
ISBN (MOBI)
9783034337113
ISBN (Softcover)
9783034337083
DOI
10.3726/b15108
Language
Italian
Publication date
2019 (March)
Keywords
Francia della letteratura italiana tragedia Il Re Torrismondo
Published
Bern, Berlin, Bruxelles, New York, Oxford, Warszawa, Wien, 2019. 288 p.

Biographical notes

Daniela Dalla Valle (Volume editor)

Daniela Dalla Valle ha insegnato Letteratura Francese e Letterarture comparate all’Università di Torino. Le sue ricerche concernono la letteratura francese secentesca, e i campi più frequentati sono stati la rivalutazione del Barocco, lo studio di alcuni generi – come la tragedia, la pastorale, la novellistica – e i contatti tra la cultura francese e quella italiana e spagnola.

Previous

Title: Le Torrismon du Tasse. Tragedie
book preview page numper 1
book preview page numper 2
book preview page numper 3
book preview page numper 4
book preview page numper 5
book preview page numper 6
book preview page numper 7
book preview page numper 8
book preview page numper 9
book preview page numper 10
book preview page numper 11
book preview page numper 12
book preview page numper 13
book preview page numper 14
book preview page numper 15
book preview page numper 16
book preview page numper 17
book preview page numper 18
book preview page numper 19
book preview page numper 20
book preview page numper 21
book preview page numper 22
book preview page numper 23
book preview page numper 24
book preview page numper 25
book preview page numper 26
book preview page numper 27
book preview page numper 28
book preview page numper 29
book preview page numper 30
book preview page numper 31
book preview page numper 32
book preview page numper 33
book preview page numper 34
book preview page numper 35
book preview page numper 36
book preview page numper 37
book preview page numper 38
book preview page numper 39
book preview page numper 40
286 pages