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Le tante traduzioni dell’opera di Dacia Maraini

Studi, analisi ed approcci comparatistici con testi originali dell’autrice e con un laboratorio di traduzioni letterarie

by Dagmar Reichardt (Volume editor)
©2024 Edited Collection 682 Pages

Summary

Questo volume mette insieme le voci dei massimi esperti internazionali di Dacia Maraini (n. 1936). Nato come un laboratorio collettivo sull’opera omnia della scrittrice cosmopolita italiana, a partire dalle tracce che le sue traduzioni hanno lasciato negli ultimi 60 anni, raccoglie 13 saggi critici, nuovi materiali letterari, schede e foto che accompagnano le traduzioni in numerose lingue: dall’inglese al tedesco e giapponese, dallo spagnolo al francese, polacco, olandese, e altre.
Il libro offre, per la prima volta, un inventario del numero esatto dei testi marainiani tradotti nel mondo, visualizzando le loro relazioni culturali e evidenziando la funzione chiave delle traduzioni e dei traduttori, troppo spesso sottovalutata. Accentuando i parametri di ibridizzazione, scambio e network, l’analisi comparatistica editoriale svela come si riesce a misurare il potere transculturale delle traduzioni e quanto la socialità transfrontaliera stessa corrisponda a un perenne atto di traduzione sui generis.
Fondamentale contributo alla diffusione dell’opera di Dacia Maraini nelle tante lingue in cui la scrittrice è stata tradotta – oltre che strumento utilissimo di studio – questo volume affronta i complessi meccanismi della traduzione, illuminando nel contempo anche la vicenda creativa del traduttore. Grazie a una sorta di ponte ermeneutico la sua opera, tesa a infondere un’energia profondamente misteriosa, riesce davvero a far rivivere un testo in un’altra lingua.
Professore Pietro Frassica PhD, University of Princeton
Per me Dacia Maraini ha sempre incarnato l’Italia delle avanguardie: grazie a questo mix unico di cosmopolitismo e consapevolezza culturale, ha dato voce alle donne quando ancora non ne avevano e ha preso posizione contro la mafia quando era ancora considerata buona educazione nasconderla. Come giornalista e scrittrice, è un modello da seguire. Nella sua letteratura c’è la Sicilia, che – come suggeriva Goethe – è la chiave di tutto.
Petra Reski, giornalista e autrice di impegno anti-mafioso
Quella di Maraini è una voce certo garbata, ma rigorosa e irremovibile; lucida, ma mai distaccata sui grandi temi civili e sociali, sempre tesa a riaffermare il senso della parola “Giustizia”. L’impegno pluridecennale, specialmente attento alle trasformazioni della nostra società, alla condizione della donna e dei più deboli, fa dell’opera prolifica e proteiforme della Maraini, a ragione, una tra le più conosciute e tradotte della letteratura italiana contemporanea.
Annamaria Di Giorgio, direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Barcellona

Table Of Contents

  • Copertina
  • Pagina in Halapithile
  • Pagina del titolo
  • Pagina del diritto d'autore
  • Dedizione
  • Indice
  • Prefazione
  • Una idea di traduzione
  • Saluti
  • Saluto d’apertura
  • Eröffnungsgruß
  • La nuda verità: quando la parola scarna da simulacro si trasforma in vita
  • Traduzione e tradizione del femminile nella scrittura di Dacia Maraini
  • Introduzione
  • Dacia Maraini, la Scienza traslatoria e l’arte di tradurre: viaggi attorno al mondo, alle culture e alla parola
  • I. Traduzioni e traduttori: una fortuna mondiale
  • Quieta movēre: la voce scomoda di Dacia Maraini
  • Il rapporto di Dacia Maraini con gli Stati Uniti
  • “La traduzione è un meraviglioso ponte” – Le traduzioni e strategie editoriali in area germanofona e in Giappone: l’Altro (la Germania), l’esotismo traumatico (il Giappone) e la riscrittura meandrica di Dacia Maraini
  • Traduzione e visibilità: il caso di Dacia Maraini nelle versioni in spagnolo
  • La pertinenza odierna del teatro-documento e di lotta: la ricezione di Passi affrettati di Dacia Maraini in Spagna
  • Tradurre Bagheria in spagnolo: gli stilemi marainiani
  • Dacia Maraini in Francia
  • Tradurre in francese Mi chiamo Antonino Calderone di Dacia Maraini: un’esperienza della parola
  • Dacia Maraini in Polonia: sulla traduzione de La lunga vita di Marianna Ucrìa
  • Traduttori, tendenze e immagini: Dacia Maraini in Scandinavia e nell’area neerlandofona
  • II. Le tante traduzioni della scrittura
  • “Interrogarsi sul senso delle cose”: le svariate letture di Marianna Ucrìa nella Sicilia del primo’700
  • La traduzione dal racconto all’immagine nel cinema di Dacia Maraini
  • Traslazioni e tradizioni affettive e letterarie in Tre donne. Una storia d’amore e disamore di Dacia Maraini
  • III. Laboratorio letterario: appendice di testi, traduzioni, registri e immagini
  • Tre donne. Una storia d’amore e disamore (frammenti scelti)
  • Berah of Kibawa: traduzione in inglese di Susan Bassnett del racconto breve Berah di Kibawa (2003) di Dacia Maraini
  • Tre poesie di Dacia Maraini in edizione bilingue (italiano-inglese) scelte e tradotte in inglese da Joseph Farrell
  • Mi chiamo Antonino Calderone | Ich heiße Antonino Calderone
  • Mi chiamo Antonino Calderone. Atto unico | Ich heiße Antonino Calderone. Einakter
  • Intervista a Dacia Maraini su Mi chiamo Antonino Calderone (2010 / 2015)
  • Maria Stuart – Zwei Akte
  • L’effetto Maraini e le SHeroes da lei create: premessa alla Maria Stuart di Dacia Maraini nella sua versione letteraria in lingua tedesca
  • Maria Stuart. Frei nach “Maria Stuart” von Friedrich Schiller – Zwei Akte
  • Registro A: Le tante traduzioni dell’opera di Dacia Maraini in formato tabellare
  • Registro B: I tanti traduttori dell’opera di Dacia Maraini elencati in ordine alfabetico
  • Registro C: Premi, lauree honoris causa e cittadinanze onorarie conferiti a Dacia Maraini
  • Note bio-bibliografiche degli autori e dei collaboratori al volume
  • Culture e personaggi a contatto – Apparato iconografico e fotografico
  • Indice dei nomi

Prefazione

di Dacia Maraini

Dacia Maraini davanti a un muro di casa ricoperto da locandine, che annunciano varie rappresentazioni – nazionali e internazionali – delle opere teatrali da lei scritte (la foto risale circa al 1999).

© Foto: Mario Schifano. Fonte: Archivio privato Dacia Maraini

Dacia Maraini

Una idea di traduzione

Per me il traduttore o la traduttrice non sono persone estranee al libro su cui lavorano. Interrogandosi sulle parole, infatti, entrano dentro il testo, lo riscrivono mettendoci molto di sé. Per questo la traduzione è così importante e il nome del traduttore dovrebbe comparire accanto a quello dell’autore, sulla copertina del libro. Un poco come l’esecutore di un concerto o di una sonata: la musica scritta esiste e ha una sua autonomia, ma l’interprete la fa sua ed è capace, con la sua passione e la sua arte, di rendere corpose e vive quelle note inerti sulla pagina.

A me piace tradurre e l’ho fatto appena ho potuto: posso dire che è stata una esperienza feconda e fruttifera. Ho tradotto poesie dall’inglese e dal francese, perfino dal giapponese, ho tradotto racconti e saggi, ma la cosa più importante è stata la traduzione di un romanzo breve di Conrad, The Secret Sharer. Uno splendido romanzo, meno conosciuto degli altri, non so perché, ma pieno di significati profondi e misteriosi. Racconta del capitano di una nave che mentre fuma in pace un sigaro in coperta, alla luce metallica della luna, sente uno sciacquettio ai bordi della fiancata, si sporge e scopre che invece di un pesce, come credeva, si trova davanti a un naufrago che chiede aiuto. Gli lancia una scaletta di corda volante e il naufrago monta su gocciolante. Ma quale la sorpresa del capitano, quando, vedendolo seduto nudo davanti a sé, scopre che è identico a lui, come se avesse pescato dall’acqua profonda del mare il suo gemello.

Il naufrago gli racconta che ha ucciso senza volerlo, un marinaio in una rissa, e ora lo stanno cercando per condannarlo. Ma lui si sa innocente perché è stato provocato e minacciato e la sua è stata solo una difesa. Non voleva uccidere né ferire. Il capitano prova immediatamente simpatia per il giovane uomo e decide di proteggerlo e nasconderlo, anche se il suo dovere sarebbe di consegnarlo alle autorità.

Da quel momento comincia la strana e assurda storia di un rapporto segreto, a due, fatto di confessioni e confronti. Chiusi nella minuscola cabina del comandante, il quale non vuole fare sapere ai suoi marinai che nasconde un clandestino a bordo per non renderli complici, i due sosia passano il tempo a raccontarsi l’uno all’altro. E noi lettori stiamo in ansia, pieni di comprensione e di attenzione per le parole di quel clandestino che è nello stesso tempo protagonista della storia e testimone e complice di un crimine per quanto innocentemente commesso. Tifiamo per i due gemelli, tratteniamo il fiato quando arriva la polizia a cercarlo, e speriamo che non lo scoprano. Per fortuna, il generoso e astuto capitano riuscirà a salvare il suo doppio e infine lo farà scivolare in mare quando saranno vicini ad una isola, perché si salvi.

Già dal titolo sono cominciati i guai perché in italiano non esiste il corrispondente della parola ‘sharer’. Esiste il verbo ‘condividere’, ma non il sostantivo relativo.1 Io avrei voluto intitolare il libro Un clandestino a bordo, ma l’editore non ne ha voluto sapere e mi ha imposto di tenere il titolo che aveva nella precedente traduzione, ovvero, Il compagno segreto.2 Io poi ho usato l’altro titolo, ispirato a Conrad, per un mio breve saggio sull’aborto.3 Ho riflettuto che c’erano molte somiglianze fra il rapporto del capitano col suo doppio e la donna che scopre di covare nel suo ventre una nuova creatura, un doppione della sua carne e dei suoi pensieri, per cui avvertirà subito, come il capitano, un senso di protezione, di tenerezza e di complicità.

Su quella traduzione ho lavorato un anno e con fatica. Avrei infatti subito scoperto che l’inglese di Conrad non è quello classico: porta in sé delle anomalie strutturali, dovute al fatto che l’autore ha imparato l’inglese da adulto e che probabilmente pensava in polacco. Infatti, la struttura narrativa è abnorme, fatta di lunghe frasi che si intrecciano, di continui inneschi lirici, di protratti rimandi e pause che la prosa classica inglese non ha. Ho dovuto faticare a riprendere quel ritmo, a riprodurre in maniera credibile quei voli linguistici in una lingua così lontana e diversa.

Penso che per uno scrittore – (ma com’è misogina la grammatica italiana: per nominare la figura del professionista che scrive in senso universale devo usare il maschile. Se dico scrittore, intendo anche le scrittrici, se dico scrittrice intendo solo le donne che scrivono) – ma andiamo avanti, ripeto: penso che per uno scrittore la pratica della traduzione sia grande forza formativa. Sono contenta di averlo fatto e, come dicevo, avrei voluto tradurre di più ma il tempo che mi portava via era troppo e più andavo avanti negli anni e meno disponevo di tempo.

Per tutte queste ragioni il mio rispetto e la mia ammirazione per i traduttori sono grandi. Li penso come generosi madri di figli non propri che si chinano sulla culla, sempre pronti a curare e nutrire un bambino non loro, ma a cui si affezionano e lo vogliono fare crescere al meglio. Solo che quando sono veramente affezionati, a tal punto da considerare il libro tradotto una loro creatura, gli viene portata via di mano come se non avessero stabilito un vero rapporto con quel lavoro profondo e carnale.

Come autrice cerco sempre di stabilire dei rapporti con i miei traduttori. Chiedo loro di interpellarmi quando hanno dei dubbi. Rispondo sempre ai loro dubbi. Certo questo vale per gli autori vivi. Quando sono morti, il traduttore dovrà accontentarsi di dialogare con la loro memoria.

Ma pur trattando con un autore vivo, a volte i traduttori hanno difficoltà a confrontarsi con lui. Forse per discrezione, per timidezza, per paura di disturbare. Fatto sta che a volte scopro, quasi per caso, che ci sono stati delle incomprensioni e degli equivoci che avrei potuto risolvere con poche parole e invece sono sfuggite sia al traduttore che al correttore di bozze. Non parlo di errori di grammatica o di sintassi, ma di equivoci, come nel caso del nome di un uccello, il germano marino, che avevo usato come metafora, e che è stato tradotto letteralmente “il marinaio tedesco”.

Gli errori possono capitare, non sono qui per fare le pulci alle traduzioni, l’importante è riprodurre lo stile nel suo insieme, appropriandosi di un ritmo e trasferendolo nella propria lingua. Per farlo occorre non solo una buona conoscenza dell’idioma da cui si traduce, ma anche un buon rapporto con la lingua in cui si pensa e si sogna, ovvero la lingua madre. Ci vuole pazienza, ma soprattutto passione, cosa che spesso viene trascurata in nome della maledetta fretta e del poco valore che si danno alle traduzioni. Quello che sempre di più chiedono gli editori sono traduzioni rapide, concise, poco elaborate. E questo finisce per danneggiare il testo originale.

Un grazie a Dagmar e Belén che hanno proposto una idea di traduzione molto nobile e alta: una visione di insieme sull’autore, sul suo tempo, sui suoi rapporti con la cultura contemporanea.

Saluti

di Georg Schnetzer, Igiaba Scego e Laura Fortini

Programma del simposio Le tante traduzioni dell’opera di Dacia Maraini | The Many Translations of the Work of Dacia Maraini tenuto al Forum Austriaco di Cultura il 14–15 ottobre 2017, a Roma (frontespizio).

© Foto: Mauro Raffini. Grafica: Claus Friede

Georg Schnetzer

Forum Austriaco di Cultura Roma

Saluto d’ apertura

Nell’ottobre del 2017 la biblioteca del Forum Austriaco di Cultura Roma, con i suoi arredi originali degli anni Trenta, ha fatto da cornice al simposio internazionale Le tante traduzioni dell’opera di Dacia Maraini, svoltosi alla presenza dell’autrice in occasione del suo 80esimo compleanno. Sono ora disponibili gli atti del simposio, ampliati con vari materiali aggiuntivi. Il Forum Austriaco di Cultura Roma si trova all’inizio di Valle Giulia, nelle immediate vicinanze di Villa Giulia, che ogni anno ospita la cerimonia di premiazione del Premio Strega, il maggiore premio letterario italiano e uno dei numerosi premi che Dacia Maraini ha ricevuto nel corso della propria carriera letteraria. L’œuvre vivida della grande dame della letteratura italiana è stata tradotta in numersoe lingue: Maraini è una delle autrici più tradotte al mondo e certamente una delle maggiori “ambasciatrici” contemporanee della cultura italiana. Per il Forum Austriaco di Cultura Roma è stato un piacere ospitare il simposio che ha celebrato il suo 80esimo anniversario di vita e lavoro. Auguro agli atti del simposio la divulgazione che merita. All’autrice vorrei trasmettere fin da ora i miei migliori auguri per il suo prossimo 88esimo compleanno.

Georg Schnetzer

Direttore Forum Austriaco di Cultura Roma (2019–2023)

Georg Schnetzer

Österreichisches Kulturforum Rom

Eröffnungsgruß

Die Bibliothek des Österreichischen Kulturforums in Rom mit ihrer originalen Einrichtung aus den 1930er-Jahren durfte im Oktober 2017 das Ambiente für das internationale Symposium Le tante traduzioni dell’opera di Dacia Maraini bilden, das in Anwesenheit der Autorin anlässlich ihres 80. Geburtstages stattfand. Nun liegt der um weitere Materialien erweiterte Tagungsband vor. Das Kulturforum liegt am Beginn der Valle Giulia, in unmittelbarer Nachbarschaft und in Sichtweite der Villa Giulia, alljährlich Austragungsort der Verleihung des Premio Strega, wichtigster italienischer Literaturpreis und einer der zahlreichen Preise, die Dacia Maraini im Laufe ihrer schriftstellerischen Tätigkeit bisher erhalten hat. Das umfangreiche Œuvre der Grande Dame der italienischen Literatur wurde in etliche Sprachen übersetzt: Sie zählt zu den am meisten übersetzten Autorinnen weltweit und sicher zu den wichtigsten zeitgenössischen “Botschafterinnen” der italienischen Kultur. Für das Österreichische Kulturforum war es eine Freude, als Austragungsort für das Symposium zu ihrem 80. produktiven Lebensjahr zu fungieren. Dem vorliegenden Tagungsband wünsche ich die ihm gebührende Verbreitung. Der Autorin möchte ich schon jetzt die besten Wünsche zum nächsten bevorstehenden 88. Geburtstag übermitteln.

Georg Schnetzer

Direktor Österreichisches Kulturforum Rom (2019–2023)

Igiaba Scego

Scrittrice, giornalista, attivista

La nuda verità: quando la parola scarna da simulacro si trasforma in vita

Mi ha sempre colpito la storia della prigionia della famiglia Maraini in Giappone. Di quella giovane coppia Topazia e Fosco Maraini, dei loro figli, tra cui Dacia Maraini la famosa futura scrittrice, intrappolati nella crudeltà del Novecento. A volte cerco di immaginarmi come possa essere stato per una famiglia italiana di quel periodo ritrovarsi in quelle acque melmose di patti tra totalitarismi, minacce feroci e infine il campo di internamento. Dacia rimarrà segnata a vita da quegli anni, e la prigionia si anniderà non a caso in quasi tutti i suoi romanzi, in tante sue parole sussurrate, e nel profondo della psiche di una bambina che forse non smetterà mai di essere una bambina spaventata.

Ma poi Dacia Maraini quel mondo non l’ha solo affrontato, lo ha pure narrato, vivisezionando e ricomponendolo più e più volte. Leggerla è sempre qualcosa che toglie il fiato, che ci avvolge, ci plasma. Nessun suo libro dal magnifico La lunga vita di Marianna Ucrìa a Bagheria ci lascia insoddisfatti. Dacia per chi legge è una garanzia, un porto sicuro dove approdare. Un porto però da cui difficilmente si salpa. Perché in fondo le sue storie, la sua poetica continua a vivere in noi anche quando ne siamo lontani. Poche sono le donne che hanno avuto una tale forza di comunicazione con il prossimo. Poche donne sono riuscite ad amare i propri lettori/lettrici come ha fatto Dacia Maraini nei suoi lunghi anni di lavoro. Dacia di fatto, ed è forse il suo stesso nome proprio a tradirla, è di fatto la nostra casa, una in cui trovare una coperta in cui avvolgerci nelle serate fredde di un inverno buio.

Ed è così che si vive davanti alle sue parole cariche di vita stupefatti come bambini. Entra nel profondo Dacia Maraini, e attraverso di lei tutto acquista un senso nuovo. Dacia Maraini è di fatto un monumento delle lettere italiane. Forse la più conosciuta delle nostre scrittrici, molto amata dal pubblico e osannata dai critici. Una persona che nella vita si è accompagnata a persone come Moravia, Pasolini e porta nel nostro presente di quei tempi ricchi di filosofia tutta la potenza di una scrittura che sapeva osare e sapeva dare fastidio. Dacia non ha mai amato la conciliazione. Le cose le ha sempre dette in faccia al lettore. Non c’è compiacimento, non c’è trucco, non di certo malizia. Ma la sola nuda verità, la parola scarna che da simulacro si trasforma in vita.

Però al netto di tutto questo Dacia Maraini, insieme a molte sue colleghe del passato e del presente – penso a Goliarda Sapienza, Natalia Ginzburg, Elsa Morante, Lalla Romano, Helena Janeczek, Valeria Parrella e tante altre – non sono ancora presenze fisse del canone letterario italiano. Il Canone, una parola da decolonizzare e magari sostituire con qualcuna meno escludente, andrebbe rivisto. Soprattutto se si tratta dei testi che i ragazzi e le ragazze si trovano nel loro curriculum scolastico. Le donne, inclusa l’immensa Dacia, sono poco lette a scuola. E quando lo sono dipende sempre da qualche insegnante illuminato. Ma appunto tutto si rifà al singolo individuo. A scuola non entrano le donne, le loro scarpe, le loro sofferenze, tutto l’ingegno, la pazzia, la volontà, il sudore, l’esistenza, i valori, la potenza, che ci mettono nel raggiungere i loro obbiettivi. Ed escludendo il sapere e le parole delle donne, si cerca di plasmare ancora una volta la mente della nazione nella solita direzione del patriarcato. Ecco perché oggi più che mai l’Italia, l’Europa che stiamo costruendo insieme, ha bisogno di Dacia e di tutte le altre donne che hanno deciso di abbracciare questo strano bellissimo sconfinato mestiere.

Perché la sua opera è di fatto nata con quella ricerca di pace e giustizia che non l’ha abbandonata fin dal campo di internamento giapponese. Una esperienza emblematica di cosa significava resilienza in quel Novecento che ha visto Dacia prima bambina, poi ragazza. Dacia che non ha mai abbandonato mai i suoi sogni. Ricordo che una delle visite a scuola che mi è rimasta più impressa nella vita fu quella di un ex partigiano, ormai disabile, accompagnato dalla figlia. Sentirlo parlare e poter essere testimone dei suoi ricordi credo sia stato per me, e per i miei compagni che assistevano, un privilegio raro. Ma non sempre possiamo vedere i testimoni del Novecento, perché molti non ci sono più, altri invece non riescono più. Ma appunto i libri ci aiutano. E in Dacia quel Novecento urla. Lo fa anche in modo inaspettato. Come quando nelle trame del Settecento e della vita di Marianna Ucrìa, leggiamo il tema delle donne costrette al silenzio da una società patriarcale proprio in quel secolo in cui molti di noi sono nati e cresciuti. Secolo che andrebbe tramandato nei suoi orrori e nelle sue gioie ai più giovani. Un personaggio tragico quello di Marianna Ucrìa, ispirata a un’antica antenata di Dacia Maraini, ma così potente e moderno. E ti chiedi come mai nel 2020 il canone non metta come lettura obbligatoria un testo così importante a scuola. Vicino a Manzoni, Dante, Svevo, Foscolo, Pirandello perché non Dacia Maraini. O Grazia Deledda, Natalia Ginzburg, Valeria Parrella, Elsa Morante? Perché ancora il nostro curriculum è ancorato a vecchie visioni di mondo? Non so rispondere.

Ma a chi me lo chiederà forse regalerò La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini. Un capolavoro del Novecento capace insieme ad altri – e so che ci riuscirà perché già adesso è tra i libri più consigliati dai professori e dalle professoresse – di sovvertire il canone voluto dal patriarcato. Un libro che sempre di più troveremo nello scaffale dei nostri ragazzi e ragazze.

Laura Fortini

Università Roma Tre

Traduzione e tradizione del femminile nella scrittura di Dacia Maraini

Festeggiare Dacia Maraini è un dono e una gioia, perché con la sua vita e con le sue opere ha magnificato la storia e la cultura italiana del secondo Novecento fino alla contemporaneità del presente, abitandola con una moltitudine di personagge alla quale ha dato pensieri, parole, storie. Con lei il femminile ha assunto corpo e voce in forma di donne, bambine e bambini, uomini di ogni età, guardati tutti e rappresentati nella loro infinita, a volte infinitesimale e anche infima umanità, ma sempre e comunque umanità.

Gli ottant’anni di Dacia Maraini al Forum Austriaco di Cultura a Roma il 14–15 ottobre 2017 con un Simposio internazionale sulle traduzioni delle sue opere dal quale ha origine questo volume che esce nell’anno del suo ottantottesimo compleanno; il colloquio internazionale che le abbiamo dedicato nell’aula magna della scuola di Lettere, Filosofia e Lingue dell’università Roma Tre, promosso insieme alla Società Italiana delle Letterate e alla Casa Internazionale delle donne di Roma il 3 marzo 2020 e intitolato a lei, alla felicità della sua scrittura e alla forza della sua parola: in ognuna di queste occasioni abbiamo reso omaggio al suo essere scrittrice di prosa e poesia, drammaturga, femminista da sempre in tutte le modalità con le quali ha espresso il suo posizionamento pubblico, ambasciatrice della cultura italiana nel mondo come nessuno e nessun’altra mai, ed è motivo d’orgoglio che sia una donna di tanto valore e calibro ad averla rappresentata.

Molti gli elementi che compongono l’armonioso e complesso mosaico della vita e delle opere di Dacia Maraini, sempre all’insegna di un amore fermo e costante per la scrittura, amatissima in tutte le sue forme (Amata scrittura, 2000), accomunate da una dialogicità che non esito a collocare in un esercizio preciso e puntuale di traduzione creativa di un femminismo che intende il partire da sé come irredimibile per poter stare al mondo compiutamente. Senza inoltrarci nei feminist translation studies inaugurati da Gayatri C. Spivak nel 1993, vi è da sottolineare che partire da sé non vuol dire rimanere al sé concluso e conchiuso, ma anzi rappresentarlo e rappresentarsi in costante ascolto dialogico dell’alterità. Lo si vede già nel rapporto con la tradizione dei generi letterari, da Dacia Maraini variamente esperita, attraversata, interrogata, reinventata: il romanzo storico colloquia con le opere di Maria Bellonci, Anna Banti e le altre nella traduzione originale e rigenerativa delle ‘personagge’Isolina (1985) e Marianna Ucrìa (1990), fino ad arrivare alla vertigine temporale della storia del Novecento tra Auschwitz e la Budapest della rivoluzione ungherese del 1956 (Il treno dell’ultima notte, 2008); il genere epistolare in forma di romanzo è dedicato all’amicizia e all’amore per un’altra donna (Lettere a Marina, 1981), come tra generazioni diverse (Dolce per sé, 1997), per arrivare fino all’elogio della disobbedienza di Chiara d’Assisi (Chiara d’Assisi. Elogio della disobbedienza, 2013); la narrazione odeporica, che siano cronache o racconti brevi, assume i caratteri permanenti della geografia di una narrazione del mondo intero anche quando si svolge tra la Sicilia, Roma, l’Abruzzo (La ragazza di via Maqueda, 2009) e del viaggio inscritto come sistema di segni sulla propria pelle (La seduzione dell’altrove, 2010). Anche i libri e le opere liriche diventano personaggi nella sua scrittura, che siano quelli di Emily Dickinson e di Italo Svevo, di Luigi Pirandello e Grazia Deledda, Joseph Conrad e Jane Austen, Maria Callas e Pier Paolo Pasolini: i libri, le opere loro e quelle di molti altri e altre, acquistano nuova vita grazie alla voce della stessa lettrice e scrittrice Dacia Maraini, presente in vari modi nelle sue narrazioni, personaggia essa stessa e libro vivente della sua vastissima opera.

Così come le donne – e anche gli uomini – del passato e del presente, a partire dall’esperienza del teatro femminista della Maddalena, acquistano tratti dinamicamente nuovi e propositivi, da Clitennestra (I sogni di Clitennestra, 1973) a Maria Stuarda (1980), da Eleonora de Fonseca Pimentel (Donna Lionora giacubina, 1981) a Veronica Franco meretrice e scrittora (1992), passando per madame Bovary indagata ben oltre lo stesso Flaubert (Cercando Emma, 1993) e il confronto con Piera Degli Esposti attrice e amica (Storia di Piera, 1985): tutti bei personaggi di donne che grazie all’interazione con la sua drammaturgia narrativa, sia in forma di figure che in forma di incontri felici, hanno avuto la propria voce, a volte tragica, a volte ironica, a volte concitata, oppure meditativa, ma sempre propria, attitudine questa ben a fuoco fin da opere come Memorie di una ladra (1972) e Donna in guerra (1975). E la moltitudine di donne, bambine e bambini inermi vittime della violenza patriarcale, nella sua scrittura è una polifonia di voci che, in forma di racconto come in forma di teatro, ha avuto raffigurazioni sempre diverse e sempre appassionate, grazie alla quale si ha una immagine dell’inermia che è riuscita a tradurre in parola il senso doloroso di un femminile di cui prendersi cura perché il mondo non ne ha (Voci, 1994; L’amore rubato, 2012; Passi affrettati, 2015).

Stessa postura ha la tessitura memoriale della propria storia familiare attraverso i diari giapponesi della madre (La nave per Kobe, 2001), i taccuini, i diari, le poesie del padre (Il gioco dell’universo, 2007), la memoria dell’infanzia condotta costantemente in forma di colloquio mai interrotto, proteso sul passato per capire meglio il presente, il proprio, sostegno a ognuna e ognuno a compiere un percorso simile e diverso nella propria genealogia familiare, che è poi quella della storia italiana (Bagheria, 1993); come nel colloquio con le persone care che non ci sono più, sempre e comunque nel nostro presente (La grande festa, 2011)

Una attitudine, quella del dialogo come posizione femminista, che è tipica anche degli innumerevoli incontri in cui Dacia Maraini si è confrontata con lettrici e lettori di ogni parte del mondo con grande e costante generosità, come è avvenuto anche a Roma Tre il 3 marzo 2020, poco prima della chiusura totale dovuta alla pandemia COVID-19. In quell’occasione, insieme a una folla di studenti e docenti della scuola e dell’università che l’hanno festeggiata con ammirazione e affetto, vi erano le istituzioni che hanno sostenuto l’incontro e che l’hanno voluta accogliere di persona: a salutarla vi erano il Rettore di Roma Tre Luca Pietromarchi, la Presidente della Scuola di Lettere, Filosofia e Lingue Mara Frascarelli, il Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici Manfredi Merluzzi, la Presidente della SIL Elvira Federici, la Presidente della Casa internazionale delle donne di Roma Maura Cossutta ed è stata felicità grande poterla avere con noi, attenta sempre, riflessiva nelle risposte a tutte, proprio tutte le domande che le sono state rivolte, anche nell’autocommento alla propria poetica, in continuo divenire e rielaborazione propositiva. Lo si è visto nel dibattito che è seguito alla lettura drammaturgica del Dialogo di una prostituta con un suo cliente, con gli attori Sylvia de Fanti e Gabriele Portoghese e lo sguardo drammaturgico di Giorgina Pi del gruppo Bluemotion. Le voci, i volti, i corpi dell’attrice e dell’attore, impegnati in un confronto serrato sul mercato del sesso, hanno colpito moltissimo il pubblico, che ha seguito in silenzio teso la lettura drammaturgica e ha poi fatto domande sulla differenza tra uomini e donne, sulla sessualità, sulla prostituzione. Dacia Maraini ha osservato come forse oggi riscriverebbe diversamente il testo, perché la prostituzione ha ormai assunto i tratti della schiavitù sessuale di donne di terre lontane, condotte qui con l’inganno e con la violenza. Nonostante il Dialogo di una prostituta con un suo cliente sia del 1973, è però bellissimo, perché traduce un femminile che non ha avuto voce e che grazie a lei l’ha e continua ad averla, in virtù di un impegno femminista mai venuto meno nel corso del tempo nei suoi testi, nelle sue prese di posizione, negli interventi sui giornali e che arriva fino alla sua ultima scrittura narrativa, scritta in tempo di pandemia e dedicata all’amicizia tra due donne durante la peste a Messina, nonostante le difficoltà del vivere (Trio, 2020).

La vita e l’opera di Dacia Maraini sono intessute di infiniti tasselli, ognuno prezioso come antiche tarsie marmoree di gloriosi mosaici o altrimenti fili compositi di tessiture meravigliose, contraddistinte da un’attitudine costante per la rivoluzione delle donne che ce la rende cara come la sua scrittura: la saluto, la salutiamo con infinito affetto ed omaggio.

Introduzione

Dagmar Reichardt María Belén Hernández González

Dacia Maraini con un tamburo in occasione di uno spettacolo di strada rappresentato nel quartiere Centocelle a Roma negli anni 1970.

© Foto: autore non identificato. Immagine originalmente in bianco e nero, successi­vamente colorata da Claus Friede. Fonte: Archivio privato Dacia Maraini

Details

Pages
682
Publication Year
2024
ISBN (PDF)
9783631880807
ISBN (ePUB)
9783631882269
ISBN (Hardcover)
9783631769591
DOI
10.3726/b21983
Language
Italian
Publication date
2025 (November)
Keywords
Theaterwissenschaft Literaturwissenschaft Komparatistik internationale Verlagslandschaft Dacia Maraini Transkulturalität Italianistik Romanistik Kulturwissenschaft Amerikanistik deutschsprachiges Buchwesen Japanologie Übersetzungswissenschaft
Published
Berlin, Bruxelles, Chennai, Lausanne, New York, Oxford, 2025. 682 p., 17 ill. a colori, 11 ill. b/n.
Product Safety
Peter Lang Group AG

Biographical notes

Dagmar Reichardt (Volume editor)

La curatrice Dagmar Reichardt, cattedratica presso la Latvian Academy of Culture di Riga/Lettonia, è autrice di ben 400 pubblicazioni. Esperta di letteratura italiana contemporanea e letterature comparate, di studi socioculturali e transculturali ha tradotto testi di Cases, Bonaviri, Pasolini, Maraini e Scego. Dal 2022 è membro di PEN Germania (Exil PEN).

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Title: Le tante traduzioni dell’opera di Dacia Maraini